Ultimamente sono arrivate due
notizie dalla scuola finlandese: la loro accoglienza da noi è
stata come sempre molto distratta, anche se leggendo tra le
righe le poche reazioni hanno rivelato bene i sintomi del
pensiero italiano sulla scuola. La prima notizia è quella
secondo cui i risultati degli studenti finlandesi nelle
rilevazioni internazionali per la prima volta dalla loro
istituzione sono oggettivamente peggiorati, anche se
leggermente. Il peggioramento della Finlandia è stato salutato
con poca attenzione, ma quella poca ha mostrato il sospiro di
sollievo degli italiani addetti alle cose scolastiche, visto che
dimostrerebbe che anche il metodo finlandese non porta lontano.
Dall’alto del nostro 28° o 29° nelle stesse rilevazioni
riteniamo che avendo pazienza prima o poi il “cadavere” della
Finlandia passa. E questo sarebbe il primo segnale del
“passaggio”. Questo poi può voler anche dire che è ridicolo
rincorrere i finlandesi, che tanto prima o poi ci raggiungono in
basso: questo atteggiamento dimostra che non serve a niente che
noi facciamo qualcosa per migliorare, visto che il nostro
sistema scolastico va bene così com’è e che prima o poi i
finlandesi scenderanno al nostro livello. La seconda notizia
riguarda l’eliminazione delle materie dal curricolo scolastico,
sostituite dagli argomenti. Questa seconda notizia è stata
vissuta per un paio di giorni come un’eccentrica curiosità
nordica ed è stata bocciata da tutto il sistema scolastico
italiano guidato da Benedetto Vertecchi che in un’intervista ha
detto che “copiare
il metodo scolastico finlandese da noi sarebbe un grave errore"
(Repubblica.It del 30 maggio 2017).
Non c’è stato bisogno di aggiungere molto
sull’argomento, visto che Vertecchi ha interpretato il sentire
italico come forse mai in passato: giù le mani dalle discipline!
Si può solo aggiungere che non si tratta di copiare la
Finlandia, ma di comprendere – eventualmente - il problema nel
suo insieme. Poi Vertecchi ha anche consigliato di volgere lo
sguardo all’Estonia e allora le strade si divaricano.
Le due notizie lette insieme dicono che i
finlandesi giudicano compiuta la loro riforma del 1992 e che
decidono di prendere una nuova strada pedagogica ritenendo
arrivati i tempi di cambiare. Nel frattempo noi abbiamo fatto
una mezza dozzina di riforme senza riuscire a migliorare i
nostri risultati e alternando cambiamenti a restaurazioni. Il
sistema ritenuto migliore del mondo decide di cambiare nel
momento in cui avverte degli scricchiolii. Noi, invece, forti
del citato 28° o 29° posto, ad ogni cambiamento mandiamo avanti
il TAR, soprattutto quello del Lazio. Loro applicano noi
ricorriamo.
C’è stato un altro momento nella
storia del dopoguerra in cui la scuola si è trastullata col
formale mentre fuori l’informale e il non formale stavano
cambiando il mondo. Il ’68 nella società ha aperto la strada a
quel ’68 nella scuola e nell’università che non ha permesso di
lasciare tutto come prima e che ha aperto ad una stagione di
riforme scolastiche di grande portata. Si potrà anche ironizzare
sul sei politico (che non è stato così diffuso come si
racconta), ma la scuola paludata e lontana dai giovani dei primi
anni sessanta è esplosa non solo nella contestazione, ma anche
nel cambiamento.
Può essere
interessante alla luce del rapporto tra le discipline e il
mondo reale considerare alcune evidenze del rapporto tra
informale, non formale e formale nei vari ordini di scuola.
-
Scuola
dell’infanzia. E’ la scuola che meglio regge alla pressione
dell’informale e del non formale. E non potrebbe che essere
così, visto che un semplice formalismo didattico non riuscirebbe
a far fronte alla pressione delle aspettative educative delle
famiglie e della società; l’azione didattica per sfondi
integratori e campi d’esperienza è la migliore risposta che la
scuola italiana sia riuscita a dare alle esigenze sociali,
cultuali ed educative. E’ un peccato che quella scuola non abbia
saputo spingere la sua ricerca didattica ed educativa almeno
fino alla primaria, rimanendo una riserva di ottime insegnanti,
eccellenti pratiche in un ciclo che però si chiude.
-
Scuola
primaria. La scuola primaria ha la tendenza a farsi travolgere
dall’informale e dal non formale, perché non riesce a
distinguerlo. Il suo forte rapporto con la realtà dei bambini le
fa credere di essere fuori pericolo. Invece il pericolo c’è
eccome. La scuola primaria per sua natura non è disciplinarista,
ma le maestre lo stanno diventando e ritengono virtuoso
insegnare per tutta la vita le stesse discipline. Il mondo
esterno non è disciplinare e l’approccio del bambino al sapere
deve essere di tipo olistico e non specialistico. Se infatti si
chiude il mondo dentro le discipline quando i bambini sono
piccoli (6-8 anni) può accadere che questo mondo non venga
riconosciuto e la strada del rapporto tra conoscenza e realtà
sia in salita. La scuola primaria può agire per strutture
unitarie e la tendenza alla divisione appare veramente una
scelta perdente, capace soltanto di rendere teorico ciò che è
per sua natura pratico.
-
Scuola
secondaria di primo grado. E’ il segmento debole del sistema
scolastico italiano, ma non si ritiene tale. La battaglia per il
web e sul web è stata persa in partenza. La scuola “media” ha
cercato di arginare l’accesso al web facendo fortilizi a difesa
dei libri di testo. In realtà è successo e sta succedendo che
l’informale e il non formale del web stiano devastando la
crescita culturale degli adolescenti intervenendo in maniera
scomposta nel complicato meccanismo dello sviluppo e
dell’apprendimento, che troppo spesso non riesce ad essere
guidato dalle scuole.
-
Scuola secondaria di secondo grado. Lo
scontro tra formale e informale e non formale è diventato
titanico e l’ingresso dell’alternanza scuola lavoro anche nei
Licei ha reso fortissimo l’elemento di confronto con l’esterno.
Inoltre la battaglia col web è stata persa in maniera netta,
così come l’URSS a suo tempo perse la guerra fredda con gli USA.
L’URSS stava ancora facendo le parate del 1° maggio sulla Piazza
Rossa mentre l’Occidente americanizzato era diventato una
società in cui i consumi sociali sembravano illimitati. Si pensi
però anche a questioni molto semplici come le certificazioni
linguistiche, che hanno reso inutili e spesso nocivi i voti
nelle lingue comunitarie e hanno creato un condizionamento
non-formale dentro i formalismi dei programmi di lingue.
L’inclusione non può avvenire con i Licei
italiani (tra i migliori del mondo) da una parte e tutto il
resto del sistema secondario che produce dispersione, difficoltà
e ineguaglianza dall’altra. Inoltre sarebbe interessante
analizzare la selezione di certi licei, che si permettono di
avere una dispersione alta pur avendo accolto gli studenti
migliori richiamati da azione di orientamento in entrata molto
aggressive.
Le discipline sono il
mezzo e diventano il fine solo per
coloro che entrano nell’alta specializzazione
disciplinare propria degli studi universitari. Quindi questa
ossessione italiana per le discipline nella scuola (soprattutto
in quella dell’obbligo) è l’elemento principale che determina la
dispersione e il distacco col mondo reale:
-
costringere gli studenti ad essere tuttologi fino a 19 anni è
una pratica perdente, resa surreale da esami di stato conclusivi
congegnati in maniera dannosa ed inutile;
-
piegare il mondo dell’informale e del non
formale al formale delle classi di concorso è subordinare la
crescita della mente sociale e culturale dei giovani ai livelli
occupazionali.
I finlandesi hanno comunque una profonda
ragione: dopo 25 una riforma deve essere rivista dalle
fondamenta. Le discipline sono una struttura culturale utile e
necessaria per capire il mondo globalizzato veicolato dal web,
ma non possono rimanere strutture chiuse e collegate
all’occupazione dei docenti, che per loro natura cercano di
chiudere il mondo dentro i propri confini.
L’abolizione delle
discipline dal curricolo sta in questo rapporto ineludibile con
l’informale e il non formale, che deve essere padroneggiato per
non portare a forti squilibri. Tutti i progetti PON porteranno 3
miliardi di euro nelle scuole per farci entrare l’informale e il
non formale. Ma le scuole se ne sono accorte oppure pensano che
la Finlandia sia comunque fredda e poco popolata?