Le nuove linee sulla formazione dei DS
sono così chiarite nello specifico Documento ministeriale del 22 dicembre
2016[1]:
“Le attività assumeranno uno spiccato carattere operativo e laboratoriale e
vedranno il diretto coinvolgimento dei dirigenti scolastici, in veste di
promotori della loro formazione, attraverso iniziative di ricerca-azione,
confronto sulle pratiche organizzative, produzione di materiali utilizzabili nei
contesti di lavoro”.
Si prevede siano finalizzate “alla
produzione di materiali (di strumenti
operativi, linee guida, format di provvedimenti amministrativi) che
possano poi dar luogo ad un repertorio di pratiche gestionali”
Gli Ambiti tematici
1. Gli strumenti per
l’attuazione delle reti di
scuole
2. Le modalità di
gestione dell’organico
dell’autonomia e di
potenziamento
3. Le figure “intermedie” e
l’organizzazione del lavoro
collaborativo dei docenti
(referenti, gruppi,
dipartimenti, ecc.)
4. I nuovi ambienti di
apprendimento e i modelli
organizzativi innovativi
5. La valorizzazione della
professionalità docente
6. La promozione della
formazione in servizio
“obbligatoria, permanente,
strutturale”
7. La progettazione
dell’alternanza scuola-lavoro
(figure, ruoli, modelli)
8. La gestione delle relazioni
umane (ascolto, conflitti,
decisioni, ecc.)
9. Il curricolo verticale, la
didattica per competenze, la
valutazione formativa
10. L’orientamento, il curricolo
dello studente, la
personalizzazione dei percorsi
11.
Le dimensioni della
progettualità scolastica e i
relativi atti di
indirizzo (PTOF, PdM, PAI,
ecc.).
|
Il modello formativo, che si vuole centrato su “ricerca-azione-formazione”,
prevede
·
la costituzione su base provinciale di
gruppi
di formazione tematici,
elettivamente costituiti, composti mediamente da 25 dirigenti
scolastici (budget
finanziario[1]
di circa 3.500,00
euro per ogni gruppo);
·
11 ambiti tematici,
riconducibili ad un profilo ds più attento
ai compiti di indirizzo e promozione del piano dell’offerta
formativa, oltre che di valorizzazione di tutte le risorse
professionali della comunità scolastica
(v. scheda), e meno ad un tipo di formazione
che finora è stata
prevalentemente centrata su aspetti amministrativi;
·
un percorso formativo per ciascun DS
di due unità
(o
moduli) da realizzare nei due semestri del 2017, in base alla
programmazione regionale.
Tali unità
comprendono in modo integrato:
1) attività in presenza, per un ammontare complessivo di circa
25 ore, corrispondenti a 6-8 incontri; 2) attività di
studio, ricerca e produzione on line, con un riconoscimento
forfettario complessivo di 25 ore.
È prevista l’attestazione finale da parte dell’USR
I soggetti coinvolti ai vari livelli dell’operazione
sono, oltre all’USR (che comunque sembra avere la parte del
leone: e a questo bisognerà pensare )
•
L’istituzione scolastica assegnataria dei fondi per la gestione
dei moduli;
•
Lo staff regionale della formazione (per il supporto e la
supervisione generale dei lavori di gruppo);
•
Un apposito Gruppo
di Lavoro Regionale (formato da: lo staff regionale, il
dirigente della istituzione scolastica assegnataria dei fondi,
una rappresentanza dei dirigenti scolastici ed eventuali
ulteriori referenti individuati dall’ USR) che, ad occhio e
croce, sembra essere
il centro direzionale dell’intera operazione del Piano di
formazione DS;
•
I gruppi di lavoro, costituiti elettivamente e coordinati da un
DS, che assume le funzioni di direttore del modulo di
formazione.
•
Esperti, formatori, tutor: che
verranno scelti dai Gruppi di lavoro in base a
procedure e norme vigenti in materia di affidamento di
incarichi professionali, di consulenza e formazione.
•
Associazioni
professionali,
Enti accreditati e qualificati, Istituti universitari e di
ricerca.
E questo non è male, considerato che, soprattutto negli ultimi
anni, siamo stati abituati sempre agli stessi formatori,
regolarmente nominati dall’Amministrazione (Per carità! Bravi,
poi. A raccontarci sempre le
cose belle che si possono fare con le disposizioni ministeriali,
“innovative” per definizione).
Probabilmente la prevista
piattaforma digitale
regionale,
se evita – come spesso è avvenuto - procedure schematiche e
ripetitive e dai contenuti non sempre significativamente
formativi, potrà rappresentare
per i gruppi uno
strumento utile ad evitare derive indesiderate: purché non
venga comunque vissuta come la “stella polare” che guida
il cammino verso Betlemme.
Non si vede proprio infatti la necessità di altri imbrigliamenti
ministeriali, decisi –
con la migliore buona volontà, chi ne dubita? - per uniformare
le pratiche formative ad
usum burocratiae.
Ma consideriamo i
problemi che possono prevedersi al riguardo.
Un primo
riguarda la
costruzione dei gruppi
e la individuazione di
orientamenti sensati.
Il documento ministeriale parla di 25 DS per gruppo. Tale
indicazione ministeriale è accettabile, soprattutto se gestita
in modo non rigido e se il gruppo, in alcune fasi dei lavori, si
suddivida in sottogruppi.
I gruppi, come già accennato, “si costituiscono elettivamente”.
Potranno quindi diversificarsi quanto a criteri di aggregazione
(per semplice condivisione, da parte dei ds interessati, del
contenuto tematico e/o in base all’ordine di scuola; per
affinità elettive di vario tipo, sperimentate in altre
occasioni; …).
Ma
un problema tra i più
impegnativi è probabilmente
la difficoltà diffusa tra i ds
a viversi come gruppi di lavoro e come gruppi – comunità:
con tutto quello che questa nozione comporta; difficoltà a
superare la logica dell’autoreferenzialità e dell’individualismo
e ad assumere quella
della condivisione e cooperazione, dell’ascolto e dell’aiuto
reciproco. Che sono concetti belli a sentirsi, ma difficili da
far entrare nella cultura professionale.
È questo il più grosso punto interrogativo di tutta
l’operazione. Perché, se è vero che da una vita parliamo, nei
convegni e nei seminari, di
comunità professionale e di comunità di pratiche, non è meno
vero che passi in avanti significativi su questo terreno la
nostra scuola non ne ha fatti.
Si tratta di capire perché e quali strumenti e strategie siano
da studiare e proporre.
C’è poi
il nodo della conduzione
dei gruppi e delle competenze necessarie, non solo in
termini di coordinamento e orientamento al compito e al
risultato, ma anche per la “gestione
dei conflitti”.
Infine, sulla
partecipazione richiesta
a due moduli di 25 ore: ne nasceranno probabilmente
dispute accese, come sempre (e come è forse giusto che sia;
chissà!). Non sarebbe però cosa saggia farne un cavallo di
battaglia. Li si assuma piuttosto come ipotesi di lavoro e si
dia soprattutto risalto a evidenze come “i prodotti” finali; ma
anche ai risultati dell’autovalutazione dei singoli
sull’esperienza fatta e alla prevista valutazione esterna
annuale (svolta in modo che
consideri anche le ricadute dei processi formativi nell’azione
dirigenziale).
Non basta quindi dire: finalmente si chiude la fase della
formazione unidirezionale e accademica. e si comincia a parlare
e sperimentare una ratio
diversa. Enfatizzandone gli aspetti certamente promettenti e
realmente innovativi.
Occorre piuttosto partire dalla consapevolezza che ci troviamo
di fronte ad una sfida difficile. Che impone, per avere
possibilità di successo (ma so di scoprire l’acqua calda):
·
una
progettazione attenta
del percorso previsto – inserita però in una visione a medio
termine (triennale?) -;
·
processi opportunamente distesi
(“la fretta fa i
figli ciechi”);
·
condizioni organizzative
congruenti e
professionalità curate
sui vari fronti della gestione.
Sono, queste, operazioni che, in prima battuta, sollecitano
soprattutto l’impegno dell’Amministrazione, che si vorrebbe,
anche per questa occasione, meno “cerchio magico” e più luogo di
mediazioni tra le attese rappresentate negli Atti amministrativi
del MIUR (normativamente fondate) e i bisogni e i problemi del
concreto
fare buona scuola ogni
giorno.
Sarà mai possibile?
Si accettano scommesse!
Una prima
intende richiamare la necessità di
liberare il lavoro dei ds
non solo dai pesanti sovraccarichi delle reggenze che continuano
a fare un incalcolabile danno alla nostra scuola (ma si continua
a fare finta di niente); ma anche da oneri e adempimenti che
poco hanno a che fare con il ruolo del DS o che sono ascrivibili
più alla categoria delle molestie burocratiche che all’efficacia
di un apparato ministeriale funzionante.
Cosa c’entra questa questione con l’insieme dei ragionamenti che
qui si sono svolti? C’entra
perché tali adempimenti e oneri tolgono tempo ed energie che
potrebbero essere spese più proficuamente per attività più
promettenti. E quindi anche per la formazione. (In questa
annotazione si potrebbe inserire il problema del
raccordo
della formazione qui considerata con
le iniziative formative
connesse alla valutazione dei DS e previste nell’apposito
documento. Problema che però richiederebbe approfondimenti più
specifici che qui non è il caso).
Una
seconda
riguarda
il ruolo di
Associazioni professionali, Enti
accreditati e qualificati, istituti universitari e di ricerca.
Ruolo che penso vada ripensato in profondità in termini
di pratiche e di missione, alla luce di quanto prevede il
documento ministeriale di cui ci si sta occupando .
È da ritenere al
riguardo – e so di dire un’ovvietà di cui molto si parla,
ma a cui poco si pensa -
che il loro apporto sarà promettente
e insostituibile, se sapranno disporre
a.
di una elaborazione capace di misurarsi in modo costruttivo e
concreto coni nodi dei contenuti tematici, ancorati comunque a
visioni promettenti di leadership educative condivise e di
apprendimento cooperativo (che non sono formule magiche, ma
strategie su cui insiste da decenni – e non a caso – la ricerca
internazionale, sulla base dei risultati ottenuti);
b.
di risorse professionali attrezzate e capaci di allargare
ulteriormente gli orizzonti culturali e professionali dei
gruppi.
Diversamente si corre il rischio di dar vita ad un mercato
dell’offerta formativa sovrabbondante e
di un livello non
all’altezza dei bisogni di questa fase.
Comunque, sul
profilo del
“formatore”, per le diverse aree di ricerca e
approfondimento (che dovrebbero riguardare, oltre agli ambiti
tematici – de La Palise!
-, anche le competenze per lavorare bene insieme, fare squadra e
assicurare efficacia ai lavori), bisognerebbe raccogliere un po’
di esperienze e studi , per dargli i contorni più appropriati.
Come pure andrebbe forse chiarito (ma sembra ovvio) che il
gruppo di lavoro potrà operare con modalità
diverse e prevedere una
pluralità di approcci: momenti seminariali, attività
laboratoriali, ricerche, confronti, analisi dei casi,
discussioni con esperti, ecc., ecc.. O non è così?
Una terza, ma forse la prima per importanza, riguarda gli ambiti tematici.
Ritengo che quelli proposti centrino appieno i bisogni formativi dei DS.
Lasciati soli (o quasi) a gestire, nello scorso anno,
le numerose e complesse partite aperte dalla L. 107,
hanno indubbiamente bisogno di ripensare collettivamente quelle
esperienze, darle un senso, cercare correttivi a quello che va
corretto e sviluppare un pensiero lungo per le proprie scuole.
Quello che sembra mancare
nell’elenco degli ambiti formativi è
il riferimento ad una lettura complessiva
dei pezzi della riforma, ai
loro punti problematici e a quelli promettenti.
Una vera formazione si da quando c’è riflessione e
consapevolezza nuova dei problemi e delle risposte. E quando
riflessione e consapevolezza generano comportamenti e pratiche
sensati e durevoli.
O no?
Questo richiamo non certo per rinfocolare contrapposizioni
laceranti di cui non si sente il bisogno, ma piuttosto per dare
/ recuperare – potendo - senso
unitario e avanzato a quei pezzi della riforma in cui si
è più coinvolti e che hanno comunque bisogno di
ripensamento e risistemazione.
Non so se con queste annotazioni finali si corre il
rischio di mettere troppa carne al fuoco. Può darsi. Ma è
innegabile che si tratta di
problemi non chiariti e
in qualche caso mal posti nel testo di riforma. Farsene
carico, per individuare soluzioni,
può sciogliere i dubbi
che ancora appesantiscono i processi in atto e dare boccate di
ossigeno al lavoro nelle scuole.
Forse. Chissà.
[1]
Piano di formazione per i dirigenti scolastici in servizio e neoassunti a.s.
2016-2017. Assegnazione delle risorse finanziarie e progettazione delle
iniziative formative.(22.12.2016)
[1] Va qui segnalato la questione della distribuzione delle risorse finanziarie. Secondo un rilievo della FLC, le risorse finanziarie per le spese della piattaforma e per quelle del coordinamento regionale raggiungono quasi il 50% del finanziamento previsto per la formazione dei ds neoassunti. È evidente come Il criterio di distribuzione penalizzi le attività più propriamente formative dei Gruppi di lavoro di DS. privilegia un po’ troppo il ruolo dell’Amministrazione? Non sarebbe stato più opportuno prevedere più risorse per questi ultimi, finalizzate, per esempio, alla diffusione dei “prodotti” più significativi?