(30.10.2014)
Parere e
proposte MCE sul progetto "Buona Scuola"
a cura di Giancarlo
Cavinato
Si
rileva l’assenza dal testo della riforma di un ‘cuore pedagogico’ (non si
parla della scuola dell’infanzia e del percorso zero-sei di cui al DDL prima
firmataria sen. Puglisi; manca un accenno alla presenza multiculturale e all’ed.
interculturale; e all’area del disagio e dell’integrazione).
Ma in generale è la modalità dell’apprendimento ad essere assente e che
dovrebbe costituire il nucleo fondante di un’ipotesi di riforma.
Le neuroscienze e la psicologia dello sviluppo e dell’apprendimento parlano di
‘un’istruzione adatta al funzionamento della mente’.
Indicano come forma privilegiata la socio-costruzione delle conoscenze, la
didattica operativa, il rispecchiamento, l’apprendistato cognitivo, lo
scaffolding, la negoziazione di significati, la cooperazione.
Il livello di motivazione dei soggetti è proporzionale al sentirsi parte di una
comunità: l’identificazione con la propria scuola e la propria classe richiede
l’istituzione di rituali che definiscono l’identità di scuola, e questo è
efficace se i soggetti si vivono come istituenti, non come istituiti.
Ciò si traduce in lavori di gruppo su compiti, in regole condivise, in
istituzioni del gruppo-classe, in abolizione dei voti numerici.
‘Secondo
l’epistemologia costruttivistica il sapere non esiste indipendentemente dal
soggetto che conosce; imparare non significa apprendere la ‘vera’ natura delle
cose, possedere cioè una oggettiva rappresentazione del mondo esterno; si tratta
piuttosto di operare una soggettiva costruzione di significato…Noi non
osserviamo ‘cose’, ma definiamo proprietà e relazioni costruite a partire dalla
nostra azione organizzante, in funzione adattativa con l’ambiente. La conoscenza
è individuale e situata, ma attraverso la comunicazione si concordano con gli
altri le aree di significato condiviso e la loro attribuzione all’esperienza
comune’
( A. Carletti, A. Varani, ‘Per una didattica costruttivista’,
Pedagogika, n. 2/2007, pp. 33 sgg.)
E’ compito della scuola garantire le
condizioni perché la comprensione e l’interpretazione della realtà da soggettive
si facciano intersoggettive.
Bruner mostra come il mondo sociale si costruisca, ricostruisca, interpreti
con modalità narrative. La cultura è il medium in cui è inserita l’esperienza
umana; essa non può essere data in concentrato, ma va vissuta e simbolizzata.
Una buona scuola si propone un apprendimento efficace, che richiede
lentezza, approfondimento, incisività dei saperi scelti in quanto essenziali per
la vita. Tempi lunghi e distesi.
Nella realtà extrascolastica le conoscenze si intrecciano e si combinano e i
confini sono mobili, ma nella scuola le correlazioni sono invisibili. La
separatezza fra discipline ostacola i processi di ricerca e di scoperta, mentre
è fondamentale cogliere i rapporti fra le cose, e questi si capiscono
affrontando ‘buoni’ problemi: le condizioni di vita dell’infanzia, le
trasformazioni in un territorio, le guerre e ci conflitti, i cambiamenti
climatici, i problemi dello sviluppo economico,…
La buona scuola permette ai soggetti di apprendere rispettandone
l’individualità e immettendoli nella socialità ( ‘Le relazioni umane sono
educative’, F. Oury, ‘L’educazione nel gruppo-classe’, ed. Dehoniane)
Si adatta alle esigenze e ai tempi di apprendimento dei singoli studenti
mettendoli in condizione di stabilire i propri ritmi.
Una
buona scuola è una scuola bella con spazi adeguati per
l’apprendimento – non sempre e solo con alunni della stessa classe di età- ma
anche luoghi dove stare in tranquillità e spazi comuni per l’incontro e la
socialità.
‘Una scuola moderna
è un luogo che ricalca nella sua struttura la società della conoscenza: una rete
di relazioni fra luoghi all’interno e con luoghi all’esterno’
(D. Precht, ‘La scuola
del futuro’, Internazionale, 10 maggio 2013)
La scuola può ( deve) essere contesto
di vita democratico, una scuola laboratorio sociale di convivenza e
socialità.
‘Le istituzioni
educative possono essere spazio di pratica etica e di politica democratica:
mezzo attraverso cui bambini e adulti possono partecipare con altri nel
prendere decisioni riguardanti loro stessi, i gruppi di cui fanno parte, la
società in senso lato. Idea, questa, che contrasta con la visione
dell’educazione come merce, in cui i valori base sono la scelta individuale, la
competitività, l’univocità delle risposte.
Il processo di scelta è ben
più complesso. Implica un’etica relazionale, il rispetto per le diversità, il
riconoscimento di prospettive molteplici, di paradigmi diversi, l’accettazione
dell’incertezza e della soggettività, il pensiero critico.
La scelta è UN PROCESSO DECISIONALE COLLETTIVO, non l’accezione neoliberista di
un processo decisionale di singoli consumatori.
Consumatore e cittadino non sono equivalenti. I consumatori agiscono come
singoli e prendono le loro decisioni sulla base di un tornaconto personale o
famigliare.
Praticare la cittadinanza implica essere membri di una comunità in cui le
decisioni sono prese non solo nell’interesse di un individuo, ma della
collettività intesa come insieme di committenti.
E’ perciò importante creare uno spazio democratico e le condizioni per una
pratica democratica attiva. Essa si sostanzia di progetti per l’infanzia e
l’adolescenza, nel cui ambito i bambino, il ragazzo, viene assunto come
cittadino competente, ‘esperto’ della propria vita, con opinioni degne di essere
ascoltate e diritto a partecipare a processi decisionali’
( P. Moss, in ‘Bambini’,
maggio 2010, ed. Junior, Bergamo)
In
considerazione di tali esigenze, occorre dar forza a quelle forme organizzative
e a quelle componenti che assumono tali prospettive, ripristinando e
valorizzando modalità progettuali collegiali ( la cooperazione e la
contitolarità a fronte dell’attuale frammentazione indotta con la legge
169/2008).
Coinvolgere le scuole utilizzando le migliori esperienze per catalizzare le
istituzioni di un territorio, in reti adeguatamente supportate ( c’erano una
volta gli IRRSAE…) , attorno a punti di riferimento comuni ( produrre
contaminazione); in luogo di un merito individuale, rendere possibile
un’aggregazione di gruppi di insegnanti attorno a un progetto di scuola e di
ricerca-azione.
Quali competenze professionali vediamo necessarie in un percorso formativo?
- La
competenza relazionale, empatica, e la pratica di ascolto e di sospensione del
giudizio
La comprensione e la condivisione delle emozioni e della loro incidenza su
blocchi, arresti, abbandoni
La capacità di osservazione e di ‘lettura’ dei percorsi mentali e dei punti di
criticità
La competenza negoziale, di gestione dei conflitti e di ricerca di soluzioni
creative assumendo i punti di vista altrui
L’apertura a dimensioni della professionalità non solo disciplinari ma fondate
sulle scienze umane e sociali e su quelle matematiche, fisiche e biologiche
nelle loro interazioni
La cura delle culture dell’infanzia e dell’adolescenza, l’attenzione ai diritti
L’apertura alla dimensione ecologica, alla sostenibilità, alla dimensione
planetaria, l’attenzione a porre in rilevo l’interdipendenza dei fenomeni
La competenza di mediazione didattica
L’assunzione di autorevolezza e responsabilità verso il gruppo classe come
organismo dinamico e sistemico
Il senso dell’etica pubblica e del bene comune
Un’ultima riflessione.
L’Italia
ha avuto buone leggi, buone riforme. Sempre incompiute. Come mai?
Una possibile risposta la fornisce in un’intervista Tullio De Mauro:
"In generale
le
classi dirigenti italiane ( politici, imprenditori, giornalisti, ricercatori,..)
tranne eccezioni storiche assai rare ( Giolitti, Calamandrei, i padri
costituenti, Olivetti) non hanno mai amato e non amano occuparsi di scuola e di
istruzione e hanno in proposito idee molto vaghe. Vedono l’istruzione come una
spesa, non come un investimento".