(14.09.2014)
“La buona
scuola” è una grande occasione
di Stefano Stefanel
“La buona scuola” è
una grande occasione per l’Italia e per la scuola italiana. L’accoglienza che la
proposta governativa ha ricevuto da alcuni dei migliori commentatori di settore
(Giancarlo Cerini, Antonio Valentino, Raffaele Iosa, Franco De Anna) induce ad
un certo ottimismo, anche perché gli “scalmanati” innamorati dei propri
preconcetti stanno attaccando dai vari siti con una virulenza che spero possa
limitare l’impatto della loro protesta. Peccato perché tra i più accaldati
contestatori pronti a citare la Costituzione a loro uso e consumo ci sono molte
persone valide e competenti, che scambiano la difesa del penoso status quo
della scuola italiana per il progressismo della loro giovinezza.
Credo sia importante da qui a novembre entrare nel dibattito con proposte,
interventi, osservazioni in modo da far uscire un provvedimento che incida
veramente sull’esangue sistema scolastico italiano. Anche perché ci sono in “La
buona scuola” elementi che riprendono alcuni punti cruciali delle Riforme
Moratti e Gelmini, senza demonizzare nessuno, ma cercando di comprendere anche
le buone ragioni di quelle riforme: opzionalità e mantenimento della riforma del
secondo ciclo sono i due elementi significativi su cui è bene ragionare. E
l’inclusione nel progetto di elementi culturali anche “non di sinistra” io credo
sia una cosa positiva.
L’assunzione di 148.000 precari è un azzardo anche perché tra questi si annidano
di certo molti problemi che cadranno sulle scuole, molti di loro sono in
graduatorie obsolete e inutili (stenografia, come notato da Andrea Ichino sul
Corriere della sera del 14 settembre 2014), molti sono rigidi e incapaci di
agire funzionalmente. Io credo che un qualche filtro prima di assumerli sarebbe
necessario, perché lavorare dentro un organico funzionale significa essere
flessibili, capaci di ascoltare le esigenze della scuola, trasversali e non
disciplinari. Però l’operazione è interessante e il tentativo di eliminare le
graduatorie permanenti degno solo di appoggio. Ed ancora più interessante l’idea
che si assumano docenti non per allungare ancora gli insegnamenti obbligatori,
ma per costruire organici funzionali per ampliare l’offerta formativa in capo
all’autonomia scolastica.
L’idea dell’organico funzionale d’istituto deve però essere integrata con una
rivisitazione del tempo scuola (io sono un fautore del monte ore annuale), delle
possibilità opzionali da fornire agli studenti (quindi meno tempo obbligatorio e
più scelte), delle competenze reali dei nuovi assunti (che sono legati a classi
di concorso fuori da ogni realtà). Inoltre il sistema di valutazione dei docenti
poggia su tre gambe molto solide (lavoro in classe, formazione, lavoro di
sistema), ma su strumenti valutativi fatiscenti.
Veniamo dunque sul punto che maggiormente produce il vociare tuonante della
forte componente di sinistra della scuola: il ruolo dei dirigenti scolastici. Il
dato che deve essere scontato è l’obbligatorietà di una loro valutazione secca e
unilaterale da parte del ministero. Ritengo che basterebbe fissare cinque punti
quantificabili in forma neutra e un’analisi reputazionale da tarare in maniera
da coprire gli spazi per arbitri e vendette per avere una valutazione
attendibile e a costi bassi. Faccio un breve esempio: se cinque categorie si
esprimono ogni anno in forma anonima sul lavoro di un dirigente scolastico
(docenti, ata, studenti, famiglie, enti locali) la valutazione è negativa solo
quanto tutte e cinque le categorie si esprimono in forma negativa. Negli altri
casi si restituisce al dirigente la valutazione in modo che verifichi il perché
di certe negatività. Io ritengo che se cinque soggetti su cinque danno
valutazioni negative sul lavoro di uno di noi sia giusto non ricevere
l’indennità di risultato e quindi non poter valutare il personale.
Qualsiasi meccanismo valutativo è complicato e costoso, Una valutazione data dal
dirigente scolastico invece è rischiosa ma non costa nulla. Ovviamente si
obietta che così i “servi del padrone” avrebbero voto alto e l’indipendenza dei
docenti andrebbe in soffitta. L’idea che il dirigente valuti il personale è da
Charter School, ma l’idea che un Nucleo interno valuti i colleghi mi pare ancora
più rischiosa, perché dopo trent’anni in una scuola uno ha idee sui colleghi che
nessun questionario può scalfire. Anche in questo caso ritengo sia possibile una
valutazione motivata del dirigente scolastico collegata ad una valutazione
reputazionale costruita come per il dirigente scolastico. E’ un discorso
complesso, ma se si connette la valutazione dei docenti a piani economici
faraonici, ad autovalutazioni, a sistemi che garantisccono il lavoratore ma non
l’utenza allora non se ne farà niente.
Esiste poi nel documento “La buona scuola” un elemento trasversale che
può spostare la riforma in un senso o nell’altro: se i richiami ad alternanza
scuola-lavoro, laboratorialità, musica, arte, economia, sport, coding, ecc.
creeranno nuovi faraonici, lunghi, stancanti quadri orari obbligatori renderemo
ancora più difficile l’adeguamento della nostra scuola alle esigenze europee. Se
invece tutte le suggestioni culturali e contenutistiche del documento saranno
indicazioni per una flessibilità didattica e di offerta formativa lasciata alle
scuole avremo fatto il grande salto di qualità. Una scuola con tante offerte,
tante possibilità e pochi obblighi è una scuola che si apre al futuro. Un tempo
piene nazionale e obbligatorio sarebbe invece la trasformazione di una proposta
fortemente innovativa in una nuova “scuola etica e oppressiva”.
C’è però nel documento del governo qualcosa che manca: l’abolizione del valore
legare del titolo di studio, una follia solo italiana che parifica le buone
scuole con i diplomifici, facendo scambiare, ai vocianti difensori del passato,
la costituzione per una sorta di difesa di un sistema scolastico che ci sta
portando alla bancarotta e alla disoccupazione di alcune generazioni di ragazzi.