(19.02.2017)
Autonomia didattica e organizzativa come area tematica prioritaria della Formazione
[1]
Come è noto ai più, nel Piano nazionale di Formazione (PNF) le nove priorità del
2016-2019 (cap. 4) sono raggruppate secondo tre tipologie di ‘competenze’ (‘di
sistema’, ‘per il 21° secolo’, ‘per una scuola inclusiva’).
L’Autonomia didattica e organizzativa
(che nel Regolamento dell’Autonomia -
DPR 275/99 - è esplicitata negli artt. 4 e 5 che ne definiscono gli ambiti) è
collocata dentro le “competenze
di sistema”[2]
di cui è un’area tematica prioritaria.
Tra queste “competenze” però stranamente non figura l’Autonomia
di ricerca e sviluppo (il terzo ambito) che non è comunque disgiungibile
dalle altre, per i ragionamenti che qui si svolgeranno.
A lungo enfatizzata come opportunità fondamentale per il
rinnovamento della scuola, l’autonomia scolastica di fatto ha prodotto però
pochi e poco significativi cambiamenti, per le tante ragioni che studi e
convegni degli ultimi 15 anni hanno analizzato[3].
Ragioni che non possono comunque essere ignorate, se si vuole che l’operazione
formazione, messa in campo col PNF, dia frutti.
Certamente una ragione è venuta meno: la formazione ha
finalmente ottenuto un posto di rilevanza strategica nelle politiche più
recenti, in termini sia di ridisegno complessivo di forme e
governance, sia di risorse messe in
campo.
Interessa in primo luogo annotare, a proposito della
priorità che qui si considera, che
l’Autonomia di cui si parla nel PNF assume ovviamente le tematiche degli
articoli del DPR citato, ma va oltre, prospettando nuovi “contenuti chiave” e
nuove “linee strategiche”: Leadership partecipata e Comunità professionale,
Comunità di pratiche e Modelli organizzativi, per citarne alcuni.
Vi si può certamente cogliere, in questo all’allargamento
di orizzonti (che, tra l’altro, diverse scuole hanno già sperimentato o stanno
sperimentando, in autonomia), un
tratto impegnativo e promettente della nuova formazione prospettata dal Piano
Nazionale.
Le linee strategiche della prima area. I punti di attenzione nel testo
ministeriale
Ma entriamo in media res per cogliere
senso e direzioni di marcia rispetto a questa
priorità, illustrata nel punto 1 del
capitolo 4.
Nel quale si riportano in sequenza: i
Contenuti chiave dell’area; le
Linee strategiche, che è la parte più
interessante; i Destinatari
(esemplificazione).
Una prima,
che evidenzia gli ambiti tematici
a cui potrà essere esteso l’esercizio dell’autonomia; e cioè
l’utilizzo funzionale delle risorse professionali
la costruzione di comunità professionali
sviluppo di forme di leadership educativa e di modelli
organizzativi che la rendano praticabile
potenziamento dell’Offerta Formativa
la costruzione di una
governance territoriale non dirigistica e centralistica.
Una seconda,
che evidenzia le
competenze necessarie e le modalità di lavoro più
appropriate per un esercizio produttivo dell’Autonomia:
progettare (in modo partecipato)
lavorare in modo collaborativo
valutare le nuove proposte che si intendono mettere in campo e
gestirle con professionalità
rendicontare
Una terza,
attenta a rimarcare senso e valore
della cultura dell’autonomia
caratterizzare una Istituzione Scolastica
sperimentare ed implementare l’innovazione
allargare il quadro delle opportunità formative.
Se la prima area potrà rendere più facile individuare le tematiche dei corsi, la
seconda solleciterà a curare / rafforzare / allineare le competenze necessarie
per definire correttamente tappe e strategie, risorse e destinatari, ecc..
Delle tre aree, la terza è quella che esprime il senso e
la direzione di marcia dei percorsi su questa
priorità. Senso e direzione di marcia
che possono essere resi evidenti da azioni e comportamenti professionali che
meglio esprimono la cultura dell’autonomia. Come ad esempio:
sviluppare consapevolezze e atteggiamenti
che valorizzino progettualità, ricerca e sperimentazione, in
contrapposizione a
logiche di natura impiegatizia o comunque meramente esecutive;
mettere in discussione,
da un lato, l’equazione di comodo: autonomia = libertà di
insegnamento (male intesa) che legittimi comportamenti
individualistici e autoreferenziali;
dall’altro, far
cogliere l’importanza del condividere obiettivi e strategie,
attraverso percorsi formativi in cui si sperimenti il valore
aggiunto di ambienti di lavoro collegiale curati e motivanti,
dello scambio di esperienze professionali, della cooperazione;
superare la visione distorta e povera per cui ogni scuola sia
una monade e le reti siano marchingegni organizzativi che fanno
solo perdere tempo. Frutto probabilmente di esperienze mal
costruite.
Le considerazioni precedenti, su ciò che ci si dovrebbe aspettare da una
formazione sui temi dell’autonomia (per i suoi tre ambiti), acquistano una base
più solida alla luce del dibattito e dei progetti di rinnovamento (in verità
piuttosto confuso) degli anni ‘90 e dei primi del nuovo secolo.
Penso, per esempio, che andrebbe riscoperta la prima ragion d’essere
dell’autonomia, che fu fenomeno europeo prima ancora che italiano a partire
dalla seconda metà degli anni ’80.
Il cui senso primo sta nel suo essere
risposta alle questioni della scuola come organizzazione complessa – in una
società complessa. Ritengo che questo aiuti
in primo luogo a rendersi conto che lavorarci – in questa
organizzazione complessa - è impresa particolarmente impegnativa, che
richiede per i suoi operatori un più di competenze e professionalità e quindi di
formazione; ma anche di autonomia di visione e di azione cooperativa.
Rilanciarla come strategia importante e necessaria
(facendo però tesoro delle esperienze pregresse e intervenendo in modo
conseguente) andrebbe visto pertanto come obiettivo non secondario dentro
l’operazione complessiva di questo PNF.
Le tematiche
Tra le tematiche,
riferite nel PNF all’autonomia didattica e organizzativa, tenderei a
privilegiare quelle che meglio potrebbero sollecitare autonomia progettuale e
operativa e quindi attitudini e competenze per fare buona scuola - che è la cosa
che conta -. Ne segnalo soprattutto le seguenti:
-
Il Piano triennale dell’offerta formativa
Obiettivi:
1. approfondire le opportunità di collocare su un arco triennale gli obiettivi e
il senso dell’”identità culturale e progettuale” dell’istituto; 2. rivisitare il
Piano di scuola in termini di
caratterizzazione dell’offerta formativa e della sua organizzazione, in
direzione di una sua maggiore efficacia; valorizzandone cultura e risorse
professionali e ambientali (v. Quadro 1);
-
Dal Piano alla Progettazione dei moduli di formazione
Obiettivo:
sviluppare le competenze del pianificare e progettare (conoscere, studiare,
sperimentare i modelli più adatti per il mondo della scuola e le logiche ad essi
sottese);
-
La scuola come comunità professionale
Obiettivi:
chiarirne il senso e la visione (come
prefigurarsi il traguardo), ricercare tracce nelle esperienze già fatte;
definire le condizioni: clima di scuola e condizioni organizzative per favorire
produttività e protagonismo dei vari luoghi della collegialità delle scuole;
-
Leadership partecipata e lavoro cooperativo tra i docenti.
Obiettivi:
come per il punto precedente.
Si tratta con tutta evidenza di tematiche tra le più dibattute
di questi anni, su cui si sono realizzate esperienze anche
significative che sono però rimaste dove sono nate; la sfida è
che su di esse ci si formi e si sperimenti in modo diffuso –
sempre in percorsi di formazione -, riconsiderandole nella
visione che è propria di una cultura dell’autonomia: che è al
tempo stesso un valore aggiunto e un fattore propulsivo.
Un buon Piano
formativo di scuola: Le voci
Un buon Piano formativo di scuola
- dove le priorità del RAV tenderanno a incrociarsi con le
priorità del PNF - dovrebbe prevedere, sulla base delle linee
guida del PNF e di alcune integrazioni suggerite dal buon senso,
ambiti tematici e
professionali
per i quali a fare da bussola sono le priorità
del RAV (PdM) e le esigenze formative
individuate e condivise come prioritarie
l’utilizzo,
nella gestione dei corsi, di
tecnologie informatiche e metodologie attive
non più eludibili (laboratori, workshop,
ricerca-azione,
peer
review, “comunità di pratiche” come
articolazioni delle comunità professionali,
sviluppo e ricerca azione dei percorsi previsti,
ecc.)
una
formazione specifica per le figure di
coordinamento e organizzazione
la ricaduta sulle
pratiche quotidiane
delle decisioni e scelte maturate nei vari
luoghi della formazione
una figura di staff
specifica
unità formative che comprendano, differenti opportunità culturali e professionali (corsi, attività di ricerca didattica e valutativa, attività di studio…), definiti flessibilmente nei contenuti, nella durata e nei risultati attesi. Tra queste un posto non residuale dovrebbe essere sempre previsto per i vari luoghi della collegialità di Istituto visti come potenziali comunità di pratiche e strutturate e formate conseguentemente.
Un buon PFI
di scuola dovrà anche preoccuparsi di
rinviare, specificandole
ed evidenziandole, alle varie buone opportunità formative
del territorio.
I destinatari.
La questione dei destinatari non è di poco conto. La L. 107 parla di formazione
obbligatoria (oltre che
strutturale e permanente).
Opportunamente. Anche se alcuni punti sono ancora da chiarire. Ma il discorso
che mi sembra preliminare è quello della motivazione tra gli insegnanti
soprattutto in questa stagione. E si lega al clima che c’è nelle nostre scuole,
che, se non è di disimpegno, non è neanche di grande disponibilità. Va aggiunto
che la situazione, proprio sul fronte della formazione, è tuttora confusa.
Certamente si stanno impegnando al meglio le Scuole Polo degli ambiti e si
stanno “allenando” le varie agenzie formative. Ma l’esito appare ancora molto
incerto.
Perciò la sfida più promettente adesso può probabilmente essere quella di
privilegiare come luoghi della formazione soprattutto le istituzioni scolastiche
e di darsi come obiettivo prioritario quello di
formare, coltivare e valorizzare, nei vari moduli e corsi che si organizzano,
docenti della scuola disponibili, motivati e possibilmente già dentro ruoli
organizzativi.
È perciò condivisibile l’indicazione del PNF, almeno per i corsi sull’autonomia
didattica e organizzativa, di individuare in questa fase i destinatari e
co-progettisti delle attività di formazione tra gli
insegnanti che coprono funzioni specifiche (Referenti di istituto, funzioni
strumentali, figure di coordinamento nei Cdc o nei Dipartimenti, tutor,
responsabili di commissioni o progetti, incaricati figure di presidio …).
Ma è buona cosa anche che il personale comunque interessato abbia accesso ai
corsi comunque predisposti.
L’indicazione – poi - del PNF di inserire, tra i destinatari delle proposte
formative su quest’area, anche il personale ATA interessato è certamente cosa
saggia e opportuna. Occorrerà ricordarsene.
Quello che infine mi sembra opportuno riprendere e ribadire, non solo con
riferimento ai contenuti e alle forme di una crescita professionale sui temi
dell’autonomia, è che, in questa fase, l’attenzione, da parte di chi ne ha
responsabilità, va soprattutto rivolta a
rendere
motivante la formazione.
Perciò particolare attenzione nella progettazione e organizzazione dei corsi
dovrebbe essere dedicata
ad accantonare
definitivamente in modo programmatico la modalità finora più
gettonata: le conferenze cattedratiche tutte giocate sulla
lezione frontale;
a riservare
attenzione e impegno
alle attività che siano in primo luogo risposta ai problemi del
fare buona scuola e modalità concreta per realizzare i
miglioramenti previsti dal PdM;
ad assumere sperimentalmente -
come luoghi potenzialmente promettenti della formazione -
ambiti aggregati di
lavoro collegiale (CdC, Dipartimenti …).
E guardando al futuro prossimo – e sempre con riferimento al problema della
motivazione – bisognerebbe cominciare a lavorare all’ipotesi di
riconoscere
le attività funzionali
(progettazione formativa, organizzativa, curricolare, analisi dei casi, PdM,
criteri e forme e prove di valutazione …)
opportunamente strutturate, connotate e
documentate, come attività di formazione – autoformazione sul campo, e
come tali
assolventi l’obbligo formativo.
Ma anche di riaprire la discussione sulle modalità di
valorizzazione della professionalità
come fattore tra i più motivanti e sensati per una formazione che incroci anche
il problema delle sue ricadute. Considerato che l’attuale meccanismo ha creato
più lacerazioni che motivazione e disponibilità a impegnarsi nelle scuole.
Ma qui siamo oltre.
[1] Il testo è la riproposizione, con alcuni tagli, dell’articolo, con lo stesso titolo, scritto per il n. 2 / 2017 della Rivista dell’Istruzione, Maggioli Editore.
[2] Che qui si preferisce intendere come “azioni formative garantite dal MIUR e sviluppate attraverso le diverse modalità a disposizione (…) e differenti partner” (Cap. 4: Come utilizzare il capitolo)
[3] Ragioni che vanno dalla precarietà endemica del personale alle ‘reggenze’ che continuano a pesare sui dirigenti scolastici chiamati a dividersi tra scuola di titolarità e scuola “aggiunta”; dal susseguirsi di riforme che riformavano poco ma disorientavano molto, accrescendo difficoltà e problemi, alla scarsissima attenzione dedicata ai problemi della formazione; da una politica del personale disattenta e miope alle spinte spesso pesantemente dirigististiche e neo centralistiche che hanno caratterizzato in negativo la gestione ministeriale della scuola pubblica….