(07.01.2017)
Piano nazionale della formazione e bonus
premiante:
se cambia il profilo del docente
di Stefano Stefanel
Il
Contratto collettivo nazionale dei docenti è fermo da quasi dieci anni e non
si vedono all’orizzonte volontà e risorse per il rinnovo. Non so quali strategie
abbiano ministero e sindacati per venir fuori da questa impasse, ma i segnali
che si vedono, anche a seguito della legge 107/2015, sembrano andare in altra
direzione. Non è nemmeno chiaro che cosa di quella legge verrà modificato da
accordi, note, concertazioni, né come si supererà la necessità che per derogare
una legge tramite un contratto ci deve essere una esplicita riserva di legge.
Come anche sarebbe interessante andare a fondo del perché un accordo
contrattuale debba impegnare anche i soggetti che non sono interessati da quel
contratto, ma poiché ormai tutto è emergenza va a finire che non c’è più alcuna
emergenza, ma solo una normalità un po’ complessa.
Se però al di là delle proprie convinzioni
ideologiche andiamo al fondo del problema vediamo chiaramente aprirsi tre
prospettive inedite:
-
l’aumento vertiginoso dei
soldi per la formazione tra Piano
Nazionale della Formazione, Piano
Nazionale Scuola Digitale, Fondi Pon
per gli Snodi Formativi dice che i docenti hanno bisogno di formazione
perché di fatto l’anzianità di servizio non è un elemento formativo;
-
il
bonus premiante il merito introduce
una parte di salario retribuita attraverso una decisione che rispetta dei
criteri ma non un contratto, perché alla base di quel bonus c’è l’idea che vada
premiato il merito di un docente e non il suo impegno orario, non la sua
anzianità di servizio, non il suo svolgere in modo corretto il suo lavoro;
-
i fondi attribuiti tramite
progetti sia nazionali che locali stanno aumentando in maniera vertiginosa e
anche qui vanno nella direzione indicata dal bonus premiante alla ricerca
dell’innovazione didattica e metodologica, della ricerca didattica, della
documentazione e della diffusione delle “buone pratiche” e non di prassi
trasmissive o di consolidati programmi.
Il profilo che ne viene fuori si pone in netta discontinuità
con il profilo del docente conosciuto finora, la cui carriera ere legata a
graduatorie connesse ai titoli d’accesso (voto di laurea ad esempio) e
all’anzianità di servizio. Quella carriera non aveva niente a che vedere col
merito (dato per scontato in assenza di demerito), coi progetti didattici, con
l’innovazione. Anche la formazione era sempre vista come una sorta di
diritto/dovere in cui il diritto la faceva da padrone sul dovere, dando per
scontato che chi non si aggiornava o formava non necessariamente faceva qualcosa
di sbagliato, perché comunque non c’è nulla come l’esperienza sul campo per
essere migliori e formati.
Questa impostazione ha permesso a milioni di docenti di
valutare senza aver frequentato un solo giorno di formazione sulla valutazione e
si vede bene come sono andate le cose con Ocse e Invalsi che analizzano la
scuola italiana attraverso tante e diverse informazioni nessuna delle quali
collegata al voto assegnato dai docenti. D’estate poi ci si straccia un po’ le
vesti (poche, è caldo) perché i voti della maturità più alti vengono dalle
Regioni con esiti Ocse e Invalsi più scarsi. Poi ci sono i pedagogisti più
affermati che regolarmente inorridiscono davanti alle misurazioni scambiate per
valutazioni, alle medie matematiche, ai voti dati solo su insulsi compiti in
classe (il cabarettistico “piegate un
foglio a metà e scrivete a sinistra”, prassi che ormai resiste solo a scuola
nell’ora di italiano) o su interrogazioni col metodo “a
domanda risponde” vera tomba della pedagogia e della valutazione formativa e
strumento ormai usato solo dai pubblici ministeri.
Il sistema che sta nascendo potrà essere anche ostacolato e
fermato da accordi sindacali che vogliono premiare l’anzianità o “fermare la
competizione”, dimenticandosi che la competizione la vuole fermare solo e sempre
chi ha già vinto. Chi, invece, non ha ancora vinto niente la competizione la
vuole, eccome. Per cui un sistema anche blandamente premiante il merito e non le
ore spese in un progetto o in un’attività viene visto come di per sé eversivo,
ma è quello a cui si arriverà. Magari non nel 2017 (possibile si torni al 2014
col bonus che si scioglie nel FIS), ma in tempi non lontani sarà premiato solo
il merito e quindi sarà il FIS che si scioglie nel merito: non retribuzione
aggiuntiva perché lo fai, ma per come lo fai. Si sta passando insomma
dall’eguaglianza all’equità e l’equità pretende che i migliori siano premiati.
In Italia non prevale l’idea banale che ogni anno è bene
bandire concorsi ordinari per tutti i posti vacanti di docenti, personale
amministrativo e dirigenti, ma prevale l’idea che ogni concorso è meglio sia il
più riservato possibile. Quindi non si cerca di dare a tutti il maggior numero
di possibilità, ma si cerca di dare a chi è più anziano più possibilità rispetto
a chi è più giovane.
Immettere in questo sistema formazione, progetti, premi per
il merito significa cercare di scardinare l’idea dell’insegnante come impiegato
che fa esperienza e che si ritrova questa esperienza in busta paga e nella
possibilità di lavorare vicino a casa. E’ un tentativo che forse questa volta
non riesce, ma che mostra una sua forza. Si basa però su un soggetto debole e
non ancora valutato come è il dirigente scolastico: non si può cambiare il
profilo del docente lasciando inalterato quello del dirigente scolastico. Nella
scuola dei progetti, dei piani nazionali e del merito il dirigente scolastico
non può essere colui che attende ordini da eseguire, applica in modo aggressivo
leggi e circolari, si dichiara innovatore sviluppando un’idea conservatrice di
scuola. Se tutto deve cambiare dobbiamo cambiare tutti.