(25.08.2015)
Su alcuni punti caldi
della riforma. E sulla ripresa di settembre
di Antonio Valentino
L’ultimo numero doppio di “Articolo 33” (n. 7-8 agosto 2015) ospita un articolo di Mario Ricciardi, docente di diritto e del lavoro all’Università di Bologna e, per parecchio tempo, membro autorevole della delegazione ARAN per i Contratti dei Dirigenti scolastici.
Del suo argomentato contributo condivido in primo luogo il senso di delusione rispetto alle aspettative che, col nuovo governo di centro-sinistra, erano un po’ di tutti: contrastare le forti tendenze al declino del sistema, attraverso opportune misure e strategie (che pure, anche se in modo ambiguo e contradditorio, era possibile cogliere nel primo documento governativo sulla Buona Scuola”).
Condivido anche le sue annotazioni sulla scrittura della legge: norme sovrabbondanti, involute e contraddittorie, destinate a generare conflitti interpretativi e contenzioso. E che non aiutano a creare entusiasmi.
Assieme al senso di condivisione, mi si è affacciato però più di un interrogativo, relativamente ad alcuni passaggi dei quattro punti su cui egli concentra la sua attenzione: l’Autonomia, la Governance, l’Alternanza scuola-lavoro, la Valutazione.
Interrogativi che vorrei qui riproporre e, per quanto possibile, riprendere evidenziando un’ottica, ove il caso, diversa.Sul primo punto
Condivido il suo ragionamento per cui l’autonomia è un problema di risorse. Anche se –ovviamente - non solo, come ben sappiamo.
Però, proprio per questo, non sottovaluterei , oltre alla previsione di una inversione di tendenza rispetto al blocco finanziario degli ultimi anni, l’importanza dell’organico potenziato della nuova legge che apre (potrebbe aprire) prospettive anche per accrescere le opportunità formative per gli studenti (soprattutto in termini di opzioni, corsi compensativi e facoltativi, ecc..).D’altra parte, pur riconoscendo che il c. 7 della legge è un chiaro esempio di mala scrittura (Ricciardi parla giustamente di “abuffata di cose”, che la scuola sarebbe tenute a fare), va comunque richiamato che, in ogni caso, è sempre la scuola a definire la propria offerta formativa, anche in relazione ad iniziative di potenziamento, e a scegliere i propri obiettivi .
Come pure qualche considerazione critica, su questo punto dell’articolo considerato, va fatta a proposito dei rilievi sullo school bonus di cui, come sappiamo, “potranno giovarsi solo le scuole inserite in contesti affluenti” (prevalentemente, quindi, le private).
Ricciardi - e molto probabilmente a ragione - parla al riguardo di dubbia costituzionalità e dubbia legittimità della norma (per il rischio di accentuare le diseguaglianze territoriali). Capisco la sottolineatura, e anche un po’ l’enfasi con cui ad essa si accenna, da parte di uno studioso ed esperto di diritto. Penso però al riguardo che quello che in primo luogo dovrebbe stare a cuore a tutti è che funzioni bene ( e sempre meglio) la scuola di tutti. I problemi di costituzionalità e legittimità - parlo ovviamente del punto in questione e nella situazione attuale - non credo possano costituire un terreno rilevante di battaglia politica. Non dovrebbero essere altri e più concreti – mi chiedo - i terreni da privilegiare?Sulla governance. È questa la questione in cui la legge è decisamente debole. Perciò è netta la condivisione con i ragionamenti svolti nell’articolo.
L’enfasi sulle funzioni del Dirigente scolastico (DS) e il silenzio sul ruolo dei docenti come comunità professionale responsabile - da costruire e favorire - sono una spia eloquente di una visione angusta della governance e di una non comprensione sia delle nuove competenze e responsabilità di fronte alle complessità organizzative – oggi - delle scuole, sia della centralità della questione docente. A proposito della quale evidenzierei anch’io, come fa Ricciardi, il versante – cruciale - dell’intreccio problematico tra “libertà di insegnamento ed esigenza di produrre collaborazione e concerto tra pari”.
Quello che, a mio avviso, dovrebbe dare da pensare di più sul punto non è tanto quello che c’è scritto nella legge e che si può prestare anche a implementazioni diverse (cosa vieta ad un DS di avvalersi – coinvolgendo i Collegi - di insegnanti disponibili e competenti nella individuazione del personale per l’organico potenziato? O anche per una prima orientativa proposta di “ indirizzi per le attività delle scuole … “, nell’elaborazione del POF?). Quanto piuttosto la mancanza di una visione al riguardo – normativamente fondata - che potesse aprire la strada all’innovazione e al miglioramento / sviluppo strutturale del sistema.
È difficile vedere infatti nel testo legislativo un’idea promettente di scuola o di insegnante (“professionista individuale o professionista cooperativo”? “Corpo docente o strutture reticolari a vocazione unitaria”?); né di Leadership educativa.Si deve sperare al riguardo che l’intelligenza dei nostri DS e un recupero di protagonismo da parte di quella fetta di insegnanti (non certo marginale) che in questi anni ha fatto funzionare al meglio le nostre scuole impediscano reciproche chiusure e favoriscano alleanze (a partire dai soggetti di cui sopra ) capaci di evitare ulteriori impantanamenti o guerre di religione di cui nessuno avverte il bisogno. Almeno penso.
Ma dobbiamo essere consapevoli che processi di questo tipo hanno necessariamente bisogno del supporto / sostegno dell’associazionismo professionale e, soprattutto sul fronte contrattuale che non si può eludere, delle organizzazioni sindacali.Sappiamo però che su quest’ultimo versante, la partita è ancora segnata da incomprensioni e contrapposizioni che si spera però possano in parte ricomporsi con la riapertura delle trattative per i prossimi rinnovi contrattuali.
Sull’alternanza scuola – lavoro. Penso anch’io, sul punto, che ci siano buoni motivi per temere che le misure proposte - soprattutto per il numero delle ore complessive previste per gli Istituti Tecnici e Professionali e per la divaricazione tra le 400 ore di questi Istituti e le 200 ore dei Licei – possano far nascere equivoci.
Si intravede in effetti, nel modo con cui la legge guarda all’alternanza, un tipo di “preoccupazione” - come opportunamente annota Ricciardi - che sembra essere quasi più quella di “distogliere gli studenti da libri e laboratori e far loro respirare l’aria dell’azienda”, che di concorrere a recuperare una dimensione operativa degli apprendimenti e a permettere loro di misurarsi con ambienti altri, rafforzando l’aspetto formativo e orientativo dell’esperienza scolastica.
Non vorrei però – ed è questo l’aspetto che mi preme evidenziare - che la sottolineatura di questa criticità ci facesse segnare il passo su un terreno strategico per la formazione dei nostri studenti.
Perciò ritengo giusto e apprezzabile l’intento della legge di estenderne la fruizione a tutti gli studenti (si prevedono opportunamente risorse finanziarie di un qualche peso), secondo regole e procedure facilitanti. Quello che è importante però – e che mi porta a considerare comunque positiva l’annotazione critica del Professore - è che esse possano essere diversificate nei tempi e nelle modalità, sulla base sia delle prioritarie esigenze formative individuate dalle scuole, sia delle opportunità del territorio.Sulla valutazione. È questa parte del contributo di Ricciardi su cui è opportuno qualche chiarimento in più. Mi sembra infatti che, nell’articolo considerato, il termine valutazione sia sostanzialmente “sprecato”. Dal momento che viene utilizzato – se ho beni inteso - nel contesto normativo della premialità, battezzata un po’ furbescamente “valorizzazione della professionalità”.
Ma su questo ho già scritto altre volte, per dire che si tratta della norma più brutta di una legge che pure nell’insieme avremmo voluto che scaldasse di più.
Si potrebbe invece osservare che proprio la valutazione è piuttosto un capitolo mancante della riforma.
Né la nuova composizione del Comitato di valutazione (comma 129) - chiamato a individuare “i criteri per la valorizzazione della professionalità” (i premi per i docenti ‘meritevoli’) e ad esprimere “parere sul superamento del periodo di prova” - fa fare passi in avanti (anzi!) su questo delicato e importante aspetto della vita scolastica.Ciò detto, resta il problema cruciale di come porci di fronte a questa legge, che pure c’è ed è una legge che, fintanto che c’è, è una legge del nostro stato.
Qui il discorso diventa ovviamente difficile e complicato.
Penso comunque che debba essere un punto fermo la valorizzazione delle potenzialità della legge che c’è. E che faremmo male a snobbare anche i suoi punti qualificanti (a partire dall’organico potenziato, con le opportunità che apre; dalle misure per il superamento del precariato, piaga endemica della nostra scuola; dalle risorse finanziarie, che cominciano a crescere, anche se in misura inferiore rispetto a quelle tagliate con l’ultimo governo Berlusconi …)..
Come pure penso che vada qui recuperato il principio che, più che l’applicazione pedissequa della norma, debba valere la sua interpretazione e una sua implementazione in termini che siano comunque coerenti con la legislazione più generale sull’autonomia e il suo principio ispiratore: garantire il successo formativo di tutti e di ciascuno.
Questo, tra l’altro, mi è sembrato il messaggio che lo stesso Berlinguer ha voluto lanciare all’incontro romano del PD sulla scuola a fine luglio; e che si potrebbe proporre come linea guida operativa per il prossimo anno scolastico.
La qual cosa ovviamente non esclude, anzi richiede, per i ragionamenti fatti prima, un più generale impegno, a partire dal fronte associativo e sindacale, per un superamento delle norme sbagliate o ambigue e la previsione di un quadro più efficacemente riformatore.