(20.10.2014)
La rete
aumenta la democrazia? Una preoccupante analisi internazionale
una relazione di Amanda
Clarke con commento di Fabio Chiusi
a cura di Rodolfo Marchisio
World Forum for Democracy 2013
Il rapporto rete - democrazia è oggi
parte fondamentale della cittadinanza che si dovrebbe apprendere a scuola e
portare nella società.
In questi anni si è fatto un gran parlare di «democrazia digitale». C’entra la
proposta di Beppe Grillo di sostituire i partiti e la democrazia rappresentativa
con una «iperdemocrazia» fondata sull’intelligenza collettiva in rete, ma anche
il moltiplicarsi di piattaforme informatiche – in Italia e nel resto del mondo –
deputate a promuovere il dialogo tra cittadini e istituzioni in rete, dalle
consultazioni online fino alla proposta e la stesura collaborativa di leggi.
Di iperdemocrazia hanno parlato S.
Rodotà, per
Laterza e Grillo, ben analizzato da F. Chiusi sul
Nichilista La rete di Grillo non esiste.
Noi avevamo già trattato il tema su questa
rubrica.
Di democrazia digitale e del rapporto rete-democrazia, legato alla crisi di
rappresentatività, oltre che alle “nuove” proposte avanzate da alcuni movimenti
nel mondo, si è anche parlato al
World Forum for Democracy 2013 Strasburgo, mille esperti di ca 100 paesi.
Cominciamo di qui. F. Chiusi
commenta su Wired online la relazione centrale di A. Clarke, Univ. di
Oxford. I dati sono allarmanti.
Un’analisi finalmente basata su dati e non su contrapposizioni che hanno fatto il loro tempo. Proviamo a sintetizzare alcuni passaggi citati anche da F. Chiusi:
· Nell’era dello slacktivism e delle proteste alimentate dai social media, tra i tardi anni 80 e i tardi 2000 è diminuito del 20% il numero di persone che dice di avere firmato petizioni (dal 76 al 56%), e anche il numero di persone che dice di aver preso parte a una manifestazione di protesta di natura politica (dal 62 al 51%).
· In Italia a fronte di una partecipazione politica e sociale in lieve crescita dal 2007 al 2013, si registrano livelli di fiducia minimi (e in discesa) per Parlamento e partiti (rispettivamente, 7,1 e 5,1%) e una più generale fiducia nelle istituzioni politiche crollata dal 41 al 24% negli ultimi otto anni.
· Solo la scuola stranamente resiste al primo posto (oltre 52 %, più del Presidente della Repubblica).
Il web non aumenta automaticamente la democrazia o la partecipazione
· La conclusione è che non c’è alcun «determinismo tecnologico» che assicuri un rapporto di causa ed effetto tra maggiore utilizzo di piattaforme e risorse web e incremento nella qualità della vita democratica. «Pur se la rete si è dimostrata in certi casi un potente strumento di democrazia», si legge, «non dovremmo adottare una posizione tecnologicamente deterministica che assume che Internet favorisca necessariamente gli ideali democratici». Perché il web, prosegue l’autrice, «è ciò che ne facciamo». E se ciò che ne facciamo è uno strumento di sorveglianza globale (come si è visto per il Datagate) o di censura e repressione del dissenso, «è probabile che la fiducia dei cittadini si riduca ulteriormente».
· La politica deve rendersi conto che ai luoghi della partecipazione tradizionali se ne sono aggiunti degli altri, su cui «non ha più il monopolio», e deve cercare di sfruttarne al meglio le potenzialità per consentire un migliore controllo del suo operato da parte dei cittadini.
Due conclusioni
Se l’obiettivo è «sviluppare nuove modalità di votazione, affiliazione partitica e partecipazione diretta che siano più attraenti per i cittadini», e se «ciò può voler significare» addirittura «reinventare, o abbandonare, le prassi tradizionali della democrazia rappresentativa» - Demos dice che per il 48,5% degli italiani la democrazia può funzionare senza partiti - la sensazione è che molto resti da fare. Il segnale positivo è che, dopo decenni di battaglie ideologiche pro o contro «Internet», la presa di coscienza della necessità di approcciare il problema da un punto di vista più pragmatico comincia a emergere con forza tra gli addetti ai lavori, e nei luoghi che contano.
Ora sta a noi cittadini e utenti chiedere fatti, impegno, coerenza, attenzione al legislatore: le parole, lo abbiamo visto, sono rimaste parole, commenta Chiusi.
Approfondiremo il problema con l’aiuto di S. Rodotà che ci lavora da anni, su questa rubrica.