(30.09.2014)
#Sblocca-la
buona scuola
di Giancarlo Cerini e
Antonio Valentino
Perché
non scatta la luna di miele?
Il documento del
Governo su “La
buona scuola”
(3 settembre 2014) non è
ancora diventato oggetto di una discussione vera e approfondita tra gli
operatori della scuola. Prevale uno stato d’animo
di sfiducia e disimpegno verso le “grandi
riforme”. Dopo
15 anni di provvedimenti approvati, sospesi, attuati (che non sembrano aver
aumentato la qualità
della scuola) quasi tutti stanno sulla difensiva (“comfort
zone” dice
il documento…).
La realtà di
un definanziamento del 7-8% della scuola statale nel quinquennio 2008-2013 (con
i 140.000 operatori scolastici, tra insegnanti e amministrativi, in meno) si
ripercuote negativamente sulle condizioni di lavoro (classi più
numerose, modelli didattici più
frammentati, penuria di risorse, ecc.). Qualche segnale in controtendenza (la
legge 128/2013, il c.d. decreto “Carrozza”)
stenta a tradursi in cambiamenti visibili. Di qui occorre ripartire, senza
enfatizzare le responsabilità
di una scuola (che non vorrebbe mettersi in discussione), o addossare le colpe
alle organizzazioni sindacali (ormai conservatrici per definizione…)
e impegnando la politica a dare il meglio di sé
(nel linguaggio, nei toni, nello stile, nella ricerca di condivisione). Occorre
uscire dalle reciproche diffidenze, dallo strisciante conflitto tra
“giovanilismo”
e “vecchia
guardia”, dal
“rinuncianesimo”
che sembra aver colto la società
italiana (e la scuola).
C’è ancora “grasso che cola”?
Forse il documento dovrebbe dare con più forza il senso del cambiamento:
si inverte la tendenza, si torna ad investire sulla scuola (ci sono alcuni miliardi in più per il sistema educativo, ma occorre tenere a freno la “spending review”: è difficile fare una riforma con una manovra a somma zero);
c’è una espansione di risorse, visibile nella creazione di un organico funzionale (superiore al rigido conteggio delle cattedre) che consente di stabilizzare oltre 148.000 insegnanti (sfondando un organico di diritto che si ferma a 600.000 docenti);
c’è da ammodernare la cultura pedagogica della scuola (troppo evidente il rito delle lezioni frontali), ci sono da aggiornare i curricoli (con un giusto dosaggio tra i nuovi linguaggi e i vecchi alfabeti, oltre che salvaguardare le tradizioni del “made in Italy” che non sono solo produttive (pensiamo all’arte e alla musica);
l’autonomia deve essere più coraggiosa, non nel senso di striscianti modelli aziendalisti, ma per riscoprire il valore della responsabilità, del lavoro ben fatto, dell’iniziativa, della libertà, della condivisione (si cresce tutti assieme, non solo perché qualcuno ha le mani libere, ma la governance deve essere meno bizantina di quella odierna…);
cambiano le regole della professione: si accantona il quieto vivere della progressione per anzianità e si propone un dinamismo di carriera legato ad impegni e competenze, da documentare in un portfolio che individua nuovi standard professionali. Anche una diversa struttura dell’orario di servizio avrebbe dovuto far parte del “pacchetto” (ma è stata accantonata appunto per il quieto vivere di tutti).
E’ evidente che ognuno di questi punti positivi è a rischio, non è garantito, potrebbe essere smentito (cosa dirà il Tesoro? I 148.000 neo-assunti che qualità porteranno? La valutazione ci farà veramente crescere? I privati che si affacciano sulla scuola rispetteranno la sua autonomia culturale? Domande impegnative, senza rete, ma una sfida necessaria per provare a rimettere la scuola al centro del futuro del Paese. Perché, in effetti, ci aspettiamo molto di più delle 136 pagine della “Buona Scuola”, ma di lì occorre pure passare.
Le nuove regole della professione docente
Adottare un diverso modello professionale per i
docenti, basato su un profilo di qualità
(meriti e impegni), con una conseguente progressione economica di carriera, non
basata sull’anzianità,
si può
considerare la misura più
incisiva per la riuscita delle altre proposte del documento. Diventa il
passaggio nodale dell’intera
operazione.
Come rendere accettabile e appetibile la proposta degli scatti triennali di
competenza? Ci sono alcune pre-condizioni che appaiono indispensabili.
Abolire la soglia del 66% dei docenti, che - per come
è configurata nel documento (sulla
falsariga del Decreto Brunetta: il dlgs. 150/2009) -, rischia di alimentare
ricadute negative sul clima di scuola. Occorre lucidamente considerare l’eventualità
molto probabile, in caso di suo mantenimento, che l’intera
operazione trovi ostacoli insormontabili (come al tempo di Berlinguer).
Tutti i docenti possono aspirare allo scatto di competenza, al raggiungimento di un determinato standard professionale. La competizione, semmai, è solo con se stessi, con l’idea di insegnante che si vuole interpretare (e che è descritta nel format del portfolio).
Dare al modello di crediti e portfolio del documento semplicità e linearità nella gestione (senza complicazioni e tortuosità burocratiche). Soprattutto considerando gli “oggetti” da valutare (prestazioni, comportamenti, risultati - ove il caso -) come operazione trasparente e “pulita” (per esempio, più in termini di rilevazione e/o certificazione di evidenze empiriche, che come pratica che richieda marchingegni valutativi di tipo concorsuale).
Collocare, nelle tre aree individuate (formazione, organizzazione professionale, didattica), a livelli raggiungibili da tutti, “l’asticella” / traguardo / standard per la maturazione del credito. Deve essere comunque in qualche modo visibile il cambiamento che viene richiesto. Il messaggio dovrebbe essere: chi non si impegna per raggiungere gli standard previsti si colloca per scelta autonoma fuori del progetto di miglioramento.
Prevedere, in via di prima ipotesi da perfezionare e rendere gestibile, un punteggio massimo, nel triennio, per ogni area (non necessariamente dello stesso peso tra le diverse aree). Dovrebbero contribuire alla maturazione del punteggio[1] aspetti del lavoro docente, considerati più importanti e significativi.
Profilare i crediti
A solo titolo di esempio, proviamo a concretizzare queste idee scendendo nel concreto delle tre tipologie di crediti (formativi, professionali, didattici) che rappresentano un buon equilibrio della professionalità docente che si vuole descrivere.
Per esempio, per i crediti formativi, si potrebbero far valere:
la partecipazione a corsi di formazione organizzati dalla scuola a cui seguano effettive ricadute sull’attività didattica;
la partecipazione a corsi on line o in presenza, preferibilmente in rete, relativi ai campi del sapere, della didattica e del “fare scuola” (competenze, valutazione, nuove tecnologie);
la partecipazione a gruppi di ricerca-formazione, anche coincidenti con il Consigli di classe o interclasse o gruppi di dipartimento …, strutturati come gruppi di ricerca e di autoformazione guidata, sulla base di un progetto specifico (contrasto alla dispersione, gestione delle classi, integrazione tra le discipline, ecc.).
Il documento parla di “obbligo della formazione” e quindi è pensabile che si definisca un budget annuale di formazione (es. 25 ore) che non necessariamente si concretizza, come abbiamo visto, nella generica frequenza di corsi di aggiornamento.
Per i crediti professionali
Le attività e le funzioni da considerare potrebbero essere soprattutto quelle che oggi sono prevalenti nella vita delle scuole: collaborazione, coordinamento e presidio (dei dipartimenti, dei consigli di classe, di commissioni di lavoro e gruppi di progetto, delle iniziative di scuola ), funzioni obiettivo (volendo recuperare la formulazione, decisamente più ricca rispetto a “funzione strumentale”, del contratto del 1999). Oltre, ovviamente, quelle di mentoring, previste dal documento governativo (accompagnamento dei neo-assunti, formazione, ecc.).
Per i crediti didattici
Esemplificazioni potrebbero essere fatte anche
per i crediti c.d. didattici. Si potrebbero cosiderare, se ci riferiamo alla
scuola secondaria, le seguenti voci: tutoring/counselling, recupero/sostegno
individualizzato, sperimentazioni innovative (soprattutto se definite nei
dipartimenti o in gruppi di progetto), gestione d’aula
e relazione educativa, risultati (considerati in relazione alle caratteristiche
della classe, del consiglio di classe e del territorio).
La validazione dei crediti didattici rappresenta l’aspetto
più delicato
della questione: è
possibile pensare a forme di autovalutazione, di documentazione del lavoro, di
peer review (osservazione in classe), di supervisione professionale a
cura di un “mentor”.
Situazioni da vivere in una ottica prevalentemente formativa e collaborativa.
Dall’anzianità al merito: a patto che…
In definitiva, qui si assume l’ipotesi che la trasformazione degli scatti di anzianità in scatti di competenza, prevista nel documento governativo, possa rappresentare per la nostra scuola (ma non nei termini in cui essa è al momento formulata) un elemento motore per progettare un credibile miglioramento della qualità dell’insegnamento con l’uscita dal “grigiore dei trattamenti indifferenziati”, ma salvaguardando lo stile collaborativo che deve caratterizzare ogni comunità scolastica. Questa ipotesi ci sembra auspicabile, in base alla considerazione di fondo che nessuna riforma può avviarsi senza il coinvolgimento e il protagonismo dei docenti.
Quindi possiamo esprimere un sì convinto alla proposta di valorizzare impegno e merito, cui diano però forza e senso alcuni paletti o garanzie:
- liberare il testo da scivoloni stravaganti, tipo: “i docenti mediamente bravi” che, per avere più chance di maturare scatti “di merito”, potranno “spostarsi in scuole dove la media dei crediti maturati dai docenti è relativamente bassa…” (!);
- la maturazione dei crediti sia alla portata
di tutti; cioè
che tutti (o la maggior parte possibile) possano essere portati a mettersi
positivamente in gioco, perché:
superare l'asticella non è
ritenuta impossibile, perché
c'è un
tornaconto, perché
può risultare
gratificante;
- il governo si impegni a incrementare il fondo (per un bonus più
sostanzioso e per erogarlo a tutti coloro che maturano i crediti per gli
scatti, avendo raggiunto lo standard richiesto. Può
sembrare questa una pretesa assurda in tempi di vacche magre. Ma non lo
è affatto. Si può
infatti sostenere, con un buon fondamento, che se ciò
avvenisse, vorrebbe dire che la macchina scuola comincia a mettersi in moto. E
saremmo in presenza di un nuovo dinamismo nel sistema educativo (e nel sistema
paese);
- che il sistema dei crediti venga costruito in modo tale da prevedere prestazioni / comportamenti che oggi sono propri di una minoranza dei nostri insegnanti (i più impegnati; quelli che fanno sì che il sistema non crolli, anche se non riescono ad essere massa critica per obiettivi di miglioramento diffuso, all’altezza dei tempi) e che siano quindi chiaramente configurabili come fattibili;
- che questo nuovo modello di progressione (di crediti e portfolio) sia nazionale e quindi costruito sulla base di regole che valgano per l'intero sistema (evitando un dispersivo fai da te, scuola per scuola). Una scelta diversa frantumerebbe il sistema e sarebbe di improbabile gestione. Questo però a una condizione: che gli indicatori da prendere in considerazione per i crediti didattici e professionali non considerino i risultati degli allievi come l’indicatore principe. Sappiamo tutti che ottenere risultati positivi e introdurre innovazioni nelle scuole “bene” e ben gestite è decisamente più facile e molto meno pesante;
- che il nucleo di valutazione annuale sia interno alla scuola (come previsto dal Piano: Dirigente Scolastico e nucleo di valutazione di Istituto), ma che la valutazione finale - a conclusione del trienno - veda la presenza, a fianco del Dirigente Scolastico, di un soggetto terzo, espressione dell'Amministrazione (un Dirigente tecnico) a garanzia di terzietà e omogeneità del sistema (questa valutazione potrebbe fondarsi essenzialmente - ma non esclusivamente - sulla verifica della corretezza dell'operato della scuola nell'attribuzione dei crediti e sulla consistenza delle evidenze / rilevazioni che permettano l’attribuzione dello scatto di competenza);
- che, per i crediti formativi, il sistema offra garanzie circa la possibilità di maturarli attraverso esperienze di vario tipo (e non solo corsi più o meno tradizionali e on line: il Piano Scuola contiene proposte al riguardo), promuovendo opportunità formative che abbiano appeal (per la qualità della proposta, per la capacità di coinvolgimento, per la loro operatività), sia nel territorio sia all’interno delle scuole.
Costruire con-senso
C’è
infine – ma
non certamente ultima ai fini della buona riuscita dell’operazione
– la questione
del coinvolgimento dei vari soggetti che gravitano intorno all’istituzione
scuola e quindi delle sue varie espressioni.
Fondamentale è
certo il coinvolgimento di tutti da sollecitare e favorire - a partire dalle
componenti scolastiche; va valutata positivamente la consultazione on line,
sulla base dei quesiti proposti.
È da ritenere
però che i
soggetti da valorizzare siano soprattutto le associazioni professionali del
mondo della scuola e le organizzazioni sindacali. Su un terreno come questo non
è possibile
considerare il sindacato un soggetto come tutti gli altri, se non addirittura
inutile o dannoso. In base al retro-pensiero che la situazione pesante della
nostra scuola sia imputabile soprattutto ai sindacati, lasciando sullo sfondo le
responsabilità
della classe politica.
Certamente c’è
da ribadire il primato della politica. Purché
la politica non intenda affrontare le situazioni con atteggiamenti muscolari e
sappia lanciare le sue sfide, chiamando i vari soggetti coinvolgibili a fare la
propria parte, nel rispetto dei ruoli che la Costituzione prevede.
Per fare qualche esempio, sui temi dell’organizzazione
del lavoro e delle retribuzioni, come sul tema delle tutele, perché
non ridare senso nuovo alla contrattazione, parlandosi e misurandosi, senza veti
reciproci e senza sfide all’OK
Corral?
[1] Probabilmente, nella determinazione del punteggio parziale, da attribuire alle singole voci dei vari aspetti del lavoro docente, bisognerebbe stabilire una sorta di range - ovviamente gestibile - in relazione alla complessità delle singole situazioni. Una cosa è ad esempio – per i crediti professionali - essere “referente” del DS per un plesso di 10 classi, altra è per un plesso di 20. Vale poi, in questi casi, quanto previsto nel documento governativo: cioè che gli scatti riconosciuti triennalmente attraverso il sistema dei crediti non cancellano la retribuzione annuale per incarichi aggiuntivi (MOF).