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LA BUONA SCUOLA OGGI: Documenti e interventi su  "Piano Renzi" (settembre 2014)

(06.06.2015)

Scuola: simulare il cambiamento
di Giuseppe Torchia

               

La sconclusionata riforma Renzi-Giannini ha scatenato reazioni altrettanto sconclusionate.
Docenti che declamano molto generosamente le proprie virtù e i propri meriti. Dirigenti preoccupati di difendere il proprio ruolo e desiderosi di conquistare una posizione di maggior "rilievo decisionistico" nel contesto dell'istituzione scolastica.
Sono nella scuola da circa 35 anni, ho attraversato tutti gli ordini e gradi, dalla fascia 3-6 a quella attuale 11-14 e raramente mi è capitato d'incrociare nelle mie relazioni professionali docenti con la vocazione al cambiamento. Mi sono ritrovato per lo più a vivere in un ambiente asfittico che generava in me uno stato d'animo prossimo a quello patito quando ero studente. Forse sono stato sfortunato ma le mie conquiste culturali adolescenziali le ho fatte tutte al di fuori della mia condizione di studente. Le esperienze culturali extrascolastiche, soprattutto teatrali, mi hanno forgiato regalandomi il senso della cultura come vita pulsante mentre nella scuola il sapere galleggiava come un cadavere sulle acque di un fiume. A quei tempi la scuola e i docenti erano politicamente visti come strumenti di riproduzione dell'organizzazione sociale vigente (si vedano, tra l'altro, le analisi di Ivan Illich
[1] e di Pierre Bourdieu [2] ). Ebbene oggi, a distanza di più di 40 anni, a leggere le "autocertificazioni" dei miei colleghi [3], molte delle quali senz'altro in buonafede, sembra che tutti i docenti siano diventati "agenti del cambiamento" e si siano lasciati alle spalle i tempi in cui erano “agenti della conservazione”.

Si tratta di una rappresentazione veridica o idealizzata ed  autocompiacente della propria identità professionale ?
Possiamo provare a immaginare il lavoro scolastico dei docenti come un libro-glossario composto da parole-chiave in grado di descrivere “lo stato dell'arte” della docenza.
Potremmo quindi sfogliarlo e fermarci a leggere qualche sua parola-chiave che ci racconti onestamente com'essa è praticata nelle routine scolastiche. Ad esempio, la parola 'collegialità'. E' la parola-sentinella della democrazia, l' antidoto all'individualismo e all'autoritarismo. Il solo nominarla evoca tutto ciò che di positivo ad essa si può associare: dialogo, partecipazione, condivisione ecc. Accade così che si salti l'onere della “prova” : la riflessione sul modo in cui è praticata, agita nel contesto reale della scuola. Senza riflessione le parole o le frasi si tramutano in slogan e il ”parlare per slogan” è proprio ciò che si rimprovera alla controparte politica quando propaganda le virtù del suo Disegno di Legge.

Riflettere sulla “collegialità” significa porsi delle domande sul suo funzionamento reale. Si deve assumere uno sguardo dall'esterno pur essendo parte del contesto (l'organo collegiale) allora forse scopriremmo:

Se decodifichiamo le difficoltà degli alunni che vanno male a scuola in termini di disturbi, le consideriamo come qualcosa che appartiene alla  loro soggettività. In tal modo non ci sentiamo chiamati in causa, non riconosciamo che noi siamo parte dei fattori contestuali che concorrono a determinarle.

Ricordo la mia prima esperienza scolastica come docente di scuola elementare delle attività parascolastiche comunali in un paesino della provincia di Milano. L'ambiente socioculturale ed economico di provenienza degli alunni era di livello basso. Allora si ragionava in questi termini: si decodificavano le difficoltà legandole all'ambiente di vita dell'alunno e sulla scia  delle parole di Don Milani e altri, si tentava di strutturare una proposta didattica ed educativa adeguata. Che si riuscisse o no, questo è un altro paio di maniche. La scuola italiana non è mai riuscita a compensare le disuguaglianze culturali  ed oggi l'OCSE in un suo studio pubblicato nel dicembre del 2014 in relazione ai compiti a casa [6] rileva ch'essa penalizza anziché aiutare gli studenti con condizioni socioeconomiche svantaggiate. Le generazioni di docenti più anziani, gran parte oggi in pensione, nel timore di apparire discriminativi, si trattenevano dal colpevolizzare i loro alunni per le gravi lacune che manifestavano. Avevano convinto se stessi, aiutati dal clima culturale respirato negli anni giovanili, che gli alunni più deboli fossero quelli che andavano più aiutati e se non vi riuscivano si auto-assolvevano valutando gli alunni in modo più bonario e nel rispetto del principio (giusto) “primo : non nuocere”. Questi pudori appaiono oggi alquanto superati da un atteggiamento più aggressivo nei confronti degli alunni più deboli dal punto di vista del rendimento. Se non hanno disturbi diagnosticati o “concordati” all'interno del team o del consiglio di classe [7], sono senz'altro affetti da disimpegno cronico. Sono alunni che “non fanno niente”, che “credono che la promozione sia gratis”, che “se li promuoviamo che figura ci facciamo”, e così via. Riduciamo e dissolviamo le nostre potenzialità osservative nel giudizio ma osservare significa comprendere ed agire liberi da un’ansia classificatoria. In questo clima culturale accade così che qualcuno evochi l'azione rigeneratrice della bocciatura come strumento di riabilitazione della serietà della scuola dimenticando che questa “ideologia valutativa” è la stessa che ha animato le misure della contestata ex- ministra Gelmini. Alludo alla nefasta riforma della valutazione [8] con ciò che ne è conseguito sul piano dell'introduzione del voto numerico e della valutazione finale nell'esame conclusivo del primo ciclo d'istruzione. Una misura legislativa a cui i docenti si sono docilmente assuefatti e che li vede talvolta protagonisti di appassionate dissertazioni sul “dosaggio” quantitativo dei voti finali. Una misura legislativa che andrebbe semplicemente abrogata perché in contrasto col concetto di valutazione formativa che da tempo attende, per essere realizzata, comportamenti del corpo docente e scelte del Legislatore con essa coerenti.

E così dalla lettera 'D' siamo scivolati alla lettera 'V' del nostro libro-glossario (V come Valutazione). Abbiamo saltato voci che meriterebbero un approfondimento. Ad es. alla lettera 'F' possiamo trovare: 'Flessibilità organizzativa e didattica', un'espressione del vocabolario dell'autonomia rimasta silente ma che  ha una sua rilevanza perché potrebbe aprire la strada  al superamento dell’ “idea della scuola come un agglomerato di classi dove si va per ascoltare la lezione” [9]. Alle resistenze manifestate da noi docenti su questo punto, attaccati come siamo ad un'organizzazione che ci appare più rassicurante e comoda [10], la “buona scuola” risponde con “ un generico elenco di buone intenzioni, le quali non avrebbero bisogno di vuote ridondanze, perché le norme già ci sono a partire dalla nostra Costituzione, per finire con il Dpr n. 275 del ’99 sull’autonomia scolastica. Ciò che manca sono le risorse finanziare e umane, una cultura della scuola all’altezza dei tempi.” [11] Eppure il governo ha spacciato questo punto normativo (art.1 del DdL) come una novità epocale anziché rimboccarsi le maniche e concedersi il tempo di un'analisi scientifica del perché dopo più di 15 anni ci ritroviamo, rispetto all'autonomia, al punto di partenza.

 Si potrebbe continuare evidenziando altre voci del libro-glossario. Ad esempio, alla lettera 'L', troviamo  l'abusata voce 'libertà d'insegnamento', il nostro tesoretto che custodiamo gelosamente, perché è nostro e nessuno ce lo può togliere. Una sorta di zona franca che confina con il libero arbitrio se non è al servizio dell'efficacia dell'insegnamento. E se ancora scorriamo velocemente le pagine e scivoliamo alla lettera 'V' troviamo una voce poco trattata: 'visione gerarchica delle discipline', strutturalmente prescritta dall'alto cioè come il portato della dimensione organizzativa della scuola  e coltivata e sostenuta dal basso dai docenti in sfregio all' ipercitata teoria delle intelligenze multiple nella letteratura pedagogica.
Insomma ci sono scarse ragioni per adottare nel contesto storico attuale della scuola italiana la visione manichea del Noi-buoni (i docenti), Loro-cattivi (i decisori politici). In queste righe non ho cercato in modo autolesionistico di far ricadere la “colpa” dello stato delle cose su noi docenti quanto di suscitare dubbi rispetto ad una autorappresentazione benevola della nostra 'identità professionale' alla quale mancherebbero soltanto le risorse finanziarie ed umane  per essere pienamente ciò che già riteniamo di essere (agenti del cambiamento)Ad un governo che ostenta le virtù taumaturgiche e progressiste di un minestrone legislativo privo di qualsiasi premessa pedagogica forse dovremmo controbattere non con l'orgoglio di ciò che siamo ma con la promessa di ciò che vogliamo diventare

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[1] Illich I., (2010), Descolarizzare la società, Milano, Mimesis

[2] Bourdieu P., (2006), La riproduzione, Rimini, Guaraldi.

[3] Mi riferisco a quella mole consistente di critiche, opinioni, dichiarazioni, petizioni, parole d'ordine, slogan ecc. che si è sviluppata a partire dalla pubblicazione del documento “La buona scuola” e che ha usato soprattutto Internet (siti e social network)  come strumento di comunicazione.

[4] cfr. Sclavi M., (2003), Arte di ascoltare e mondi possibili, Milano, Mondadori Bruno

[5] Espressione con cui ci si riferisce ad un ascolto non giudicante, attento ad indagare le ragioni sottese all'altrui punto di vista e aperto all'aspetto emozionale della comunicazione.

[6] Report OCSE, (2014), Does Homework Perpetuate Inequities in Education?

http://www.oecd-ilibrary.org/education/does-homework-perpetuate-inequities-in-education_5jxrhqhtx2xt-en

[7] Mi riferisco a quanto previsto dai provvedimenti amministrativi sui BES che consente ai Team docenti (nelle scuole primarie) e  ai Consigli di classe (nelle scuole secondarie) di individuare “sulla base di considerazioni psicopedagogiche e didattiche” alunni con Bisogni Educativi Speciali. (Direttiva del 27.12.2012 e successive circolari)

[8] L.169/2008 e Dpr 122/2009.

[9] Fioravanti G., (19 maggio 2015), La vecchia scuola dietro il polverone, http://www.ferraraitalia.it/la-citta-della-conoscenza-la-vecchia-scuola-

dietro-il-polverone-47380.html

[10] Penso anche alle resistenze a concepire una  distribuzione  del  monte  orario  annuale  complessivo  del curricolo in  forma  diversificata  nelle  diverse  settimane dell’anno scolastico.

[11] Fioravanti G., Ibid.

 

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