(01.10.2014)
Gli
insegnanti di sostegno, Dario Ianes, e la retorica caciara
di Raffaele Iosa
Leggo, con stupore, una
durissima nota di Tiriticco contro la proposta di Ianes per andare oltre gli
insegnanti di sostegno. Allarmi strani, questi di Tiriticco, e a mio avviso
fuori luogo. D’altra parte mentre di esami di stato io prima “ascolto” (lui
giustamente “parla” perché ne sa più di me), qui invece si occupa di temi che
forse andrebbero meglio studiati, o quanto meno “ascoltati”.
In questa vicenda ci sono alcuni paradossi. E’ noto che io mi sono battuto
contro la “filosofia BES” del MIUR, ma affermo per certo che questa non ha mai
avuto “trame oscure”, disvelate da Tiriticco, per ridurre o ridistribuire i
docenti di sostegno. Perfino il documento “La buona scuola” sulla disabilità
parla con enfasi solo di insegnanti di sostegno, del loro aumento, ma (per me
purtroppo) non dice altro sulla crisi qualitativa dell’integrazione scolastica,
che sta portando alla “grande finzione” di una scolarizzazione che è di fatto in
moltissimi casi “isolazione”.
C’è ancora un altro paradosso. Sulla questione BES io non ho condiviso la
scelta di Ianes di favorire la negativa operazione del MIUR sui BES, per le
tante ambiguità che la dominante iatrogenesi sta provocando non solo a scuola ma
nella società (si veda la novità della “ludopatia”). Una medicalizzazione della
scuola con il rischio di nuovi stigmi. In questa discussione Tiriticco
condivideva la critica. Dunque sui BES ero d’accordo con Tiriticco e meno con
Ianes! Questo volta, invece, è esattamente il contrario. Dunque qualcosa non
va? O è solo democrazia?
E’ noto, ad esempio, che io mi batto da anni contro la Legge 170 sui DSA che
impone tecniche isolazioniste ai ragazzi con “difetti” in lettura e scrittura e
calcolo, perché ha “contrattualizzato” la didattica in un tira e molla per avere
“dispensa/compensa” a gogò senza alcuna responsabilità, e che è alla base anche
dei rischi anche con la filosofia BES. Considero dispensa/compensa una parte
(neppure decisiva) della didattica individualizzata di cui hanno necessità molti
ragazzi a prescindere da dottori, malattie di moda, ideologismi sociali, una
didattica fondata sull’art. 3,4 e 5 del Regolamento Autonomia e non “concessa da
una legge”, quindi offerta a tutti quelli cui servono, senza ricatti
contrattualistici. Ma tant’è. Chi ne parla?
Questa volta sull’argomento “superamento dell’insegnante di sostegno”, invece
io sono del tutto d’accordo con Ianes per ragioni che nulla hanno a che vedere
con i posti di sostegno né con i BES.
E le ragioni sono tutte pedagogiche e non di contrattualismo né di organici. A
vedere com’è oggi il sostegno dobbiamo amaramente ammettere che siamo alla fine
dell’integrazione come pensata negli anni 70. Affiora da tempo un “falso
pedagogico” che ho chiamato “isolazione” in un saggio pieno di dati di un anno
fa. La presenza a scuola di alunni disabili è di anno in anno sottoposta ad una
deriva che li porta ad essere “ospiti” della scuola ma non (più) “parte attiva”
della formazione comunitaria. Quello che manca a tanti disabili nelle nostre
scuole non sono i docenti di sostegno ma…i loro compagni di classe. Accerchiati
da sostegni solitari, sempre più fuori della classe. Sempre più, non sempre
meno. Il falso enfatizza il mito che solo “tante ore di sostegno” fanno
integrazione. C’è una materiale crisi che rovescia le cause con gli effetti: il
grande aumento di ore “fuori classe” degli alunni h come “soluzione”, una
riduzione robusta della cooperazione educativa, sempre meno (direi sempre mai)
l’insegnante di sostegno considerato “risorsa della classe” ma invece lo
“specialista del disabile”, come se il disabile fosse un’umanità specialissima
lontana da tutti. Cosa (e spiace molto) che Tiriticco fa citando la “grande
distanza” tra alunni h e gli altri. Forse Tiriticco non conosce, ad esempio,
le ricerche di Renzo Vianello sull’”intelligenza emotiva” dei ragazzi Down,
nettamente superiore a quella dei “normali”, che potrebbe essere “risorsa vera
della scuola”. Io invece penso che l’intelligenza eterogenea di tutti gli
alunni che imparano insieme (insieme!) sia la vera sfida dell’integrazione,
sfida che si sta perdendo.
D’altra parte, nella mia regione nel decennio gli alunni sono aumentati del 20%,
i docenti del 10%, ma quelli di sostegno del…60%. Perché? Non è difficile
dirlo, tra le tante cause una si chiama certo Gelmini, con la scomparsa delle
compresenze, le classi pollaio, la mania sul “merito” diventato gara, ma
un’altra si chiama incapacità sociale a gestire le tante eterogeneità che la
globalizzazione porta nelle nostre aule. Insegnare oggi è certo più difficile, e
la ricerca spasmodica di ore di sostegno diventa un “surrogato” di risorse dove
è possibile pescarle. Dunque, davanti al caotico caos educativo, il “sostegno”
diventa una “cosa speciale” per quelli “lontani”, e il sostegno diventa una
soluzione di “alleggerimento” ai tanti problemi degli altri (Bes o non BES),
ma non una soluzione per la disabilità, anzi si fa anticamera di più isolazione!
Concorre, naturalmente, l’individualismo sociale, il mito del “Dio Misura”, ma
anche curricoli non rispettosi della molteplicità delle intelligenze, dei
potenziali e delle resilienze di ognuno. Potenziali e resilienze ormai
scomparsi dall’educativo, sostituiti dai miti dei “disturbi”, dei “sintomi”,
delle tecniche di apprendimento. Tutti ammalati, insomma, ma non persone.
Pochissimi hanno parlato, ad esempio, dell’esclusione dei disabili dalle prove
INVALSI come vergogna! I disabili, insomma, sempre più “distanti”.. E le
famiglie, vittime del mito medicale e delle “tecniche” per “guarire” (e non
delle didattiche per crescere insieme), spinte dalle umane ansie dei docenti
perché troppi sono gli alunni complicati (ed è vero) che fanno? Non chiedono
integrazione, ma vanno in tribunale a chiedere… ore di sostegno, così i loro
figli vedranno i compagni forse (forse) solo a merenda! Accompagna tutto questo
una gestione dei posti di sostegno demenziale, ed un uso di quei posti in modo
“improprio” come scorciatoie per entrare nei ruoli. La continuità del sostegno,
poi, non esiste.
C’è una letteratura vastissima su questi temi che parte dalla Relazione al
Parlamento 2000 che scrivemmo nell’ Osservatorio per l’integrazione
berlingueriano di quegli anni, che diceva già molto prima della ricerca della
fondazione Agnelli (e secondo me meglio) i punti critici, e già delineava
rischi di deriva isolazionista. Già in quegli anni si intravvedeva la necessità
di “andare oltre” al mero sostegno come posto di lavoro.
Gli snodi più delicati da cui parte Ianes (e anch’io) sul tema integrazione
riguardano “la delega” al docente di sostegno del sostegno e l’assenza di
formazione pedagogia speciale per tutti (che non è lo specialismo scientista ma
lo skaffolind minimo di ogni docente, anche di quelli di greco!).
Queste due condizioni creano una “falsa integrazione”, che non ha a che vedere
con il numero dei posti di sostegno, ma con la deriva isolazionista sempre più
violenta, spinta anche dalle lobby delle varie “malattie” (dottori e famiglie
frastornate) che chiedono isolazionismo e non comunità.
Capisco che la proposta inquieti i docenti di sostegno, ma vorrei far riflettere
loro come spesso la loro encomiabile fatica è ostacolata, non favorita, dai
colleghi che delegano ma non scambiano. Sono loro che ci hanno insegnato che si
deve andare in classe e stare insieme. E’ questa la prospettiva, e non serve una
qualche corporativa difesa di alcunché perché non neghiamo il loro lavoro, ma il
come questo viene dato dalla burocrazia scolastica. Questa proposta vorrebbe
trasformarli in positivo con le ragioni del lavoro comunitario e non di quello
delegato nell’auletta.
Inoltre la proposta di Ianes non è affatto l’allargamento a tutti i BES degli
stessi posti di sostegno. A proposito di BES (che ripeto mi ha trovato ostile)
ricordo però che ci sono da sempre bambini e ragazzi in difficoltà, che non
serve un certificato ma una qualche didattica utile sì, visto che lo stesso
Tiriticco esclude che il docente sia solo un trasmettitore di discipline. E
questa didattica è dovere per tutti! Non sono così cieco, infatti, per non
vedere il rumoroso aumento delle difficoltà dell’anima, a vivere, soprattutto ad
essere. Le nostre classi sono piene di eterogeneità, non tutta felice. Dunque un
tema di cui dobbiamo preoccuparci a prescindere dal MIUR e dalle circolari sui
BES. Una eterogeneità che rischia la medicalizzazione esasperata, perfetto alibi
per dire che “non è colpa nostra” (della persona, dei genitori, degli
insegnanti), ma di un neurone o di un gene, che l’educazione non serve ma
servono tecniche. La fine del pensare educativo. E la fine delle persona, perché
tutto è dato dal sintomo, dall’ormone, mai l’io colpevole e neppure mai l’io
responsabile.
Mi piacerebbe rileggere con Tiriticco e Ianes “Nemesi medica” di Ivan Illich: è
in gioco molto di più degli organici o dei posti di sostegno. L’esperienza
degli insegnanti di sostegno migliori e le loro difficoltà ci portano a dire che
il mito dell’insegnante di sostegno “speciale” non risolve, ma anzi rischia
(malgrado i bravi docenti) di confermare il tecnicismo isolatorio, non l’idea
di scuola che abbiamo sempre avuto come “normale comunità”.
Dunque l’idea di base di Ianes (e anche mia) non è di abolire “il sostegno”, né
di allargare il lavoro degli attuali docenti di sostegno ai fantomatici BES, ma
di “andare oltre” a separazioni che anche nella forma organizzativa non
producono cooperazione e comunità educativa.
Ad esempio con una pratica di “sostegno diffuso” di cui parla Canevaro da una
vita ma che è nelle nostre scuole solo chiacchiera, mentre una ambigua “apologia
del docente di sostegno sempre” (forse in alcuni per buona fede) rischia di
produrre solo cattiva e falsa integrazione.
La proposta di Ianes pensa, ovviamente, ad un processo lungo e complesso, ma
indispensabile. Non c’è una legge né un decreto che preveda tutto questo, c’è
solo una sperimentazione a Trento, e già solo questa crea un grande clamore? Io
vedrei con interesse se il nuovo organico funzionale di qualche scuola sapesse
“andare oltre” il mero sostegno dell’auletta con una diffusività didattica di
“sostegno che impegna tutti”, utilizzando davvero l’autonomia. Utilizzando,
peraltro, ciò che dagli anni 70 si dice nelle leggi ma non si fa: la
corresponsabilità di tutti i docenti su tutti gli alunni! Parallelamente, come
ovvio, si deve maturare in tutti i docenti (tutti perché “normale”) competenza
di skaffolding delle eterogeneità, perché questi sono oggi tutti i nostri
alunni. Un processo da pensare bene, con prudenza per evitare “vuoti” ma anche
con coraggio, perché la deriva isolazionista rischia il non ritorno: un fantasma
di integrazione ridotto ad accoglienza posticcia.
Quindi, nella logica dell’organico funzionale, e in un sistema in cui la
formazione alle tematiche speciali diventa “normale” sarebbe interessante almeno
sperimentare pratiche (come sta facendo Trento) che, in fondo, ripristinano il
pensiero della vecchia-grande Falcucci (che da poco ci ha lasciato) e che nei
documenti degli anni 70 sull’integrazione scriveva “non vogliamo inserire gli
handicappati nelle scuole perché siamo buoni, e non solo per principi di
eguaglianza delle opportunità, ma perché attraverso di loro cambi tutta la
scuola”. Il che non è avvenuto, e la confusione dell’epoca rischia di buttare
il delicatissimo tema dell’integrazione in retorica caciara.
In questa caciara, c’è perfino chi propone di boicottare i libri dell’editore
Erickson, di cui Ianes è proprietario ed anima. Insomma bruciare i libri ancora
una volta. Ianes l’ebreo. Cosa curiosa perché la Erickson ha il coraggio da
sempre di pubblicare opere di diversissimo approccio teorico, soprattutto quelle
molto contrastanti tra loro, visto che si va dal DMS V americano ad Illich e
Recalcati. E onore al coraggio di Ianes, cui qualcuno potrebbe dire “chi te
l’ha fatto fare” e pensa che sputi sul piatto dove mangia.
Proviamo invece a credere che la scuola è valida e inclusiva se è composta da
una comunità di professionisti riflessivi che lavorano (sempre insieme) non per
discipline ma per ragazzi. So bene le difficoltà e i rischi di andare oltre, ma
restare dove siamo oggi sarebbe uno stagno pieno di finzioni.