La valutazione dei
dirigenti scolastici: tanto tuonò che ....
Franco De Anna
Lungi da me l’intenzione, al di là dell’ironia
inevitabile, di discutere nel merito e nel metodo il sostanziale “rinvio” del
terzo appuntamento previsto nella contrastata, faticosa e contraddittoria
impresa (che continuo a ritenere storicamente necessaria per il nostro Paese)
della costruzione di un sistema nazionale di valutazione del sistema di
istruzione: la valutazione dei Dirigenti.
Per ora, dunque, sono a regime, o si avviano ad esserlo le
rilevazioni standard dei livelli di apprendimento (occorre ripetere fino alla
noia che non si tratta di valutazione degli alunni… ci sono ostacoli soggettivi
a tale consapevolezza duri ad essere abbattuti) e la valutazione delle
organizzazioni scolastiche. Se si preferisce: valutazione delle istituzioni
scolastiche.
Trattasi, a quanto si comprende, di un rinvio nel senso che il modello
valutativo e il suo protocollo andranno esplorati come previsto per tutta la
parte che chiama all’impegno auto valutativo e documentario il Dirigente
Scolastico, mentre viene rimandata la parte di protocollo affidata alla
valutazione/apprezzamento esterno, e dunque si rinvia l’effetto economico (di
cui è responsabile il Direttore Regionale/datore di lavoro) conseguente alla
azione istruttoria dei nuclei di valutazione esterna.
Tale rinvio è prodotto di un confronto tra il MIUR e le organizzazioni
rappresentative dei Dirigenti Scolastici, sindacali ed associative, in una
pluralità di posizioni e richieste, anche molto diverse tra loro. Ma il
soprassedere rappresenta comunque un (sia pure insufficiente) “massimo comun
divisore”. Per tale motivo non ho intenzione di discutere “le ragioni” delle
parti, sia del MIUR che delle associazioni rappresentative.Vorrei però proporre
qualche ragionamento per sostenere che si tratta in sostanza di una sconfitta
per tutti (o il rischio che di ciò si tratti).
Peggio tardi che mai
La tentazione autobiografica è forte: dal 2001 a oggi ho
partecipato a tutte le esperienze di costruzione di un sistema di valutazione
dei Dirigenti Scolastici, a partire dalla prima coerentemente collegata proprio
con il passaggio dei Presidi alla dirigenza in connessione con l’Autonomia delle
istituzioni scolastiche. Progetto seguito dall’Università di Milano (Bicocca). E
si trattava in sostanza di una forma di autovalutazione su base documentaria.
L’esame della documentazione autoanalitica presentata dal Dirigente era
effettuata da una terna di “valutatori”: un Ispettore, un Provveditore, un
tecnico esterno al mondo della scuola.
Poi vi fu la costruzione di un progetto che prevedeva le visite sul campo
(sempre una terna di valutatori: ispettori e un dirigente amministrativo, ma non
tecnici esterni). Il progetto era affidato scientificamente all’Università di
Roma Tor Vergata (Prof. Massimo Decastri). Mantenne un carattere “sperimentale”:
l’esito “istruttorio” delle visite dei valutatori esterni veniva consegnato al
“valutatore finale” (il Direttore USR) che esprimeva un giudizio, ma non vi era
collegato un dispositivo economico. (SIVADIS nelle sue diverse versioni).
Alla fase di rielaborazione ulteriore, gestita dalla Direzione del Personale del
MIUR, fu intenso anche il rapporto/consultazione nel merito con i Sindacati e
con l’associazionismo dei Dirigenti Scolastici. (Partecipavano al confronto in
fase di progettazione ed elaborazione del protocollo).
Poi il progetto fu affidato all’INVALSI (Presidente Piero Cipollone) che
costituì un gruppo di lavoro nazionale di “esperti” (quorum ego) e che rielaborò
un modello nel quale si prevedeva il collegamento tra esito della valutazione e
retribuzione di risultato. Mai sperimentato. Il “modello” dopo mesi di lavoro fu
lasciato cadere…
Ho seguito tutte le esperienze sia partecipando alla progettazione, sia facendo
il valutatore “sul campo” laddove si tentò la sperimentazione effettiva.
Il comune denominatore di tutte le esperienze fu …il rinvio. Sempre accompagnato
dalla declamazione della necessità di un sistema di valutazione della Dirigenza
Scolastica..
Tale conclusione ha sempre visto convergere le posizioni sia della categoria
professionale interessata (i Dirigenti Scolastici), sia delle organizzazioni
sindacali e professionali che la rappresentano, sia il MIUR, segnatamente la
Direzione Generale del personale (il “datore di lavoro” insomma..); sia, per
altro verso, le opinioni politiche tanto di maggioranza che di opposizione (nei
loro alternativi ruoli..). Un comune convergere sulla opportunità del rinvio…
della durata effettiva di una quindicina d’anni. Il tutto in costanza di leggi
che tale valutazione prevedono e di altrettante affermazioni nei contratti di
lavoro corrispondenti.
Credo che se uno qualunque dei potenziali protagonisti della
vicenda (un Dirigente Scolastico, un Sindacalista, un Dirigente del MIUR, un
politico che si occupa di scuola…) fosse in grado di fare un passo di lato
rispetto agli interessi immediati che rappresenta e si misurasse con l’impresa
di elaborare un giudizio
storico-politico di tale quindicennale rinvio, troverebbe assai difficile
reperire spiegazioni comprensibili e convincenti da offrire a qualunque
cittadino interessato alla res publica
(alla Repubblica…), che non comportassero giudizi negativi per tutte le
sunnominate categorie di interessati.
Ovviamente per ciascun rinvio ci fu un corredo di
spiegazioni: di espressioni soddisfatte di vittoria, da un lato del contendere,
o di misurato disappunto sull’opposto versante. E la cosa si ripete ora.
Confesso che ciò mi genera una reazione di incredulità: si tratta in realtà di
una conclamata incapacità politica, amministrativa, sindacale, culturale,
tecnico-scientifica di affrontare e risolvere un impegno pure affermato e
riconosciuto come necessario e significativo. Certamente per ciascuna occasione
l’enumerazione delle ragioni contingenti può cercare consenso, e le parti
ritenersi soddisfatte… Ma la vita di un sistema di istruzione è caratterizzata
da processi di lunga durata, non può accontentarsi della contingenza
opportunista di piccoli risultati. Un sistema scolastico, per definizione opera
con il futuro, costruendolo con cadenze pluriennali, non con l’esito di una
piccola trattativa di convenienze immediate. Tanto più se “il metodo” viene
reiterato per anni…
Più serio sarebbe dire: “Dovremmo
costruire un sensato sistema di valutazione dei dirigenti, ma non ne siamo
capaci”. Se non altro ciò costringerebbe tutti i protagonisti ad una sorta di
coming out nel quale finalmente
misurarsi con le “vere ragioni” di tale incapacità.
La ricerca di tali “vere ragioni” ovviamente non è impedita a chi si cimenta e
si è cimentato con le diverse ipotesi e modello proposti, non risparmiandosi la
critica, ma partendo dalla necessità di costruire il sistema, limitandone i
difetti, superandone le resistenze di prima applicazione e ribadendo la
dimensione di ricerca permanente di miglioramento dei protocolli e degli
strumenti
[1]
Ed è sulla base di tale approccio che non ha mai
risparmiato analisi critiche e proposte di modifica ai modelli e ai protocolli
di valutazione, tanto meno ai più recenti, che affermo che tale ennesimo rinvio
corrisponda in realtà ad una sconfitta per tutti i protagonisti.
Paradossalmente proprio la “parzialità” del rinvio della applicazione del
modello di valutazione predisposto, è elemento di maggiore preoccupazione e
sconforto.
Da un lato è stata compiuta la faticosa (e faticante… ) costruzione del modello;
sono stati definiti i protocolli e gli strumenti (complessi e discutibili) sono
stati individuati i valutatori e “iniziati” attraverso una prima formazione. Le
notazioni critiche per ciascuno di tali passi sono rintracciabili nelle
pubblicazioni citate.
Dall’altro lato si dice: procediamo in tale percorso, ma “risparmiamoci” l’atto
finale di tutto ciò (che ne completerebbe il significato) e non diamo luogo agli
effetti economici del percorso valutativo.
L’apparente “buon senso” di tale parziale applicazione (vediamo come va… ) cela
in realtà la contraddizione essenziale ed esiziale. Poiché la valutazione è
processo “duro” e la conclusione “economica” del processo valutativo è la
rappresentazione esemplare di tale durezza, si sceglie di smorzare i
significati, si copre l’impegno con una coltre tranquillizzante, che ne
favorisca l’accettazione (si veda l’enfasi sulla finalità del “miglioramento”
disappropriata quando si tratti di contesto di rapporto di lavoro). Ho già
sostenuto altrove che in tal modo, in realtà, si ottiene esattamente il
contrario.
E’ infatti proprio la assunzione consapevole della durezza del rapporto tra
processo valutativo e riflesso economico (e non è un problema di quantità, ma di
valore simbolico...) che dà senso all’impegno professionale ma anche a quello
critico, politico, scientifico e tecnico, verso i protocolli e gli strumenti e
che dà fondamento alla “durezza” del confronto sindacale e politico.
Se (per responsabilità plurime) si tende invece a “tranquillizzare” si
sostituisce al confronto critico il gioco delle parti su un canovaccio
inevitabilmente segnato da opportunismo, quali che sia la durezza verbale che
caratterizza le dichiarazioni “vittoriose”, o la moderazione comprensiva di chi
fa proprio il rinvio.
Sono, naturalmente, opinioni personali. Ma abbiamo già provato tutti a misurare
ciò che accade in rinvii come questi… vi è il rischio che se ne riparli anni
dopo e ricominciando tutto daccapo. Spero ovviamente di sbagliarmi.
Sconfitte e responsabilità
Vorrei argomentare la mia un poco
drastica opinione che si tratti di una sconfitta per tutti, ponendomi
soprattutto dalla parte dei Dirigenti Scolastici e diverse rappresentanze.
Le critiche, anche appuntite, che in questi mesi ho indirizzato al MIUR,
all’INVSALSI, o comunque a chi si stava materialmente occupando di progettare ed
implementare il modello sono facilmente ricostruibili dalle pubblicazioni citate
[2]. In
particolare
1.
Il punto di estrema
debolezza costituito dalla effettiva disponibilità quantitativa e qualitativa di
un adeguato numero di valutatori. In particolare la loro selezione, variegata
secondo Uffici Regionali e solo iniziale formazione.
2.
La complessa, difficile e
a volte contraddittoria composizione tra obiettivi del DS desunti da linee guida
nazionali, altri connessi a RAV/PDM/PTOF, altri ancora definiti dal “valutatore
finale” Direttore dell’USR e “datore di lavoro”. La panoramica delle scelte dei
diversi USR è francamente distonica, e paradossalmente in alcuni casi si tratta
di obiettivi per i quali il DS non ha padronanza di strumenti operativi (si
vedano per es. obiettivi relativi al controllo degli esiti scolastici “a
distanza”)
3.
L’appesantimento dei
dispositivi documentari (per es. struttura ed articolazione del portfolio),
derivante e/o coniugata con la loro “standardizzazione” nazionale. In tale
tensione che si riflette nella intensità di impegni documentari (spesso repliche
di altro: PTOF, RAV, PDM…) si intersecano processi e ragioni
contraddittori: le preoccupazioni sistemiche della omogeneità trasferite
non sulla formazione dei valutatori, ma sui “documenti”; la sottovalutazione
della “soggettività” dell’oggetto di valutazione (una persona in contesto
professionale, non una organizzazione); La tentazione del prevalere del
controllo sulla valutazione (son cose diverse come noto).
Solo il coraggio di passare alla effettiva sperimentazione
sul campo avrebbe potuto, se assistita da impegno critico e non da banale
preoccupazione adempimentale, correggere per via e sulla base di
dati “sperimentali” il modello e i protocolli. C’è qui una responsabilità
politico-amministrativa estesa dalla fase di progettazione del modello
(condivisione, confronto tecnico scientifico, ascolto critico…) alla
organizzazione delle procedure di implementazione, alla tardiva e insufficiente
“scoperta” della essenziale esplorazione del consenso (che per tutte le
esperienze di valutazione è “condizione” di corretta realizzazione) solo nella
parte finale ed attuativa. Il rischio, ripeto, è di ricominciare daccapo la
“prossima volta” (il prossimo Ministro, la prossima maggioranza, i prossimi
dirigenti del MIUR…)
Una occasione sprecata
Ho voluto elencare le posizioni critiche rielaborate fino a
venirmi ad uggia, per togliere ogni equivoco alla convinzione che i Dirigenti
Scolastici e le loro rappresentanze, significativamente quelle sindacali abbiano
perso una buona occasione.
Una questione di fondo: Il “mestiere” fondamentale del Sindacato è rappresentare
l’offerta di lavoro sul mercato del lavoro, a partire dalla considerazione che
il “potere della domanda” (nel nostro caso la Pubblica Amministrazione e lo
Stato) può essere bilanciato solo da una rappresentanza collettiva. Trattasi di
ABC del mestiere.
Ciò significa che è interesse intrinseco della organizzazione collettiva
promuovere, difendere, consolidare il “valore” (professionale e nel nostro caso
scientifico, culturale ecc..) della offerta rappresentata e “fare proprio” tutto
ciò che tale valore incentiva, socializza, offre al consenso sociale più
allargato. Certamente la storia ricorda organizzazioni “corporative” che in
realtà non contrattano sul mercato del lavoro ma ripartiscono
opportunisticamente con il potere piccoli o men piccoli privilegi. Ma stiamo
alle organizzazioni di massa.
Se promuovere, consolidare, estendere, far riconoscere socialmente il “valore”
dell’offerta di lavoro rappresentata è il cuore della azione culturale del
sindacato, allora la “valutazione” delle professionalità rappresentate è
interesse intrinseco, non una “disgrazia” da cui ripararsi. E come ovvio ciò
vale non solo per i Dirigenti.
Quel valore deve essere utilizzato per alimentare la contrattazione stessa e
bilanciare il rapporto con la domanda realizzando equilibri più avanzati.
Ciò significa che il “capitolo valutazione” dovrebbe fare parte del programma
stesso, proprio e autonomamente definito di quelle organizzazioni, non o non
solo un argomento cui sono chiamate a discutere dalla controparte. E di cui
contrattare applicazione (meglio su proprie proposte), non scongiurare
realizzazioni..
Si tratta di affermazioni necessariamente schematiche, e
rielaborabili con altrettanto necessarie subordinate, precisazioni,
condizionali, ecc… ma a me pare che ad esse si annodino alcuni elementi
specifici della condizione dei Dirigenti Scolastici nell’ambito generale della
dirigenza pubblica che trovo più interessante discutere.
Dirigenti Scolastici e dirigenza della Pubblica
Amministrazione.
Come sappiamo l’intera materia della “contrattualità” dei
rapporti di lavoro pubblici è raccolta
nella “summa” dei dlgs 165/2001 e 150/2009. Si tratta di una summa oggi
sottoposta a prevista riformulazione che investe il programma di riforma della
pubblica amministrazione, che meriterebbe certo maggiore attenzione nel
dibattito politico. Mi interessa qui sottolineare che a partire dalla
affermazione dell’art.1 (comma 2) del 165/2001 si afferma una tendenziale ed
universale omogeneità di comparti assai diversi tra loro sotto il profilo
”produttivo” e con un solo elemento in comune: sono definiti “amministrazioni
pubbliche”.
Si va dalle amministrazioni dello Stato propriamente dette, alle scuole, alle
Regioni, Comuni, Comunità montane…,
alle università, alle Camere di Commercio, a tutti gli enti pubblici non
economici, alle aziende ed enti del Servizio Sanitario, agli Istituti autonomi
case popolari.
Su quella base, per oltre un quindicennio, si è provveduto a
costruire equivalenze, parametri comuni, confronti contrattuali e di
retribuzioni, ecc…
Il segno (triste) di tale forzata omogeneità è testimoniato dal fatto che oggi,
tra le organizzazioni dei Dirigenti Scolastici, circola una rivendicazione:
vogliamo essere pagati come i Dirigenti della Pubblica Amministrazione…
Sostengo da anni che il Dlgs 165/2001 andrebbe semplicemente accantonato o, se
si vuole, quella forzata ed artificiosa omogeneità che esso introduce andrebbe
drasticamente superata per declinare in modo opportuno le specificità legate
alle “funzioni produttive” reali esercitate dai diversi settori pubblici.
Certo può apparire più comodo e sbrigativo affermare “voglio una retribuzione
pari a quella di un dirigente del MIUIR”, ma conosco gli effetti di
rivendicazioni che prescindono dal “valore specifico” del lavoro rappresentato.
Sono personalmente passato attraverso la trasformazione degli ispettori
scolastici (inquadrati nel comparto scuola) in Dirigenti Tecnici equiparati a
dirigenti di seconda fascia. Certo il mio reddito ne ha guadagnato, ma tale
assimilazione ha segnato l’inizio della fine del ruolo specifico degli ispettori
e il loro decadere, numerico e di ruolo svolto.
Sottolineo che quella forzata omogeneizzazione corrisponde
ad una reale “egemonia culturale e professionale” impropria della Dirigenza
Amministrativa dello Stato propriamente detta.
L’elemento che rende impropria tale centralità è che si tratta, dati alla mano,
di un aggregato di dirigenti quantitativamente assolutamente minoritario: se si
sommano quelli del settore enti locali, della scuola, del sistema sanitario, i
dirigenti della PA in senso stretto sono una assoluta minoranza. In nome di
quale “principio” (sindacale, professionale, istituzionale…) devono
rappresentare i punti di riferimento per inquadramenti, retribuzioni, rapporti
contrattuali?
La risposta è una sola e nulla ha che a vedere né con gli attributi
professionali (preminenza quasi assoluta la competenza giuridica, a fronte di
competenze tecnico scientifiche impegnative come per la scuola o il sistema
sanitario..) né per i servizi resi ai cittadini ed ai loro diritti sociali come
è per tutti i settori del welfare. Lascio volentieri enunciare la risposta ai
lettori.
Quello che segnalo è la necessità che proprio le organizzazioni sindacali e
professionali dei Dirigenti Scolastici dovrebbero battersi, e duramente, per
sconfiggere quella egemonia “amministrativa” ed affermare il valore della
specificità professionale di coloro che rappresentano. Cominciando a buttare
all’aria quella “bibbia” impropria del dlgs 165/2001.
Io credo che la costruzione di un sensato sistema di valutazione per le migliaia
di Dirigenti scolastici sarebbe una carta fondamentale per destrutturare
l’egemonia esercitata dalla “centralità” del Dirigente della Pubblica
Amministrazione. Si provi solamente a pensare al MIUR e al sistema di
valutazione utilizzato per quei dirigenti amministrativi (e di cui è meglio
tacere..), e si immagini in una ipotetica trattativa/confronto, su qualunque
tema.
Il tavolo di confronto sarebbe reso nettamente asimmetrico e a favore dei
Dirigenti Scolastici, chiunque fosse a guidare il MIUR…
Lasciate invece operare quella egemonia di fatto e ogni trattativa sarà
all’insegna “dell’aggiustamento” di piccolo cabotaggio se non addirittura
indicare la controparte (la PA e i suoi dirigenti) come “modello” delle proprie
rivendicazioni.
Il valore della
specificità “produttiva”
Utilizzare la valutazione come
“carta” per destrutturare quella egemonia avrebbe anche il significato più ampio
di collocare la “specificità” della Direzione Scolastica, del suo profilo di
ruolo, dei suoi connotati professionali come effettivo terreno di confronto,
socializzazione e definizione del rapporto di lavoro.
Personalmente trovo inappropriata ( e per me confesso insopportabile) una
tendenza a definire “ciò che sono o dovrebbero essere” i Dirigenti Scolastici
che prescinda proprio dalla esplorazione del piano strutturale del rapporto di
lavoro. In particolare si fa un grande uso di “metafore” più o meno
affascinanti. Certo feconde nella loro ambiguità (come tutte le metafore) ma, a
mio parere, si richiederebbe una qualche più assennata disciplina trattandosi di
rapporti di lavoro.
Il Dirigente Scolastico come “leader pedagogico”, come “costruttore di
comunità”… sono metafore affascinanti, appunto, ma rischiano di “parlare
d’altro”. Non a caso una ricerca sul campo condotta con una metodologia che
osserva da vicino i processi, le attività, il lavoro, i comportamenti come
quella realizzata dalla Fondazione Agnelli con metodologia
shadowing, parla di “Dirigenti
equilibristi”[3].
Qualche dato.
1.
Con il dimensionamento
attuale un Dirigente Scolastico dirige un aggregato di dipendenti che sta tra le
150 e 250 unità (tralascio le reggenze). Nel panorama economico italiano si
tratta di dirigere una impresa di medie dimensioni (certo la classificazione
dipende dal settore produttivo…).
Una piccola impresa che, per ciò che “produce” e per “come”, ha una particolare
e strutturale concentrazione di lavoro vivo, con ampi margini di autonomia del
singolo e bassi tassi di “gerarchia produttiva”, bassa “ordinabilità” delle
mansioni (sia pure in aumento con la crescente “composizione tecnologica” dei
processi, ma è carattere “strutturale”). Dunque il suo dirigente avrà la
“gestione del personale” come elemento specifico della sua attività quotidiana.
Ciò vale quale che sia la caratteristica istituzionale delle rappresentanze
professionali (il Collegio…). Un Direttore Generale di una USR, o un dirigente
amministrativo, con quanti collaboratori diretti ha a che fare ogni giorno? E
con quali caratteri di gerarchia reale? Basterebbe questo dato a fare la
differenza…
2.
Il Dirigente Scolastico è
responsabile della “produzione” finale di un servizio che corrisponde ad un
diritto di cittadinanza (l’istruzione): ha dunque una responsabilità immediata
(produttore finale) del rapporto con i cittadini e con la comunità locale di
riferimento. Ciò vale comunque e qualunque assetto abbiano gli organi Collegiali
e della Rappresentanza. Contemporaneamente deve mantenere un rapporto con “la
ragione sociale” di appartenenza (la PA e il MIUR). Spesso un difficile
equilibrio.
3.
Il Dirigente Scolastico è
un dirigente “orientato al prodotto”, non “alla amministrazione”. A proposito di
metafore: è un “ghidella” non un “romiti”. Forse i colleghi che metaforizzano
sul “leader pedagogico” vorrebbero dire questo? Ma così rischiano l’equivoco:
assegnano caratteri da team leader ad
un dirigente che non si confronta con un team: 150 dipendenti e più non sono “un
gruppo”. Certo un DS ha il suo staff…
e qui può/deve esercitare caratteristiche di
team leader. Ma anche qui la metafora
è rischiosa. Se usiamo le categorie della cultura di impresa (staff
e line), chi è la line in una
scuola?
4.
Il Dirigente Scolastico è
un dirigente di una organizzazione che combina in modo specifico dimensione
progettuale (Management by Objective) e dimensione procedurale (il Manuale
operativo della PA); dunque parametri costanti e parametri variabili. Il suo
lavoro concreto va collocato entro una matrice mista appropriata di tali
dimensioni. (Per inciso: la valutazione per obiettivi/risultati rappresenta
perciò una semplificazione sotto il profilo scientifico ed una approssimazione
metodologica sotto il profilo degli strumenti valutativi)
Potremmo ovviamente continuare a descrivere con categorie
proprie della cultura organizzativa il lavoro del Dirigente Scolastico. E’ una
operazione essenziale e preliminare ad ogni impresa valutativa: definire un
“profilo di ruolo” scientificamente, tecnicamente, socialmente condiviso.
Si può non farlo una volta per tutte, anzi si può ipotizzare che tale profilo si
costruisca facendo e in rapporto con i processi reali. Ma occorre partire. Ciò
che non si può fare è declinare la fantasia e l’acume metaforizzante e la
immobilità operativa, consentendo che la prima “copra “ la seconda con la sua
coperta tranquillizzante.
Se poi volessimo porre la domanda più brutale “cui prodest?”
il rinvio, l’annacquamento, il depotenziamento dei modelli valutativi, una
risposta maliziosa si potrebbe rintracciare analizzando da vicino il sistema di
valutazione dei dirigenti amministrativi ai quali qualcuno vorrebbe essere
“parificato”. A chi giova mantenere l’equilibrio composto santificato nel dlgs
165/2001?
[1]
Vedi contributi recenti:
“La costruzione del
Sistema Nazionale di Valutazione e il pilota
automatico”
http://www.scuolaoggi.com/valutazioni/1993-la-costruzione-del-sistema-nazionale-di-valutazione-e-il-pilota-automatico
“Le
linee e il fronte. Ancora sulla valutazione dei
dirigenti scolastici”,
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/valutazione_ds_2.htm
e “La valutazione dei Dirigenti Scolastici:
in attesa delle linee guida e del modello
operativo”,
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/valutazione_ds.htm
.
“L’incerto lavoro del valutatore. Specialmente
dei Dirigenti Scolastici”http://www.scuolaoggi.com/valutazioni/2001-l-incerto-lavoro-del-valutatore-specialmente-dei-dirigenti-scolastici
Per
una trattazione organica il testo:
Franco De Anna “Valutare
i dirigenti della Scuola. Strumenti,
metodologie, sfide culturali” Casa editrice
Spaggiari. 2006.
[2]
In particolare il citato
“L’incerto lavoro del
valutatore. Specialmente dei Dirigenti
Scolastici”
[3]
si
veda Stefano Stefanel
“Gli equilibristi con le
vertigini” in
http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/equilibristi_vertigini.htm
e anche
Franco
De Anna
“Leader, giullari e impostori: a proposito di
leadership nella scuola”
http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/leadership.htm
e “il Dirigente Scolastico, tra idealtipi e
ricerca di status”
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/ds_idealtipi.htm