(01.10.2016)
La valutazione dei Dirigenti Scolastici: in attesa delle
linee guida e del modello operativo
di Franco De Anna
Propongo alcune riflessioni e proposte sul percorso di
valutazione dei Dirigenti Scolastici, del quale sono state definite le
direttrici, e che va strutturato e dotato degli strumenti appropriati e,
soprattutto, delle competenze personali dei valutatori impegnati
Le tessere del mosaico
Si va componendo, con fatica e lentezza, il quadro
complessivo delineato con il Sistema Nazionale di Valutazione. Lavori
perennemente in corso, e non può che essere così: sol che si rammenti che la
valutazione è un campo di ricerca, di continuo affinamento e miglioramento.
Altre considerazioni invece occorrono circa lentezze e ritardi che hanno a che
fare non con il lavoro di ricerca, ma con gli “adempimenti” della
amministrazione o con la scarsezza di risorse disponibili.
La “valutazione del personale” rappresenta inoltre la tessera del mosaico che
richiede maggiore cura nell’essere manovrata e collocata nel giusto rapporto con
le altre (in particolare la valutazione degli apprendimenti e la valutazione
delle organizzazioni scolastiche).
D’altro canto la composizione completa del mosaico -la matrice completa della
valutazione: organizzazione, “prodotti”, personale- è una condizione essenziale
per acquisire il livello di “accettabilità sociale” della valutazione stessa. Se
“tutto e tutti sono valutati” non svaniscono certo i fantasmi che la valutazione
porta inevitabilmente con sé (ansia, paura, fuga..), ma certamente almeno si
creano le condizioni per portare i fantasmi alla luce e disattivarne i malefici
e i conflitti che alimentano.
Chiarisco in via di premessa che si
tratta di riflessioni che possono essere dirette sia ai valutati (i Dirigenti
scolastici), sia ai “valutatori” la cui composizione ha, nel momento in cui
scrivo, solamente un indirizzo: un nucleo di tre persone, un “ispettore” e due
esperti esterni all’amministrazione.
Si comprenderà che proprio la individuazione dei valutatori rappresenta forse la
componente più problematica di questa tessera del mosaico: la valutazione del
personale in servizio nel sistema di istruzione è in buona sostanza un inedito.
Non abbiamo “tradizione” e “competenze pregresse” cui rifarsi, se non in misura
assolutamente esigua.
Occorre mantenere tale consapevolezza sempre presente nell’elaborare il modello
di valutazione: ciò infatti rappresenterà l’impegno cui riservare le migliori
energie, i progetti di formazione e di supervisione e che, se tutto opera per il
meglio, richiederà alcuni anni e costanza di strategie per dare frutti
soddisfacenti.
D’altro canto: attendere che tutto sia definito al meglio non solo contraddice
la dimensione di ricerca che la valutazione ha in sé connaturata, ma significa
(per esperienza più che decennale maturata: il primo progetto SIVADIS è del
2001) rimandare costantemente “l’inizio lavori”.[1]
I riferimenti e le avvertenze critiche
La tessera della “valutazione dei Dirigenti Scolastici” deve
trovare una prima conformazione in modo da adattarsi al mosaico del Sistema
Nazionale di Valutazione rispetto a quelle direttamente confinanti: innanzi
tutto la valutazione delle organizzazioni scolastiche (RAV) e i progetti di
miglioramento (PDM) che le stesse hanno elaborato nel processo di
autovalutazione; in secondo luogo la “valutazione esterna” che si aggiunge e
completa alla prima, per ora secondo cadenze “campionarie” e temporali parziali
(NEV)
Il riferimento trova corrispondenti affermazioni nella
Direttiva ministeriale relativa (n.36 del 18/8/2016): RAV, PDM, esiti eventuali
delle visite dei NEV, sono riferimenti fondamentali per la valutazione del
Dirigente.
Ma la valutazione delle persone (accade in ogni organizzazione), non può che
avere un doppio riferimento: da un lato le problematiche della “Gestione delle
Risorse Umane” entro l’organizzazione; dall’altro il “rapporto di impiego”,
proprio perché il problema non è quello di “valutare le persone” ma “le persone
nell’organizzazione”
Tale doppio riferimento esige da un lato che gli strumenti e gli esiti della
valutazione siano coerenti con l’insieme dei significati e delle finalità che ha
la “gestione delle Risorse Umane, e cioè, per sintetizzare, non solo l’uso di
istituti premiali o classificatori, ma anche la politica della mobilità e del
mercato del lavoro interno all’organizzazione (promozione, sviluppo di carriera,
incarichi..). Il riferimento al “rapporto di impiego”, introduce nel modello e
nei processi valutativi variabili di carattere sociale ed istituzionale e
sindacale; ma anche valori e significati e gerarchie di valori che sono
riconosciuti nella formazione economico-sociale. Trascurane la rilevanza conduce
spesso sia al fallimento sia alla insignificanza dei vari modelli di
valutazione.
Il “perimetro della tessera” che si sagoma in rapporto alla matrice complessiva
della valutazione (prodotti, organizzazione, personale) è dunque la risultante
di un insieme di sagomature da realizzare su un complesso di parametri. La
possibilità di governare conflitti e fantasmi (e dunque di scongiurare sia
l’opposizione aperta e antagonista, sia quella “nascosta”, opportunista e
adattativa, che comunque mandano fuori bersaglio la valutazione stessa) sta
nella “sapienza e avvedutezza” di tale sagomatura.
Per tale ragione ritengo fondamentale tenere in primo piano gli spunti critici
che ciascuna di tali sagomature mette in rilievo: l’attenzione critica non è il
“fastidio di una opposizione”, ma è una condizione di riuscita del progetto. Con
tale spirito provo di seguito ad enumerare alcuni elementi da tenere sotto
“attenzione critica”
·
Il modello
“RAV-Miglioramento” ha vincoli espliciti che limitano parte consistente del
lavoro del Dirigente scolastico dall’orizzonte valutativo. Come è noto le
priorità di miglioramento rielaborate sulla base del RAV “devono” essere
relative all’area degli “esiti” degli alunni (esiti scolastici, esiti prove
standardizzate, competenze di cittadinanza, esiti a distanza. Vedi RAV).
Sulla base di tale vincolo i processi investiti da ipotesi di miglioramento
“devono” essere sagomati e indirizzati a produrre effetti rispetto agli esiti
degli alunni. Più il rapporto è “funzionale” e causale, più il PDM è
appropriato, realistico e verificabile. (si veda il modello PDCA elaborato da
INDIRE..).
Non discuto tale scelta di modello, parziale e approssimato come ogni modello
(l’ho fatto in altre sedi) ma evidentemente esso investe la funzione del
Dirigente solo in via indiretta (sintomatico in proposito è l’uso di termini
come promuove…favorisce…ecc..), non
l’esercizio diretto delle sue competenze.
·
Nel modello del RAV,
l’area di valutazione relativa alla
“gestione delle risorse”, sia economiche che del personale, ha contorni molto
ristretti. (Per esempio l’analisi dei bilanci non ha modelli di indicizzazione
analitica esaustivi). Ma proprio questa area è organicamente e direttamente
presidiata da elementi di professionalità specifica e personale del
Dirigente.
Si consulti il RAV, in particolare l’area
3B Processi - Pratiche gestionali e organizzative e per esempio
il
3.5.c Processi decisionali e sarà agevole riscontrare che variabili
ed indicatori rilevati, nel loro “generalismo”, sono insufficienti e
inappropriati a descrivere profili di management o di leadership determinati.
Spesso si prestano, anzi, a deformazioni dichiarative più o meno intenzionali
(vedi p.es. le rilevazioni 3.5.c.2 del RAV).
·
Il paradigma valutativo
“obiettivi-risultati” che viene esplicitamente assunto come fondamento del
modello valutativo dei Dirigenti Scolastici, è organico ad una
“organizzazione a parametri variabili”
(una organizzazione per obiettivi, appunto. Management By Objectives, MBO).
Ma la Pubblica Amministrazione (e la scuola per gli aspetti di suo funzionamento
organici a tale appartenenza), è una
“organizzazione a parametri costanti” che procede cioè per procedure
formalizzate e costanti, e compiti formalmente definiti (il “manuale operativo”
di maxweberiana memoria).
Occorre avere chiaro (appunto “chiarezza critica”) che si tratta di trovare
l’adattamento più adeguato a tale meticciamento.
Su quali obiettivi si esercita la “padronanza effettiva” del Dirigente
Scolastico e con quali limiti? Come si definiscono repertori adeguati e
caratteristici del Dirigente Scolastico? Senza tale cura critica il modello
obiettivi-risultati riferito ai DS rischia di innescare solamente un
“cortocircuito”.
·
La valutazione non può che
tenere conto, oltre che degli obiettivi, anche dei “comportamenti di ruolo”,
specie in una organizzazione a parametri costanti e con manuale operativo
formalizzato come la PA. Definire un repertorio di comportamenti organizzativi
del Dirigente Scolastico è operazione cruciale per la costruzione del modello
valutativo
·
I riferimenti al RAV, al
PTOF, al PDM che sono assunti alla base del modello valutativo, sono, nella
stessa Direttiva, integrati con ciò che è possibile desumere dalla norma che (in
teoria) descrive formalmente la figura del Dirigente Scolastico all’interno del
comparto generale dei Dirigenti Pubblici: il DLGS 165/2001.
Ho scritto altrove che personalmente sono per il suo definitivo e drastico
superamento. E tuttavia è la norma in vigore. Gli interrogativi precedenti, per
un approccio critico alla formulazione del modello operativo di valutazione
vanno rapportati anche al dettato di quella norma, in particolare nella sintesi
obiettivi-comportamenti-risultati (Performance
dovrebbe essere, appunto, un comportamento connesso ad un risultato….)
·
Un modello di valutazione
del personale costituisce un inedito per il nostro sistema di istruzione. Anche
per tale motivo ritengo che occorra definire parametri, valori, riferimenti di
largo spettro e di lunga durata. Credo sia un pericolo ed un errore riferire il
modello alla contingenza politica (per esempio con riferimento a specifici e
singoli provvedimenti normativi, la cui permanenza/durata sistemica sia non del
tutto consolidata. Per tutti valga l’esempio della distribuzione del
bonus di merito per i docenti)
L’avvertenza critica di fondo: dai modelli codificati
alla interazione diretta con le realtà.
Si tratta di una avvertenza che ho
già avanzato a proposito dei modelli utilizzati da INVALSI nella conduzione
delle visite dei Nuclei esterni di valutazione nelle scuole: le griglie, i
modelli, i repertori di indicatori, i raffronti e le comparazioni sono
essenziali per tracciare la “mappa” della organizzazione da valutare. Ma la
“mappa” non è l’organizzazione specifica.
L’approccio ”nomotetico” che parte da
un tracciato di “modello ideale” e misura le corrispondenze tra esso e la
realtà, deve essere declinato/combinato con un approccio
“idiografico” che guardi
“clinicamente” all’oggetto specifico ed alla sua individualità.
Tale “doppio sguardo” se è importante
per una valutazione attenta delle organizzazioni, è invece
essenziale nel caso di valutazione
delle persone…
Non ci sono “persone uguali” e uguali interpretazioni professionali, di ruolo,
di responsabilità, nè una uguale “composizione” di competenze e capacità.
Al valutatore “professionale” si chiede perciò la capacità di uno sguardo
plurimo e addestrato a diverse angolazioni. Ben vengano le “griglie” e i
modelli… ma con l’avvertenza introiettata a fondo, che
la realtà e le mappe non sono la medesima
cosa e che lo sforzo di identificare mappe sempre più dettagliate delegando
ad esse una sorta di “automatizzazione” della valutazione, conduce fuori strada…[2]
In questo senso trovo particolarmente
critico il ricorso “in automatico” alla assunzione delle informazioni depositate
“on line”.
Sono materiale prezioso offerto a conforto della osservazione ravvicinata ai
processi e alle persone, ma non ne possono sostituire la funzione diagnostica.
Strumenti e modi della valutazione delle persone
nell’organizzazione
Occorre seguire con attenzione la costruzione del modello
operativo della valutazione dei dirigenti, sia per le definizioni dei
fondamentali, sia per la elaborazione degli strumenti.
In appendice allego una modesta e parziale proposta di strumenti, il cui
significato è solo quello di indicare linee di elaborazione che dovrà utilizzare
ben altre competenze e soprattutto contributi plurimi e pluri professionali.
Il primo passo: la
definizione del profilo di ruolo
Costituisce l’architrave di qualunque modello di valutazione
delle persone nell’organizzazione. Un “profilo di ruolo” definito e condiviso è
la condizione necessaria (non sufficiente) per creare un modello consolidato e
condiviso tra i (necessariamente numerosi) valutatori di prima istanza (coloro
che agiranno a contatto con i valutati).
Ma anche per mettere questi ultimi di fronte alla conoscenza, se non
necessariamente condivisione, di ciò che sarà osservato e valutato del loro
lavoro.
La stessa definizione/assegnazione degli obiettivi è condizionata, nella sua
appropriatezza, dalla corrispondenza con il “profilo di ruolo”.
Nella PA i profili di ruolo sono spesso definiti “normativamente”. Per tale
motivo costituiscono spesso una declaratoria di validità “erga omnes” in cui
viene enumerato tutto ciò che non può non
esserci.
Basterebbe guardare ciò che viene indicato come competenze del Dirigente
Scolastico nei bandi di concorso. In una vecchia battuta dicevo che si chiede al
DS di essere contemporaneamente “un’aquila e un cavallo” (vedi bibliografia in
nota).
In altri approcci (in altre culture organizzative) il profilo di ruolo è “ciò
che l’organizzazione si aspetta da una persona su quelle mansioni”.
Dunque non una classificazione “normativa” ma collegata organicamente e
funzionalmente alla specifica organizzazione.
Anche in tal caso occorre ricomporre i due sguardi: una organizzazione “di
macrosistema” come l’istruzione, necessariamente standardizza i profili di
ruolo.
Il legame con il Diritto Amministrativo aggiunge a tale standard anche la forza
“normativa” che ha necessariamente sia una “lunga durata” sia, nel nostro caso,
una valenza comparativa intersettoriale (vedi DLGS 165/2001) dunque si allontana
ulteriormente dalle specificità di settore.
Ma un modello di valutazione che si applichi “qui e ora”
deve riuscire a ricomporre sensatamente tale realtà con quella
permanentemente in transizione come la scuola (La scuola, come
la ecclesia,
est semper reformanda..).
Va aggiunto che le declaratorie di capacità e comportamenti organizzativi
elaborate in settori anche molto diversi tra loro, quando si tratti di figure
con funzioni dirigenti tendono a convergere. ( si veda un esempio in Allegati).
Se si usa il dettato del DGLS 165/2001 per il profilo di
ruolo del DS si può tracciare una ipotesi del profilo di ruolo che è riportata
in allegato (Allegato n. 1)
Secondo passo: una
classificazione degli obiettivi ed una mappa (portfolio) delle competenze
Definire un repertorio di obiettivi appropriati al profilo
di ruolo e ad esso coerenti è il passo successivo e altrettanto “fondante” di un
modello di valutazione obiettivi-risultati.
L’impegno critico è quello di enucleare una “classificazione
degli obiettivi” che ne sappia indicare sia il grado di “padronanza” effettiva
da parte dei DS, sia il “peso” da assegnare in relazione alle necessità
dell’organizzazione.
Elaborare una sistematica degli obiettivi coerente con le
indicazioni del profilo di ruolo significa tracciare l’area della valutazione
che deve essere esplorata nell’approccio ravvicinato alla azione reale del
Dirigente. Significa proporre una “semantica” comune
e riconosciuta con la quale affrontare la multiforme varietà specifica
degli obiettivi assegnati e perseguiti dal singolo Dirigente nella specifica
organizzazione.
In Allegato (Allegato
n. 2) si propone una possibile mappa degli obiettivi redatta a partire dalle
“etichette” dell’ipotesi di profilo di ruolo disegnata precedentemente
Naturalmente si tratta di “etichette” di una sistematica
degli obiettivi. Ad esse dovrebbe riferirsi il
set specifico
di obiettivi che il singolo DS si dà e/o riceve per il tempo indicato e
per la organizzazione in cui opera. La sistematica comune e condivisa
rappresenta la condizione della confrontabilità e della omogeneità del modello.
A tale quadro corrisponde una
“sistematica” della competenze previste per il DS.
Nella appendice (vedi
Allegato 3)
si troverà una proposta di tale
quadro di “competenze” del DS articolato in coerenza con la classificazione
degli obiettivi proposta nello schema.
A titolo di esempio e per convalidare la citata relativa confrontabilità dei
modelli di valutazione dei dirigenti in settori anche molto diversi tra loro, in
appendice (Allegato 4) è riportata
una scheda di valutazione dei dirigenti (riferita all’area “Gestione del
personale”) utilizzata in una importante azienda di Credito di rilevanza
nazionale. Si potranno verificare isomorfismi e categorie e costrutti comuni.[3]
Terzo passo:
definire gli indicatori di risultato
Alla definizione degli obiettivi si unisce un quadro di
“indicatori” di risultato, che consenta di esprimere il “giudizio” valutativo,
almeno per quanto attiene al paradigma obiettivi-risultati (che, insisto, non è
paradigma esaustivo nella valutazione di dirigenti che operano nella PA).
Negli allegati presento un repertorio di indicatori, per possibili obbiettivi
definiti sulle quattro aree utilizzate nel modello di classificazione utilizzato
in precedenza (Vedi Allegato 5).
Come si potrà vedere lo sforzo definitorio è diretto a mantenere coerenza e
compatibilità tra profilo di ruolo, repertorio di obiettivi, competenze e
comportamenti del Dirigente.
Vale l’osservazione fondamentale che tale modello (come qualsiasi altro) va
messo alla prova sul campo, corretto, migliorato: la valutazione è campo di
ricerca.
Che cosa si osserva per valutare
La documentazione
Il valutatore giunge alla interazione diretta con il
Dirigente Scolastico in valutazione, attraverso una consistente mole di
documentazione. (RAV, PTOF, PDM, Programma Annuale, Piano di attività, ecc… Ma
volendo anche alcuni “prodotti” diretti del DS: attribuzione di incarichi,
circolari, presentazioni e relazioni al collegio). Anche l’esame della
documentazione può essere condotto seguendo una traccia comune che metta in
rilievo gli elementi di guida all’osservazione della stessa, per rilevarne e
apprezzarne in sostanza i tre fattori:
Completezza, Significatività, Coerenza
In Allegato (Allegato n. 6) è
schematizzato un possibile strumento per tale lavoro. Si presta in particolare,
non solo a costituire una traccia di lettura/valutazione della documentazione da
parte dell’osservatore/valutatore, ma anche a confrontare le osservazioni
dirette del primo con l’illustrazione da parte del secondo dei medesimi
documenti: dunque uno strumento di interazione diretta (vedi oltre)
Osservazione
diretta dell’attività
In alcuni modelli di valutazione è prevista l’osservazione
diretta del valutato mentre esercita il suo ruolo, in attività considerate
“esemplari”.
Si tratta di una possibilità di grande interesse, anche se molto impegnativa,
sia per creare le condizioni appropriate per esercitarla (come
governare/controllare gli “artefatti” della “rappresentazione”) sia per la
determinazione ed omogeneizzazione del protocollo osservativo.
Per la determinazione delle attività di lavoro cui dedicare
osservazione diretta si potrebbe seguire lo stesso quadro delle “Aree di
Competenza” disegnato in precedenza (vedi
Allegato 3) e identificare al suo
interno gli oggetti specifici di osservazione.
Uno schema di rilevazione e registrazione
delle osservazioni compiute in tale contesto è riportato in allegato (Allegato
7)
Interviste e
colloqui
Si tratta delle attività nelle quali è più elevato il grado
di interazione tra osservato e osservatore. Dunque più elevato deve essere il
controllo delle possibili distorsioni e rischi di errore dell’osservatore (vedi
in allegato un elenco di tali rischi di errore
Allegato n.13).
Le interviste sono dirette alla raccolta
di informazioni; i colloqui hanno come oggetto l’interlocutore stesso.
Una “intervista situazionale”
potrebbe ripercorrere lo schema già indicato per l’esame della documentazione
con opportune modificazioni. E’ il valutato che presenta la documentazione (Allegato
8) e l’osservatore registra i caratteri della sua narrazione
Per la rilevazione delle capacità/competenze, seguendo gli schemi precedenti,
una ipotesi di intervista al Dirigente
si trova in
Allegato n.9
Nei colloqui
l’osservatore dovrebbe dedicare la sua attenzione non ai “dati e le cose” ma
alle persone con cui interagisce.
Ciò riguarda sia i colloqui con il valutato, sia il colloquio con altri
interlocutori che vengono individuati per rilevare elementi che si identificano
(spesso impropriamente) come “rilevazione del grado di soddisfazione” o, per
altro verso, come rilevazione del “grado di reputazione”.
Propongo di seguito uno schema che, adattato, può essere
utilizzato sia nel colloquio diretto con il Dirigente Scolastico, sia con i suoi
collaboratori.
Il colloquio, in tale caso, serve a registrare le
opinioni e le percezioni degli
interlocutori rispetto alla comune appartenenza alla medesima organizzazione.
Può essere realizzato in modalità collettiva
focus group (Vedi
Allegato 10). Personalmente, in un
contesto culturalmente evoluto come la scuola, diffido della capacità di
questionari compilati, di restituire risposte “autentiche” su problematiche
complesse. Ma soprattutto: in un contesto da macrosistema il “questionario” è
consumato con la prima somministrazione. Andrebbe cambiato per ciascuna
rilevazione.
Di buon valore diagnostico
è il colloquio teso a registrare quello che in letteratura viene indicato come
“Incidente critico”. Cioè l’evento
professionale che nel corso della propria attività viene considerato dal
valutato come particolarmente significativo. All’osservatore, naturalmente, il
compito di utilizzare tale “memoria” dell’interessato come sintomo per
ricostruirne connotato e valore professionale. (Allegato
11)
Si tratta di analisi della “narrazione” del valutato, ma di una narrazione che
viene “guidata” in modo non dissimile da quello che usualmente viene definito
come paradigma de “punti di forza e punti di debolezza”, ma che in tale caso
viene “personalizzato” (cosa ti è
riuscito meglio, cosa ti è riuscito peggio?); a tale indicazione si aggiunge
quella di spingere a guardare, nella stessa narrazione, ai punti di vista degli
interlocutori (sopra e sotto in termini di gerarchie; destra e sinistra in
termini di collaborazioni)
L’uso di strumenti interattivi e il nodo: i valutatori
Si già detto dei rischi di
soggettivismo e di errore connessi con l’interazione tra valutato e valutatore.
Ma altrettanto forti sono i rischi di insignificanza di griglie, schede, tabelle
pretese “oggettive”
La qualità dei valutatori è il vero fattore limitante di qualunque modello di
valutazione. Ciò significa il massimo impegno su tale fattore,
in termini sia di formazione che di
supervisione.
Dunque valutazione ricorrente, progressivamente approfondita
in parallelo con la ricerca sul modello di valutazione (vedi premessa). E
formazione abbinata a selezione/reclutamento e supervisione.
Una impresa di lunga durata.
[1]
Auto-bibliografia
di riferimento: Franco De Anna, a cura di
“Monitoraggio autonomia: monitoraggio,
valutazione, consulenza nella scuola che cambia”
Franco Angeli Editore; Franco De Anna
“Valutare i dirigenti della scuola”,
Spaggiari casa editrice;
Articoli più recenti, reperibili on line “Il
dirigente scolastico, tra idealtipi e ricerca di
status”
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/ds_idealtipi.htm
“Leader, Giullari,
impostori: a proposito di leadership nella
scuola” in
http://www.pavonerisorse.it/scuolaoggi/leadership.htm
“Divagazioni
di stagione: scuola e Pubblica Amministrazione”
http://www.scuolaoggi.com/autonomia/1811-divagazioni-di-stagione-scuola-e-pubblica-amministrazione
“Le prossime tappe
del Sistema Nazionale di Valutazione: i nodi e i
pettini
“
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/nodi_pettini.htm
“Valutazione
e miglioramento: il rischio anestetico”
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/valutazione_miglioramento.htm
;”Miglioramento,
consulenti, tutor ed altro,
tra approssimazioni semantiche e pratiche
operative”
http://www.pavonerisorse.it/buonascuola/autovalutazione/tutor.htm
; “L’aquila e il cavallo. Ovvero la
valutazione dei Dirigenti”
http://www.pavonerisorse.it/riforma/valutazione/aquila_cavallo.htm
[3]
Ho scelto una grande
azienda di credito anche per qualche isomorfismo
organizzativo: una unica “ragione sociale”
nazionale ed un vasto numero di “filiali”
distribuite sul territorio e dotate di un
relativo grado di autonomia gestionale, pure
nell’ambito della medesima ragione sociale. Un
modello che, per alcuni versi ed in alcune
interpretazioni della autonomia ha elementi in
comune con il sistema di istruzione.