(14.05.2015)
La valutazione della parrucchiera
di Stefano Stefanel
I ferventi sommovimenti che stanno percorrendo il mondo della scuola sono sempre più spesso accompagnati da insulti a Renzi e ai dirigenti scolastici in una deriva di boicottaggi, scioperi, dileggiamenti, attacchi personali che mostrano un tessuto scolastico nel complesso molto lacerato e poco tollerante. La valutazione degli insegnanti – come ho già avuto modo di scrivere – soffre il vulnus originario dal non essere preceduta dalla valutazione dei dirigenti. Un modo molto semplice per rendere i dirigenti valutatori e far scemare il “dibattito” sull’assunzione diretta di amanti, parenti, mafiosi, raccomandati sarebbe quello di privatizzare ulteriormente il rapporto di lavoro dei “dirigenti che assumono e valutano”, togliere la nostra valutazione dal contratto e prevedere il licenziamento (come avviene per i dirigenti privati) per chi viene valutato negativamente dall’amministrazione. La precarizzazione della dirigenza pubblica (uniformata a quella privata) renderebbe difficile mantenere alto il livello degli insulti, visto che apparirebbe chiaro a tutti che uno se si gioca il suo posto di lavoro tenderebbe a fare le cose per bene. E quindi le farebbe “per male” solo se non è capace di farle. A quel punto sarebbe divertente vedere le garanzie richieste dai sindacati dei dirigenti e dai dirigenti stessi, e valutare se sarebbero diverse da quelle richieste dai docenti. O se magari anche quelle non si attardassero sulla moralità dei valutatori ministeriali.
La memoria corta di molti non aiuta a capire cosa c’è sul campo. Se si analizzano i documenti normativi sulla valutazione degli insegnanti si comprende subito come la “conventio ad escludendum” sia stato il patto esplicito tra uno stato che vuole inserire la scuola nella pubblica amministrazione e una scuola che vuole rimanere “porto franco”:
- il d.lgs 286 del 30 luglio 1999 scrive testualmente: “Il presente decreto non si applica alla valutazione dell’attività didattica e di ricerca di professori e ricercatori delle università, all’attività didattica del personale della scuola” (art. 1, comma 4);
- il d.lgs n° 150 del 27 ottobre 2009 recita: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono determinati i limiti e le modalità di applicazione delle diposizioni dei Titoli II e III del presente decreto al personale docente della scuola e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale, nonché ai tecnologi e ai ricercatori degli enti di ricerca. Resta comunque esclusa la costituzione degli Organismi di cui all'articolo 14 nell'ambito del sistema scolastico e delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale” (art. 74, comma 4). Questo decreto non è mai stato emanato.
Può essere interessante notare come nel 1999 si escludevano i docenti dalla valutazione all’inizio del decreto (così non si doveva neanche fare la fatica di leggerlo), mentre nel 2009 il falsamente arcigno Renato Brunetta l’esclusione la metteva alla fine, dopo che uno aveva letto tutto e si era spaventato. Il messaggio era però sempre lo stesso e sempre chiaro: i docenti non si valutano.
Ci sono due passaggi molto interessanti dell’intervista al Segretario dello Snals Marco Paolo Nigi (OrizzonteScuola.it del 13 maggio 2015) che cito testualmente estrapolandoli dal contesto:
- “E chi l’ha detto che il lavoro dell’insegnante si può valutare? Non si riesce a valutare l’operato di un metalmeccanico figuriamoci quello di chi svolge una professione intellettuale come il docente”
- “Il punto per me non sta nella valutazione dei docenti, che è un falso problema.”
Nigi ribadisce a chiare lettere quello che dicevano i due decreti sopra citati.
La questione delle Prove Invalsi si situa in questo contesto: i docenti nel complesso rifiutano qualsiasi valutazione esterna su se stessi e sul proprio lavoro, sia se viene fatta sulla professionalità sia se viene fatta sugli esiti. Lo Stato con leggi abbastanza strambe ha reso obbligatorie le prove Invalsi, inserendole anche in quel grande spreco di denaro, tempo e credibilità che è l’esame di stato conclusivo del primo ciclo d’istruzione. Non ha reso però obbligatorie le correzioni delle prove dando per scontato che, essendo dentro un processo di valutazione, rientrassero tra i compiti previsti dall’art. 29 dell CCNL del 29 novembre 2007 o tra i compiti deontologici della funzione docente. Per larga parte è così e i dati ci sono. Quello che manca è un interesse reale sui dati, un sentirli propri, un considerarli come il punto di misurazione da cui far partire le osservazioni sulla propria professione e la propria didattica. Comunque si interpretino i pensieri dei docenti nel complesso la correzione delle Prove Invalsi è vissuta o come un lavoro gratuito fatto per altri, o come la connivenza col nemico aziendalista che ci distruggerà, o come una perdita di tempo o come lavoro interessante ma che si somma a quello quotidiano.
Rifiutando la valutazione su professionalità ed esiti le scuole si affidano però a valutazioni forti ma poco controllate. Una delle più egemoni è quella delle parrucchiere. Un negozio di acconciature sia di una grande città, sia di un piccolo paese con una buona clientela e una decina di postazioni si trova a contatto con i pareri sulla scuola e sugli insegnanti di moltissime signore (madri e nonne) che forniscono informazioni, dicerie, opinioni, dati, osservazioni, ecc. durante le attese o nel momento dell’acconciatura-taglio. Dai barbieri intanto i signori (padri e nonni) parlano di politica e calcio. Questo enorme numero di informazioni viene rielaborato dalla parrucchiera che poi può fornire motivati pareri e informazioni davanti a dubbi e non a certezze. Se una cliente (del cui parere sulla propria professione le parrucchiere sono interessatissime in quanto professioniste sul mercato) esprime un’opinione su un insegnante o su una scuola la parrucchiera ascolta. Se, invece, chiede un’opinione la parrucchiera la può dare con cognizione di causa e dire con certezza di quale fama gode un insegnante o una scuola. Così si crea una rete informativa reputazionale cittadina che transita da un soggetto che diventa suo malgrado competente, ma che forse non ha le credenziali dell’Ocse o dell’Invalsi. Le scuole e gli insegnanti così hanno reputazione e sono valutati, ma in modo molto empirico. Provate però a combattere un giudizio cattivo su una scuola, un insegnante e un’attività scolastica che ha il forte sostegno di una parrucchiera e poi vedrete in che difficoltà vi troverete.
Davvero vogliamo continuare a farci valutare così?