All'inizio di un anno scolastico non lontano, il collegio docenti della scuola nella quale lavoro (la scuola media di Pieve di Scalenghe, in provincia di Torino) ha deliberato, su proposta del preside, di fornire gratuitamente a tutti gli allievi un diario offerto da un istituto di credito locale. Ogni altro diario era proibito. Così com'era proibito scriverci su qualsiasi cosa che non fosse strettamente attinente alle "normali" attività scolastiche (compiti, giudizi, comunicazioni alla famiglia, note disciplinari...) o, tanto più, "imbrattarlo" con slogan, disegni, adesivi e quant'altro la diabolica e perversa fantasia dei bambini potesse mai suggerire...
Trascurando ogni altra considerazione, mi era subito sembrato di trovarmi di fronte a una di quelle tipiche manovre di rimozione forzata dell'identità e dell'immaginario infantili (una volta si imponevano il taglio dei capelli e la divisa...) che caratterizza una scuola molto più attenta ai propri meccanismi istituzionali che ai bisogni dei ragazzini, più centrata sul compito fin troppo serioso di insegnare comportamenti e discipline che su quello, senz'altro più stimolante anche per gli insegnanti, di predisporre contesti adeguati perché i bambini mettano a confronto, sviluppino ed irrobusticano le loro personali strategie di apprendimento. Perché, insomma, imparino ad imparare.
Il diario "pasticciato", ho pensato, è una specie di prodotto multimediale spontaneo, da cui gli insegnanti (e gli adulti più in generale) possono imparare molto su quello che attraversa e fa entrare in "risonanza" le giovani menti dei nostri allievi.