piccole
riflessioni nel mare della psicologia
a cura di Daniela Bardelli
"La pace non è assenza di conflitto. Il conflitto è un fatto inevitabile della vita quotidiana: conflitti interiori, interpersonali, tra gruppi e internazionali. La pace consiste nellaffrontare in modo creativo i conflitti. Pace è il modo di procedere per risolvere i conflitti in modo tale che entrambe le parti vincano, con accresciuta armonia come conseguenza dl conflitto e della sua risoluzione. La risoluzione è pacifica se i partecipanti arrivano a voler cooperare in modo più completo e si trovano nella condizione di poterlo fare."
J. e K. McGinnis
Vi propongo questa riflessione che non è uscita dalla "mia penna" ma è parte di un articolo scritto da Daniele Novara, responsabile del Centro Psicopedagogico per la pace di Piacenza. (d.b.)
"Che cosè leducazione alla pace?
Non può essere una trasmissione culturale, ossia non può essere un insegnamento (in-segnare,
mettere un segno) perché questo vorrebbe semplicemente ribadire un modello culturale
fondato sulla delega e sulla accondiscendenza passiva
Non è neanche un curriculum di educazione alla pace
Leducazione alla pace è un processo attraverso il quale il ragazzo deve giungere a
possedere gli strumenti non tanto per ripetere determinate formule e contenuti, ma per
acquisire delle capacità di resistenza critica e di distanziamento rispetto
allesistente, allo status quo.
Da un alto abbiamo lacquisizione, che fa parte del buon senso comune, per cui pace
è armonia e quindi siamo sempre protesi a cercare tutto quello che può riguardare la
pacificazione degli animi; dallaltro, se guardiamo alla storia e alla società, ci
accorgiamo che anche situazioni in cui apparentemente cè pacificazione, nascondono
una violenza tremenda.
Se a scuola proiettassimo, per esempio, una diapositiva di una fabbrica di armi con un
gruppo di operai che stanno tranquillamente lavorando e immediatamente dopo presentassimo
la diapositiva di un gruppo di tifosi ultras e chiedessimo ai bambini che cosa è più
violento, evidentemente la risposta è scontata: gli ultras sono più violenti degli
operai che tranquillamente fanno il loro lavoro.
La percezione della violenza è sempre un fatto molto complicato, discutibile, soggettivo.
La società, allinterno di una certa visione antropologica, stabilisce dei criteri
per cui certi atti sono violenti e certi non lo sono.
Robert Oppenheimer, lo scienziato leader del gruppo che a Los Alamos preparò la bomba
atomica sganciata su Hiroshima, è sempre stato considerato un grandissimo fautore del
progresso, un grande scienziato, come da noi Enrico Fermi.
Sono persone che non vengono percepite come i realizzatori di opere violente, ma soltanto
di opere scientifiche. Violento è semmai lautomobilista che si ferma arrabbiato e
dà un pugno ad un altro automobilista; violenti possono essere considerati gli zingari
che chiedono soldi e rispondono ad un rifiuto con insulti e minacce. E solo un
problema di percezione: i nomadi non hanno mai fatto la guerra a nessuno e probabilmente
non la faranno mai in quanto nella loro cultura non esiste il concetto di guerra, né il
concetto di Stato, di esercito, di proprietà privata.
Noi assimiliamo certe categorie come violente, mentre altre categorie che magari
contengono un potenziale di violenza ben maggiore, non vengono percepite come pericolose.
Il problema pedagogico, educativo è quello di far acquisire ai ragazzi la capacità di percepire la violenza, di conoscere la possibilità di costruire unalternativa ad un sistema che ormai è arrivato ad un punto di legittimazione della violenza tale che neanche più lavvertiamo.
Ed è questo laspetto più drammatico. Il
problema educativo non è quello della pacificazione perché siamo per altri versi
abbastanza pacifici, già abbastanza tranquilli, non ci indigniamo più di tanto e
senzaltro le generazioni che stanno crescendo si indignano ancora meno.
Don Milani, che non era un tipo aggressivo, sosteneva che il problema dei ragazzi isolati,
e quindi maggiormente a rischio, non era quello di stare buoni ma quello di trovare la
forza di ribellarsi alle condizioni in cui vivevano. Il suo problema era quello di fare in
modo che i ragazzi potessero acquisire qualcosa di personale, di unico, una loro
autonomia, una loro originalità senza adeguarsi passivamente al contesto. Lo sviluppo
della capacità dellindividuo a resistere, a confrontarsi, a porsi con fiducia verso
gli altri si basa sulla sicurezza personale, sulla consapevolezza delle proprie risorse.
Senza una sicurezza di base non può esistere una personalità di pace.
Il timido, il violento sono fondamentalmente persone insicure: luno si rifugia nella
fuga, laltro nella violenza.
Per sviluppare la creatività dei ragazzi e la capacità autonoma di risolvere i problemi
è fondamentale partire da situazioni effettive e reali: problematiche da sperimentare,
problematizzare, analizzare, rivedere ed orientare in modo diverso. Anche quando si vuole
"insegnare" la pace bisogna mettersi nei panni del bambino e chiedersi fino a
che punto veramente noi, come adulti, siamo in grado di insegnare qualche cosa o se non è
più opportuno dare modo alle nuove generazioni di costruire un loro mondo, un loro
futuro.
Tutto ciò parte dallascolto; una pedagogia sana è una pedagogia che si mette nei
panni delle nuove generazioni, che sa innanzitutto ascoltare."