Direzione didattica di Pavone Canavese

Counselling


(09.12.2001)

Cadere nella rete: comunicazione in sinergia
di Ernestina Parente

Quando un minore è in difficoltà i sistemi inizialmente interessati sono la scuola e la famiglia. Tra le due parti può instaurarsi un rapporto di collaborazione allo scopo di prendere in carico, attraverso strategie educative e a volte didattiche, lo stato di disagio che l'allievo segnala.
A scuola l’insegnante può rilevare nel bambino comportamenti particolari, come atteggiamenti inconsueti o vistosi cali dell’attenzione, oppure difficoltà di apprendimento.
In tutti questi casi si tratta di gestire momenti delicati; parlare di difficoltà dei figli ai genitori non è semplice. La famiglia può non rilevare i segnali che la scuola coglie ed in seguito ai quali propone una collaborazione. Sembra a volte di parlare di due bambini differenti.
Sempre più l’istituzione scolastica si trova ad affrontare anche altre situazioni di disagio: separazioni, affidamenti o bambini in carico dai servizi socio-assistenziali ed inseriti in comunità. Di conseguenza gli insegnanti si trovano a gestire anche rapporti con altri professionisti. In questo caso le difficoltà possono aumentare perché persone appartenenti a sistemi operativi diversi, con obiettivi e priorità differenti, si trovano a dover lavorare insieme, attuando ciò che i manuali sempre auspicano e cioè un lavoro sinergico di rete.
Proprio in questo contesto possono nascere situazioni di empasse.
I diversi punti di vista, possono rendere vani gli sforzi nell’affrontare concretamente una situazione difficile vissuta dal minore. Il punto di vista dello psicologo, dell’assistente sociale e dell’educatore, degli operatori dei servizi sociali…Quali obiettivi hanno questi professionisti, quali i tempi, quali i reali limiti, quali informazioni e compiti possono riguardare la scuola e quali invece non sono di sua competenza?
A questo panorama aggiungo altri interrogativi che possono presentarsi ai docenti: dubbi su bambini per la trascuratezza con cui si presentano a scuola, su casi in cui la frequenza scolastica non sia regolare, su situazioni in cui si manifestano degli evidenti segnali di disagio la cui lettura non è facile. Che fare? A chi dirlo? Cosa dire e come dire?
Ritengo che sia importante conoscere quanto sia conoscibile: mi riferisco ai compiti e ai vincoli che le istituzioni possiedono.E’ possibile, infatti, che certe confusioni nascano "semplicemente" dal non saper fin dove sia possibile chiedere ed ottenere.
Per meglio affrontare alcune situazioni problematiche, dove causa e conseguenza non sempre sono facilmente collegabili, e dove occorre che le istituzioni sappiano leggere reciprocamente i diversi punti di vista, le abilità di counselling possono costituire una grande risorsa.
Il counselling si configura come un intervento di comunicazione professionale da parte di professionisti con un’apposita preparazione e competenza; in momenti di difficoltà e tensione può essere utile abbandonare l’uso di una comunicazione spontanea ed avvalersi di una comunicazione consapevole e professionale, che consenta la creazione di un terreno comune tra le parti. Un terreno su cui far crescere la condivisione di un progetto integrato.
L’importanza di questa richiesta e la necessità di un lavoro sinergico, sono giustificati dagli sforzi che davanti ad un "bambino condiviso" i vari operatori, nelle rispettive strutture, compiono per migliorare la sua condizione. Ognuno dal proprio punto di vista, in base al proprio progetto lavora, attivando risorse proprie ed altrui ed ipotizzando per quell'allievo un processo di cambiamento.
Ci sono realtà in cui sono nati protocolli di intesa tra varie istituzioni, ma a volte nei fatti l’impegno scritto non è rispettato. In alcuni casi gli insegnanti non riescono nemmeno a parlare all’assistente sociale od allo psicologo, in altri l’assistente sociale dichiara che prima di aiutare il bambino bisogna aiutare la famiglia, perché è la famiglia che non sa prendersi cura del bambino. Intanto il tempo passa e gli insegnanti tutti i giorni si trovano ad arginare situazioni che hanno dell’incredibile.
Lo psicologo da parte sua incontra il bambino, ma questo, a volte, accade dopo mesi di tentativi e lavoro condotto dagli insegnanti con la famiglia. Nella mia esperienza, il giudizio che sovente viene espresso dagli psicologi è "…il bambino cognitivamente non presenta problemi, si rapporta bene con l’adulto…."
Gli incontri che avvengono tra allievo e psicologo sono, in un anno, circa tre. Agli insegnanti viene suggerito di attivare strategie, di individualizzare, di motivare… Penso che solo un docente che quotidianamente ricorra alla creatività ed alla fantasia può capire quale frustrazione si prova in questi incontri con lo psicologo…
Chi può tentare di cambiare qualcosa, nella propria organizzazione, è la scuola; ma, nella mia esperienza, sovente questa consapevolezza non è diffusa da parte degli insegnanti creando ostacolo alla collaborazione con i servizi territoriali.
Forse davanti all’emergenza sociale che impegna tutti, va coltivato un nuovo modo di affrontare i problemi, che non dipenda dalla sola la preparazione e disponibilità del singolo professionista, ma da una modalità di lavoro integrato tra servizi territoriali e istituzioni scolastiche.
Ritengo che questo percorso esiga la capacità di vedere anche dal punto di vista dell’altro. Un requisito che deve funzionare anche nelle situazioni di emergenza, sì da evitare che ci si limiti all’occasionalità dell’intervento "riparatore".

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