(09.12.2001)
Quando un minore è
in difficoltà i sistemi inizialmente interessati sono la scuola e la famiglia. Tra le due
parti può instaurarsi un rapporto di collaborazione allo scopo di prendere in carico,
attraverso strategie educative e a volte didattiche, lo stato di disagio che l'allievo
segnala.
A scuola linsegnante può rilevare nel bambino comportamenti particolari,
come atteggiamenti inconsueti o vistosi cali dellattenzione, oppure difficoltà di
apprendimento.
In tutti questi casi si tratta di gestire momenti delicati; parlare di difficoltà
dei figli ai genitori non è semplice. La famiglia può non rilevare i segnali che la
scuola coglie ed in seguito ai quali propone una collaborazione. Sembra a volte di parlare
di due bambini differenti.
Sempre più listituzione scolastica si trova ad affrontare anche altre
situazioni di disagio: separazioni, affidamenti o bambini in carico dai servizi
socio-assistenziali ed inseriti in comunità. Di conseguenza gli insegnanti si trovano a
gestire anche rapporti con altri professionisti. In questo caso le difficoltà possono
aumentare perché persone appartenenti a sistemi operativi diversi, con obiettivi e
priorità differenti, si trovano a dover lavorare insieme, attuando ciò che i manuali
sempre auspicano e cioè un lavoro sinergico di rete.
Proprio in questo contesto possono nascere situazioni di empasse.
I diversi punti di vista, possono rendere vani gli sforzi nellaffrontare
concretamente una situazione difficile vissuta dal minore. Il punto di vista dello
psicologo, dellassistente sociale e delleducatore, degli operatori dei servizi
sociali
Quali obiettivi hanno questi professionisti, quali i tempi, quali i reali
limiti, quali informazioni e compiti possono riguardare la scuola e quali invece non sono
di sua competenza?
A questo panorama aggiungo altri interrogativi che possono presentarsi ai docenti: dubbi
su bambini per la trascuratezza con cui si presentano a scuola, su casi in cui la
frequenza scolastica non sia regolare, su situazioni in cui si manifestano degli evidenti
segnali di disagio la cui lettura non è facile. Che fare? A chi dirlo? Cosa dire e come
dire?
Ritengo che sia importante conoscere quanto sia conoscibile: mi riferisco ai
compiti e ai vincoli che le istituzioni possiedono.E possibile, infatti, che certe
confusioni nascano "semplicemente" dal non saper fin dove sia possibile chiedere
ed ottenere.
Per meglio affrontare alcune situazioni problematiche, dove causa e conseguenza non
sempre sono facilmente collegabili, e dove occorre che le istituzioni sappiano leggere
reciprocamente i diversi punti di vista, le abilità di counselling possono
costituire una grande risorsa.
Il counselling si configura come un intervento di comunicazione
professionale da parte di professionisti con unapposita preparazione e competenza;
in momenti di difficoltà e tensione può essere utile abbandonare luso di una
comunicazione spontanea ed avvalersi di una comunicazione consapevole e
professionale, che consenta la creazione di un terreno comune tra le parti. Un terreno
su cui far crescere la condivisione di un progetto integrato.
Limportanza di questa richiesta e la necessità di un lavoro sinergico, sono
giustificati dagli sforzi che davanti ad un "bambino condiviso" i vari
operatori, nelle rispettive strutture, compiono per migliorare la sua condizione. Ognuno
dal proprio punto di vista, in base al proprio progetto lavora, attivando risorse proprie
ed altrui ed ipotizzando per quell'allievo un processo di cambiamento.
Ci sono realtà in cui sono nati protocolli di intesa tra varie istituzioni, ma a
volte nei fatti limpegno scritto non è rispettato. In alcuni casi gli insegnanti
non riescono nemmeno a parlare allassistente sociale od allo psicologo, in altri
lassistente sociale dichiara che prima di aiutare il bambino bisogna aiutare la
famiglia, perché è la famiglia che non sa prendersi cura del bambino. Intanto il tempo
passa e gli insegnanti tutti i giorni si trovano ad arginare situazioni che hanno
dellincredibile.
Lo psicologo da parte sua incontra il bambino, ma questo, a volte, accade dopo mesi
di tentativi e lavoro condotto dagli insegnanti con la famiglia. Nella mia esperienza, il
giudizio che sovente viene espresso dagli psicologi è "
il bambino
cognitivamente non presenta problemi, si rapporta bene con ladulto
."
Gli incontri che avvengono tra allievo e psicologo sono, in un anno, circa tre.
Agli insegnanti viene suggerito di attivare strategie, di individualizzare, di
motivare
Penso che solo un docente che quotidianamente ricorra alla creatività ed
alla fantasia può capire quale frustrazione si prova in questi incontri con lo
psicologo
Chi può tentare di cambiare qualcosa, nella propria organizzazione, è la scuola;
ma, nella mia esperienza, sovente questa consapevolezza non è diffusa da parte degli
insegnanti creando ostacolo alla collaborazione con i servizi territoriali.
Forse davanti allemergenza sociale che impegna tutti, va coltivato un nuovo
modo di affrontare i problemi, che non dipenda dalla sola la preparazione e disponibilità
del singolo professionista, ma da una modalità di lavoro integrato tra servizi
territoriali e istituzioni scolastiche.
Ritengo che questo percorso esiga la capacità di vedere anche dal punto di vista
dellaltro. Un requisito che deve funzionare anche nelle situazioni di emergenza, sì
da evitare che ci si limiti alloccasionalità dellintervento "riparatore".
Potrebbe essere utile
non avere la presunzione di pensare che quanto si afferma coincida con quanto laltro capisce, o è in grado di capire;
pensare che la buona comunicazione non dipenda dallabbondanza delle comunicazioni, bensì dalla chiarezza;
ascoltare laltro e selezionare le informazioni sul suo modo di affrontare il problema;
non pensare che in un incontro si possa capire e dire tutto;
non irrigidirsi nelle proprie convinzioni: ipotizzare che la propria ipotesi potrebbe anche non essere lunica valida.