Direzione didattica di Pavone Canavese

Counselling


(15.01.2001)

Lei, cosa mi consiglia ?
di Milly Seira

Quante volte un insegnante ha sentito porsi questa domanda da un genitore o da una collega, o avrebbe voluto sentirsela porre perché avrebbe avuto qualcosa da dire sull'argomento in discussione?

A molti dare consigli piace; ci alletta l'idea di stillare un po’ della nostra saggezza a colui che, attraverso la richiesta di un consiglio, si mette nella posizione della persona meno esperta. A volte poi cediamo alla tentazione di dare suggerimenti anche quando non ci sono stati richiesti.

In tutto questo può nascondersi una trappola.
Proviamo a vedere perché può rivelarsi non opportuno fornire consigli:

Quando il nostro suggerimento raggiunge l'altro può accadere che la persona lo metta in pratica con successo e ci sia immensamente grato; oppure che la persona non intenda o possa seguire il consiglio perché non lo ritiene valido per la sua situazione. O ancora può accadere che la persona si indirizzi fiduciosa verso la strada indicata e si renda conto, mentre la percorre, di non aver la forza di arrivare fino in fondo. Averla imboccata non ha risolto il problema dell’altro ma lo ha schiacciato contro le sue difficoltà. Ognuno ha un proprio modo di reagire alle situazioni e quello che è valido per me può non esserlo per un'altra persona.

Il fine ultimo della richiesta di consigli nasce sovente da un idea di cambiamento. Ma parlare di cambiamento è cosa delicata; desiderarlo o averne bisogno non porta automaticamente alla sua attuazione.

Infatti quando forniamo un suggerimento, la nostra comunicazione entra in un sistema relazionale di tipo familiare o professionale di cui conosciamo solo una parte e non la sua interezza. E proprio per questo corriamo il rischio di interpretare la domanda dell’altro. Formulare un consiglio con l'attesa che l'altro lo metta in pratica comporta inoltre "entrare nella mente dell’altro" e questo è un compito inverosimile. 

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