Direzione didattica di Pavone Canavese

Counselling


(10.02.2002)

Abilità di counselling e handicap
di Ernestina Parente

Sempre più le organizzazioni, tra cui l’istituzione scolastica, si trovano ad operare in tempi ristretti, con l’impegno costante di operare scelte in un panorama in cui gli imprevisti e la mancanza di sufficienti informazioni sono frequenti e dove il ricercato tempo per la pianificazione è sempre più carente.
Mi viene in mente un’espressione ascoltata in un contesto non scolastico che in qualche misura sintetizza bene a mio avviso quanto ho espresso: ragionare per eventi!
La scuola quotidianamente affronta comunicazioni e indicazioni diverse tra loro e deve mediare, trovare possibili intersezioni, mai dimenticando che l’obiettivo prioritario è il bambino.
In particolare per quanto riguarda le problematiche inerenti l’handicap, l’operato diventa sempre più arduo là dove numeri e bilanci rappresentano i primi obiettivi e spazi da cui partire per costruire.
In questa situazione alcune abilità di counselling possono rappresentare un’utile risorsa per gestire momenti difficili che necessiterebbero di tempo e spazio maggiore, e dove determinante per lo sviluppo futuro dell’incontro è la risposta o la scelta attuata in quel momento.

A quali abilità possiamo pensare?

In situazioni in cui ci troviamo davanti a descrizioni di fatti diversi, discordanti, la comunicazione professionale ci aiuta ad utilizzare la domanda che permette all’altro di partire dal suo punto di vista. Intendo riferirmi all'uso della domanda aperta che ridefinisce il problema e chiede al nostro interlocutore di descrivere che cosa intende.
Le possibilità messe in atto in un colloquio da queste domande si collegano alla presenza di diverse posizioni e verità, all’ascolto dei vari punti di vista, alla capacità di reggere e valorizzare descrizioni diverse e non subirle come empasse insormontabili.
Dalla mia esperienza sia come formatore in un corso sulla comunicazione professionale per docenti di sostegno, sia come insegnante che incontra e vive quotidianamente situazioni simili a queste, rilevo uno degli aspetti più interessanti del counselling: l’interesse nei colloqui con genitori o colleghi per le descrizioni diverse, per il potere di possibilità che ne segue, per il movimento che i sistemi attivano, e per il cambiamento che nasce a cui tutti hanno concorso.
Davanti ad un genitore o ad un collega che mi offre una descrizione diversa, a volte contraria, non deve essere automatica la riflessione perché mi dice una cosa non verao perché mente…bensì cosa è successo o cosa intende per…cosa gli fa dire che quella volta il bambino ha manifestato un comportamento diverso da quello che mi appare?
Queste domande sono ancora più utili quando le formula chi si occupa di handicap poiché i sistemi coinvolti sono molti e dalla loro collaborazione dipende la riuscita del progetto.
La relazione con individui, bambini o adulti, in difficoltà, a volte fa scaturire una condotta che io chiamo "etichettatura": sovente per ragioni di oggettività legata ad una diagnosi, si tende a classificare gli individui ponendoli in categorie che caratterizzano il problema che manifestano.
Se la flessibilità e l’apertura verso diverse possibilità non sorregge l’operato di chi si rapporta a quel particolare individuo, la classificazione può generare una fissità della relazione, soprattutto nella logica adottata, causale, meccanica, sequenziale, imponendo a priori un contesto di non cambiamento: obiettivo che sempre invece dovrebbe caratterizzare ogni processo di insegnamento-apprendimento.
Mi aveva colpito questo proposito la pubblicità di un’associazione genitori bambini Down…" un bambino affetto da Sindrome di Down …come gli altri pensa, ama, si impegna, può raggiungere ottimi livelli di autonomia purché fin dai primi giorni di vita sia fatto oggetto da parte di tutti delle stesse attenzioni che si devono ad ogni bambino…".

Risorse importanti

A questa riflessione si collega un altro punto presente nella formazione alle abilità di counselling sistemico: il concetto di mappa e territorio.
Questi concetti che mi appassionano molto e li considero una grossa risorsa; sovente, quando mi rapporto con i bambini che presentano difficoltà, mi sorreggono e mi aiutano nel tentativo di produrre dei cambiamenti nelle relazioni e di conseguenza nell’operato. Allorché ci rapportiamo con una realtà, noi applichiamo i nostri schemi mentali, le nostre valutazioni, leggendo così una mappa" di quel territorio: una grossa risorsa per le relazioni è il non fermarsi ad una sola mappatura, ad una sola interpretazione, perché proprio dalle diverse mappature nascono diverse descrizioni del soggetto e quindi diverse possibilità.
Infine oltre a questa condotta non bisogna dimenticare l’enorme potere che possiede la parola. Noi sappiamo che la parola veicola concetti ma sovente, nelle logiche che sottendono le nostre relazioni, le parole diventano fondamento di realtà di ciò che si afferma; emerge quindi indispensabile la consapevolezza di queste possibilità dove massimo è lo sforzo per produrre un cambiamento.

Come comportarsi?

Intanto la qualità della relazione comporta apertura di visione, punti di vista diversi, tolleranza di obiettivi non prettamente contenutistici: lavorare sulla relazione è più faticoso, più "coinvolgente", necessita una buona dose di flessibilità e di retroazione.
Bisogna certo riconoscere l’oggettività di una diagnosi, ma l’apertura di cui io parlo va legata alla relazione che si instaura con quel soggetto e alla ricchezza di cambiamento che la qualità in quella relazione può condurre.
Il cambiamento non deve essere riferito ad una sola realtà che deve cambiare: la capacità, che diventa ricchezza, è quella di uscire da una logica meccanica e in apparenza semplice e pensare ad altri aspetti di quel problema che magari non abbiamo mai preso in considerazione. Proprio là si aprono delle possibilità che rendono possibile il cambiamento.

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