(14.11.2001)
Da anni lavoro in una scuola materna in cui mi occupo di bambini con disturbi di relazione e ho avuto occasione di interessarmi al caso di Francesca, una bambina con persistenti difficoltà di inserimento a distanza di tre quattro mesi dallinizio dellanno scolastico.
La descrizione della bambina a scuola
Il comportamento della bambina appariva il seguente:
Francesca e i suoi
famigliari parlavano di loro stessi attraverso alcuni segnali di facile interpretazione:
accuratezza nel modo di vestire, pulizia personale, capelli in ordine, ecc. Con questa
immagine sembravano voler comunicare il buon funzionamento del sistema famigliare.
Abbigliamento e cura del corpo si padroneggiano con facilità, sono segnali che
tutti leggono immediatamente e con i quali si può pensare di ottenere un feed-back
"sicuro scontato".
Questo è certamente vero se congruo con gli altri segnali verbali e non verbali;
in questo caso la bambina proponeva un "non comportamento" al fine di
mimetizzarsi, ma in una situazione di interazione tutto ha valore di messaggio e per
quanto si sforzasse, con il silenzio e limmobilità comunicava con lesterno. I
segnali comportamentali non erano conseguenti per cui il tentativo non sortiva
leffetto voluto e finiva anzi per creare un senso di fastidio complessivo.
Si percepiva "qualcosa che non andava".
Lelemento evidente, era che la definizione della relazione costituiva per la
bambina e per i famigliari laspetto prioritario.
Ulteriore conferma di quanto detto era rappresentato dal fatto, già ricordato, che
dopo alcuni minuti dallallontanamento dei parenti, Francesca si metteva in ordine i
vestiti in piena autonomia.
Altro aspetto degno di nota della relazione fra Francesca ed il famigliare di turno
era rappresentato dalla situazione competitiva che assumeva il loro comportamento in un
crescendi simmetrico molto evidente.
Le informazioni sulla famiglia
Al momento in cui sono stata coinvolta nella vicenda le informazioni in possesso della scuola erano le seguenti:
Il valore delle informazioni
Gli eventi, così
come raccontati dai nonni, erano organizzati in maniera tale da evidenziare una classica
situazione "stimolo-risposta": la mamma non poteva occuparsi della bambina e
allora loro rispondevano garantendo col necessario senso di responsabilità
lassistenza a Francesca.
Non si trattava di discutere se questa punteggiatura fosse buona o cattiva; è
evidente che però che essa organizzava gli eventi in un determinato modo ed era quindi
vitale per linterazione fra i nonni e la scuola alla quale chiedevano adesione.
E comunque, un punto di partenza deve pur esserci nella descrizione di un qualsiasi
evento: da qualche parte bisogna pur cominciare.
Allo stesso modo la scuola attribuiva valore e significato alle informazioni
ricevute e interpretate "ristrutturandole" sulla base delle proprie categorie al
fine di individuare la "causa" del comportamento di Francesca.
Il ragionamento era: siccome la mamma non è presente in modo significativo e
delega leducazione della figlia; siccome il padre ha perso la sua connotazione di
genitore tornando ad essere figlio; siccome i nonni segnalano insofferenza per la
situazione creatasi
allora Francesca soffre.
Se si accetta la descrizione causale si finisce con il rendere immutabile la
situazione, non si ricercano vie di uscita, si rinuncia al cambiamento perché si conosce
" chi è la causa del male , chi è il colpevole". In questo modo, avendo
individuato i "colpevoli" certi di "sapere tutto", gli insegnanti
richiedevano al padre e ai nonni un comportamento ritenuto più adeguato ai bisogni della
bambina: maggiore disponibilità, più dolcezza, più attenzione alle manifestazioni
emotive.
In questo modo non si faceva altro che ri-punteggiare gli eventi proponendo
unaltra "realtà oggettiva". I famigliari sfuggivano tale interpretazione
negandola e riproponevano la loro punteggiatura rinforzando in tal modo il punto di vista
della scuola in un circolo vizioso.
Le diverse "realtà" - quella dei nonni e della scuola - non sono realtà
in sé , non derivano da proprietà fondamentali on da fenomeni osservabili, ma sono
determinati dalle opinioni. La verità, come ha osservato Saint-Exupèry, non è ciò che
scopriamo ma ciò che creiamo. E dunque una cosa ben diversa dallipotesi
semplicistica ma abbastanza diffusa che esista una realtà oggettiva da qualche parte là
fuori: reale è ciò che un numero sufficientemente grande di persone ha convenuto di
definire reale.
Il cambiamento
Tornando al caso di
Francesca questi erano i motivi che impedivano il cambiamento.
Cambiamento che si è reso possibile solo nel momento in cui è stato svelato il
"segreto", in cui è venuta alla luce la regola sottesa ai loro comportamenti :
"Francesca non deve soffrire per le colpe dei genitori, cioè per la loro
separazione".
Questa era la "vergogna famigliare" che non era mai stata rivelata a
Francesca la quale perciò con il suo comportamento assente, assorbito nei suoi pensieri,
apatico "
esprimeva uno sconvolgimento profondo, che il bambino non ha parole
per esprimere. Il bambino deve sentirsi implicitamente autorizzato a parlare del problema
, grazie alle parole che i genitori gli avranno dato per parlare con le persone estranee
alla famiglia" (Francoise Dolto, citata da S. Quadrino in "Capire capirsi"
pag.210)
Il sistema familiare aveva adottato questo comportamento al fine di proteggere
Francesca e non farla soffrire per le difficoltà di coppia dei genitori, ma non è
possibile nascondere la realtà e il messaggio contraddittorio che la bambina riceveva la
poneva in una situazione di conflitto interno drammatici: credere a quanto si vede e si
percepisce rifiutando il segreto dei genitori e scontrandosi con essi oppure distorcere la
"realtà" ed aderire al mito della famiglia modello? Francesca aveva dovuto
accettare questa modalità, aumentando così la sua confusione e la sfiducia in se stessa
e sospendendo i rapporti con il modo esterno.