(21.06.2009)
Che palle 'sti
bambini
di Giuliano Corà
I bambini sono tra le creature più
fastidiose dell’Universo.
Cominciano già da piccoli a urlare, per avere una tetta o un biberon, invece di
muovere le gambine e andare a mangiarsi un King’s Burger, che è tanto sano e fa
tanto bene.
Quando poi crescono un po’, vengono presi da una stranissima mania, quella di
giocare. Ma naturalmente non si dedicano a giochi tranquilli, che non rompano a
nessuno. Per esempio un bel videogioco educativo. C’è solo l’imbarazzo della
scelta, ed hanno dei titoli simpaticissimi: ‘Sbudellation now’, oppure ‘Spara al
tuo negro’. Oppure l’ultimo grido dell’intrattenimento familiare: quella
manopole che si prendono in mano e poi ci si agita come decerebrati davanti al
monitor facendo finta di giocare a bowling o a tennis.
Tra parentesi, questi hanno anche il vantaggio che in questo modo la famiglia se
ne sta felice ed unita, e giocano anche papà e mamma, così magari, se stavano
per litigare, evitano di prendersi a bottigliate in testa, ché anche quelle
fanno rumore. No: questi vogliono ‘giocare’ nel senso più primitivo del termine:
far casino, alzare polvere, corrersi dietro urlando come selvaggi, cadere per
terra piangendo come maialini sgozzati. Intollerabili, è evidente. Menomale che
un giudice di pace di Stradella (PV) ha pensato bene di metterci rimedio, ed ha
emanato un’ordinanza nella quale proibisce ai bambini del locale asilo, quando
escono in cortile, appunto tutte quelle attività che loro con infantile malizia
definiscono ‘giochi’ ma che invece costituiscono ‘disturbo’ ai residenti del
condominio confinante: scapicollarsi sulle altalene, spingersi giù dagli scivoli
ridendo come deficienti ed altri passatempi ugualmente rumorosissimi. Il giudice
non ha fornito alle maestre, che posso immaginare allibite e trasecolate,
indicazioni sui metodi per ottenere dalle vitti.. – pardon: dai bambini – il
silenzio voluto, ma un po’ di creatività didattica le soccorrerà facilmente.
Intanto c’è il vecchio, caro nastro adesivo da imballaggi sulla bocca, e nei
casi più ostinati la mordacchia.
I peggiori si possono addirittura imbavagliare e legare ad improvvisati alberi
totemici, così gli altri possono giocare agli Indiani: naturalmente ululando per
finta.
A questo punto, varie considerazioni vengono alla mente. Primo. Mai, nella mia
vita, ho pensato che un giorno avrei potuto trovarmi d’accordo con Berlusconi,
ma quando, qualche mese fa, invocò la visita psichiatrica preventiva per entrare
in Magistratura, evidentemente non aveva tutti i torti. Secondo. Molte sono le
ragioni, oggi, per essere disgustati di vivere in Italia. Potremmo anzi dire che
è difficile trovarne qualcuna di valida per viverci. Ma che un magistrato, in
tutta serietà, possa pensare di regolamentare e irregimentare la voglia di
vivere dei bambini, ci precipita in una cupa angoscia. Nessuno intende fare
della banale retorica buonista sulla vivacità a volte eccessiva dei bambini, e
tutti noi sappiamo quanti polmoni abbiamo sputato per insegnar loro a
‘comportarsi bene’, anche negli spazi aperti. Tuttavia, tutti sanno anche –
dovrebbero, sapere – quanto a volte siano ‘giustamente’ incontrollabili la loro
vitalità e la loro allegria, perché espressione di un’adesione piena, spontanea,
non mediata, alla bellezza dell’esistenza. Tutti sanno – ma forse no: forse sono
pochi a saperlo, purtroppo – quanto quella loro vitalità sia terapeutica per gli
adulti che hanno la fortuna di incontrarla, e la voglia di farsi coinvolgere da
essa. Io so – parlo per me, a questo punto – che tante mattine mi capita di
arrivare a scuola ingrugnito, immusonito, arrabbiato con me stesso e col mondo:
come capita a tutti noi, insomma. Ma appena varco il portone, e vengo travolto
dal turbine di risate, gridolini demenziali, piccoli bolidi che ti investono
urlando ‘CIAOMAESTRO’, poco a poco mi sento letteralmente cadere di dosso ogni
tristezza. Entro in classe, sghignazziamo un altro po’ insieme – ‘deficiente’
tra i ‘deficienti’: fa bene, ogni tanto – e poi basta una parola sottovoce per
ottenere ‘magicamente’ quel silenzio che qualcuno pensa di stabilire con
l’imperio. Dopo di che si comincia ad imparare: leggere, scrivere e far di
conto. E anche l’educazione, sì. Ma mi creda, signor giudice: la strada non è
quella che ha imboccato Lei.