Direzione didattica di Pavone Canavese |
(13.12.2008)
E ora, che
fare ?
di Ennio De Marzo
L'altro giorno
due mie alunne americane, in Italia per uno scambio culturale, di fronte
alla circolare del dirigente scolastico riguardante lo sciopero del 12
dicembre mi hanno chiesto, in un italiano stentato: “ma in Italia gli
insegnanti sono sempre in sciopero?”.
Non è stato facile rispondergli che, storicamente, il corpo docente è al
contrario uno dei meno attivi su questo fronte, come dimostrano i salari, lo
status giuridico e il prestigio di cui gode nella società italiana. Ma
quest'anno è diverso – ho comunque voluto aggiungere in un inglese
approssimativo e con un pizzico di orgoglio: "in ballo c'è la vita
dell'istruzione pubblica".
E così il 12 dicembre in classe non c'era nessuno: né io, che ho scioperato,
né gli alunni e le alunne italiane, che un po' sono rimasti a casa un po'
sono andati in manifestazione, né, per solidarietà, quelle americane. E ora?
Il 12 dicembre rappresenta il culmine di una mobilitazione iniziata questa
estate, quando l'opinione pubblica, complice un sistema mass mediatico
completamente asservito al potere, si spellava le mani di fronte agli
slogan governativi sul “grembiulino e cinque in condotta”. Allora nessuno
avrebbe potuto immaginare che solo pochi mesi più tardi le piazze si
sarebbero riempite di docenti, studenti, universitari e genitori,
costringendo i sindacati a intraprendere forme di lotta più efficaci e i
media ad entrare più nel merito della questione. E quanti, di fronte ai
primi scioperi e all'estendersi delle lotte, potevano sperare in qualche,
seppur parziale, dietrofront del Ministero dell'Istruzione (anche se non è
nel Dna di questo governo ammettere i propri errori né le proprie debolezze
o divisioni interne)? In pochi mesi il movimento è stato in grado di sfidare
l'aperta ostilità di gran parte dei media e di un governo incapace di
comprendere che – come scrive lo studioso americano Jerome Seymour Bruner –
“nessuna riforma dell'educazione può decollare senza la partecipazione
attiva e onesta degli insegnanti, disponibili e pronti ad aiutare e a
condividere, a offrire conforto e supporto [...] perché sono loro, in ultima
analisi, gli artefici del cambiamento” (Jerome Saymour Bruner, “La
cultura dell'educazione”, Campioni del Sapere / Feltrinelli, 1996)
Ma ora?
Lo sciopero è arma sicuramente efficace, ma non è la sola. Sono state
infatti le più disparate forme di mobilitazione – dai presidi alle lezioni
in piazza, passando per gli appelli a parlamentari nostrani e stranieri, il
boicottaggio di tutte le attività non previste dal contratto, le
contestazioni ai ministri nelle loro apparizioni pubbliche eccetera – a
costringere l'opinione pubblica a riflettere su quanto sta accadendo intorno
all'istruzione pubblica nel nostro paese. Se lo sciopero generale del 12
dicembre rappresenta dunque il culmine di questa stagione, occorre
prepararne una nuova. Ma come?
Nel 1960 migliaia di lavoratori protagonisti di una nuova e intensa stagione
di lotte dopo un decennio di sconfitte e repressione, decisero di ritrovarsi
in Piazza Duomo, a Milano, per festeggiare il Natale insieme ai loro
concittadini. Non si trattava solamente di informarli circa le ragioni di
una tale iniziativa, ma di coinvolgerli nella progettazione di una fabbrica
differente, di un lavoro più a misura d'uomo. In molti, allora, capirono che
il problema era più generale e che la qualità del lavoro non poteva non
passare attraverso quella della vita più in generale, coinvolgendo gli
orari, la casa, i trasporti, la sanità, la pensione e via dicendo. Otto anni
dopo, tutti questi nodi verranno uno dopo l'altro al pettine. D'altro canto,
il compito di un movimento dovrebbe essere proprio quello di non limitarsi
alla critica negativa dell'esistente, ma di proporre anche alternative
credibili, un futuro diverso. Questo non significa affatto che l'opposizione
ai nefasti provvedimenti governativi sulla scuola debba fermarsi. E
tuttavia, se non si coinvolge la società tutta nella costruzione di un
modello di istruzione che sia in grado di rispondere alle difficili sfide
della modernità, allora si commetterà lo stesso errore di coloro che ci
governano: ritenere cioè di avere capacità, competenze e forza per fare
tutto da soli, con la logica conseguenza che la maggioranza continuerà a
credere alle semplificazioni e agli slogan, perché di questi elementi si
nutre quotidianamente. La scuola pubblica – e proprio nel momento in cui è
sotto attacco – ha un compito che va ben oltre la difesa di se stessa: deve
farsi promotrice di cambiamento. E visto che non si tratta di una
istituzione privata, non può fare a meno del contributo dei cittadini.
Insieme, dunque, si dovrà procedere alla creazione di un nuovo sistema di
convivenza civile, di pari opportunità per tutti, smascherando slogan e
semplificazioni per quelli che sono: un progetto volto a fare del nostro
paese un grande bazar, un “non-luogo” in cui l'unica identità spendibile è
solamente quella del consumatore.