(16.10.01)
La globalizzazione prima del 11/11/2001
Mentre la guerra, il terrorismo, la paura mediati dalle ITC occupano i nostri sensi e buona parte dei nostri cervelli, troviamo utile continuare a raccogliere dati e riflettere sul processo di globalizzazione quale si è andato configurando prima dell11/11.
Sia perché:
Bin Laden e la sua guerra santa non sono altro che il rovesciamento
(drammatico, delirante, delittuoso) della logica della globalizzazione, delle
multinazionali, del neoimperialismo.
Invece di essere conquistati dalla globalizzazione delle multinazionali occidentali
rischiamo di essere globalizzati dalla parte integralista e fanatica delle multinazionali
(miliardarie) del terrore islamico.
Bella prospettiva. Ma cosa cè dietro e perché tanti poveri del terzo mondo
abbracciano questa guerra santa?
E solo un fenomeno culturale e religioso? Come ci siamo arrivati?
Quando e se avremo sconfitto il terrorismo, dovremo comunque ripartire di qui.
Sulla migrazione.
Fenomeno evidente e caldo del processo di g. è la migrazione del
lavoro verso i paesi poveri e dei poveri verso i paesi ricchi in cerca di lavoro e di un
sistema di vita più elevato.
Si parla di 120 milioni di migranti nel mondo.
Anche la migrazione ha una storia. Dalla tratta degli schiavi (15 milioni), alla
migrazione di 30 milioni di lavoratori a contratto dallAfrica alle Americhe, dopo
labolizione della schiavitù (qualcosa di simile alle proposte in discussione nel
nostro parlamento). Alla urbanizzazione della rivoluzione industriale, alle ondate
migratorie di fine 800 dallEuropa alle Americhe, a quella successiva alla seconda
guerra mondiale verso il nord Europa o le aree più sviluppate (nord->sud,
est->ovest, campagna->città). Si dice spesso che siamo (in Italia) un popolo di
migranti diventato in fretta un paese di immigrazione, non solo grazie al bisogno di
braccia, ma anche grazie al forte calo della popolazione dovuta alla contrazione delle
nascite (la più forte in Europa) ed alle nuove necessità legate allinvecchiamento
della popolazione (chi sta assistendo i nostri vecchi?).
Non solo una macroeconomia (multinazionali) che esportano lavoro, ma anche bisogno di
lavoratori nellassistenza, nei servizi (specie alla persona o nelle tecnologie),
lavoro stagionale (80.000) e nella piccola e media industria. Vedi decreto sui flussi
2001che prevedeva 2000 infermieri, altrettanti tecnici informatici, 15.000, diventati poi
21.000 stagionali per il turismo e lagricoltura. Chi raccoglie i nostri pomodori?.
In cambio dellassistenza ai nostri anziani a casa e nei servizi pubblici (continuano
a mancare 5.000 infermieri e moltissimi assistenti domiciliari e colf e li stiamo
importando col contagocce coi vari decreti sui flussi dai paesi extracomunitari), e dei
contributi versati da lavoratori extracomunitari per pagare le nostre pensioni, le ICT ci
permetterebbero di contraccambiare con informazioni mediche e scientifiche e telemedicina
per affrontare i gravissimi problemi dei paesi poveri. Con il problema però dei brevetti
(e dei guadagni) e delle tecnologie che le multinazionali non vogliono mollare.
Il problema di quelli che Zoletto chiama gli e-migranti è quello
del dentro - fuori, le frontiere, la società, la cultura, l'economia. Con proposte di
tenerli dentro l'economia, perchè ne abbiamo bisogno e fuori da tutto il resto. Vedi la
nuova legge in discussione, che prevede non solo permessi della durata del contratto di
lavoro, ma anche "foresterie" intorno alla fabbriche per confinare i lavoratori
e meno ricongiungimenti famigliari.
Non ci interessano persone, famiglie, ma braccia.
Rimandiamo anche a fronte delle deliranti e inapplicabili
proposte della nuova legge sullimmigrazione, ad un manifesto della convivenza
possibile, lanciato da un gruppo significativo di intellettuali e riportato in Telema 23
alla pag www.fub.it/telema
Sulla via del sottosviluppo.
Nel 1970 il 20% più ricco della popolazione possedeva 30 volte il
reddito del 20% più povero.
Nel 77 i 3 uomini più ricchi del mondo possedevano un reddito 74 volte più grande del
prodotto totale dei 48 paesi più poveri. Se il mercato è globale e mondiale occorrerebbe
un governo o quanto meno regole planetarie per determinare:
Anche se solo ½ della popolazione mondiale ha sinora fatto una telefonata.
Chi possa costruire queste regole e questo governo è ciò per cui
ci si stava confrontando.
Rappresentatività, democrazia, equità restano i problemi nodali.
Rete e sottoviluppo. La rete non è fonte di equità.
Luso delle ICT sta aumentando velocemente anche nei paesi
"in via di sviluppo" (+ 93% in una anno, di 15 volte nello sperduto Buthan), ma
non si stanno creando le condizioni per quel modello di sviluppo basato sulle tecnologie
auspicato da K. Annan allONU.
Anche perché i paesi poveri stanno entrando nella rete in ordine sparso e senza una
strategia. Se la speranza era quella che i paesi in via di sviluppo, con le ICT entrassero
direttamente nella New Economy, saltando la rivoluzione industriale, gli Africani stanno
perdendo questa opportunità. Gli africani che hanno laccesso alla rete sono solo lo
0,4% del mondo, per il 70% concentrati in Sudafrica.
Daltra parte tutta lAfrica orientale (250 milioni di abitanti) ha la metà dei
collegamenti di Buenos Aires che ha 6 milioni di abitanti e lintero continente ha
meno linee telefoniche (14 milioni) di Manhattan; l80% di queste linee concentrate
in soli 6 paesi. Difficile credere che il continente, da solo, possa superare il cronico
gap tecnologico.
Daltra parte anche negli USA la differenza di connessioni fra città e campagna è
notevole.
Inoltre la rete non sta colmando, ma aumentando le diseguaglianze fra paesi sviluppati e
non.
Col 20% di popolazione i nostri paesi hanno l80% delle ricchezze e l87% delle
connessioni.
La stessa disparità si riscontra nella offerta. L80% del traffico fra il miliardo e
mezzo di pagine in rete (dati 1999) è concentrato su 15.000 siti quasi tutti ideati e
prodotti nel primo mondo.
Qualcuno sostiene (Rodriguez, Wilson ) che oggi i poveri hanno più bisogno di penicillina
che di Pentium.
Chi muore di fame, sete, malattie non riesce a entusiasmarsi alle parole di Negroponte e
Gates (anche perché è analfabeta). Non mancano solo la corrente, le linee telefoniche e
i soldi, ma anche la cultura e la educazione per partecipare attivamente allera
della informazione che rischia di creare in quei paesi più alienazione e infelicità che
risorse.
Vedi larticolo su Espresso sulle conseguenze delle ICT nei costumi sessuali dei
paesi in via di sviluppo (n. 33/2001 pag. 80)
Dallaltro lato altri sostengono (Castell) che il Pentium sia lultima
possibilità per i paesi poveri, che devono essere aiutati a sviluppare le tecnologie
attraverso una sorta di Piano Marshall. Si pongono ancora i problemi della qualità della
partecipazione: egualitaria? Ma cosa ci guadagnerebbero i paesi ricchi? Rispettosa della
poliformità delle culture?
Ma cosa ci guadagnerebbero le poche multinazionali e quanti pensano sempre di portare la
civiltà agli altri?
Aspetti linguistici.
Poiché il villaggio globale (come la rete su cui si regge) è fatto
di persone e non di macchine o fili il problema diventa: quanta capacità (voglia,
interesse) abbiano le persone di rappresentare idee, metafore, valori da condividere con
altri.
Il vantaggio legato alle ICT è anche, dal punto di vista linguistico, che, usando canali
percettivo- motori, saltano i problemi dei linguaggi simbolici- ricostruttivi, (anche se,
al momento attuale è ancora più facile avere a disposizione un libro che un PC).
Windows 2000 è uguale per tutti e ci metterebbe in grado di dialogare meglio...
Si rifà comunque viva una situazione comunicativa-lavorativa da bottega, scomparsa con
l'invenzione della stampa e insita nel modo di lavorare connettivo, collaborativo delle
ICT; si sta globalizzando anche la parola, nel senso di una nuova koinè. Una specie di
inglese per il momento (cultura dominante e lingua usata dal 51% in rete), presto un
linguaggio più moderno e universale. Il linguaggio comune crea comunque intelligenza
collettiva, pensiero, cultura.
I pensatori più critici, come De Kerkcove, sostengono che, se abbiamo studiato la storia
non possiamo cadere in nuove forme di dittature delle coscienze, in una coscienza
collettiva (cervello globale), mentre dovremmo puntare a coscienze connettive,
consapevoli.
L'arte col suo linguaggio metaforico universale può essere, per lui, un ponte fra ICT e
psicologia e può salvare la nostra identità, scongiurare il cervello globale e la
collettivizzazione delle coscienze.
Aspetti psicologici.
Un altro rischio è che il concetto di individuo possa lasciare
nella rete delle ICT in cui sono interconnessi gli uomini, il posto a quello di
interfaccia.
Dal punto di vista psicologico si è insieme, più vicini e più lontani (Carotenuto),
perchè la g. è un modus vivendi che influenza la nostra vita, le nostre abitudini, il
modo di percepirci come individui e come membri di una comunità.
Il mondo è più piccolo (più vicino) ma non unificato e da questo deriva la paura (che
si fa avversione, senso di minaccia e quindi lotta) verso il diverso.
L'omologazione dio - mercato porta o a questo o alla competizione spietata.
Il rischio è quello, già citato, di perdere la propria identità personale.
La strada della accettazione, del pluralismo culturale presuppone una sorta di
socializzazione al plurale.
Più che in un villaggio globale viviamo in villaggio virtuale, molto appiattito sul
modello USA e che solo i più colti possono percepire ed i più potenti indirizzare. Si
modificano, in questo contesto, i concetti di spazio, tempo, rischio, responsabilità che
sinora ci hanno aiutato a crescere e ad essere responsabili verso gli altri.
A proposito di responsabilità, ritorna di attualità la storiella del mandarino cinese
che potremmo uccidere solo col pensiero, senza vederlo e senza portarne la
responsabilità.
Quanto africani muoiono per una decisione sfavorevole dei G 8?
Quanti occidentali possono morire per una mail o una videocassetta dei terroristi
miliardari?
Sinora la persona ha definito la sua personalità in base alle sue
esperienze, fra cui hanno molta importanza la rete di esperienze e relazioni con ciò che
intorno a noi ci è più vicino. Oggi però "vicino" è un concetto molto
diverso e le esperienze e le relazioni che possiamo sperimentare saltano lo spazio ed
il tempo, il concetto di locale.
Per alcuni la frammentazione è maggiore della globalizzazione, il nostro io, non più
unitario da tempo, rischia di diventare frammentario o in crisi (uno, centomila, ma anche
nessuno, ).
La regionalizzazione può corrispondere allora ad una reazione di difesa dovuta
all'istinto di conservazione della identità. Possiamo essere vicini tanto da poter
comunicare sensazioni ed emozioni, senza fisicità e compresenza fisica. Possiamo essere
lontani perché si rompono gli schemi di identificazione. Andiamo verso un io
"funzionale", ma rischiamo di smarrire la progettualità personale.
Un individuo ha bisogno di vivere nel passato (le sue radici), nel presente (la sua
quotidianità) e nel futuro (la sua progettualità), ha bisogno di famigliari, amici,
persone da amare fisicamente e mentalmente.
Sulle prospettive i preoccupati (come Carotenuto) e i positivi (come Turkle) divergono
sostanzialmente.
Conclusioni provvisorie.
Torneremo per cercare di tirare alcune conclusioni aggiornate.
Per ora limitiamoci a constatare che qualcuno (la multinazionale miliardaria del terrore
islamico) ha studiato molto bene i meccanismi della globalizzazione ed il ruolo delle ITC
e le sta usando, contro di noi, per la sua guerra "santa". Non più "libro
e moschetto", ma ITC, Corano e terrore.
Bibliografia.
1- Lapprofondimento dei dati su rete e sottosviluppo in http://www.fub.it/telema/TELEMA21/Greco21.html
2- Il tema della globalizzazione è stato trattato
in Telema www.fub.it/telema 20, ma anche 21/22 e 23.
Sul n. 26 una serie di pareri sul terrorismo.
3- Lappello degli intellettuali per una convivenza possibile in Telema 23.