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I dibattiti di PavoneRisorse

(05.08.2012)                                                                                                                                                                                                                                              
 

Marylin: perché il mito non muore
di Ugo Cardinale
 

«Per la Monroe si sprecano le iperboli ma non ha mai influenzato nessuno».
L'occhiello di un articolo di  Renato Tortarolo sul Secolo XIX del 3 agosto 2012, dal titolo Ma quale diva? Non è la Garbo , sembra voler liquidare con questa critica stroncatoria quel mito di Marylin, che da cinquant'anni sembra resistere al tempo e di nuovo rivivere nel cinquantenario della sua morte.

Manipolazione dei persuasori occulti dell'industria holliwoodiana, oggetto consumistico del mercato di prodotti lussuosi e popolari sfruttato dall'abile Anna Strasberg ( seconda moglie del suo erede principale, Lee Strasberg) o idolo inattaccabile del nostro tempo?
Il successo delle aste dei suoi cimeli, delle mostre fotografiche, come quella di Bert Stern The last sitting, (fino al 4 novembre 2012 al Forte di Bard), della produzione letteraria, come Fragments  (Les écrits intimes de Marylin Monroe, Seuil,2010), che, secondo l'editore, avrebbero venduto 100.000 esemplari in Francia, e altrettanti in Germania, nel Regno Unito e in Usa, non si può spiegare solo con la forza del mercato.
C'è qualcosa nel personaggio di Norma Jeane, in arte Marylin Monroe, che esercita un particolare fascino, non solo tra gli uomini, ma anche tra le donne, che non la sentono come antagonista, come è stato per Brigitte  Bardot, e anche tra i bambini che amano il suo candore innocente. Ed è significativo che lo scrittore Truman Capote avesse detto di lei :«credo che tu sia una bellissima bambina». In Marylin era rimasta una componente infantile che ne ha fatto un sex-symbol  unico e irripetibile, il simbolo di una sessualità eterea, ma non algida, come quella della divina Greta Garbo.

Nella Divina, come dice Roland Barthes [1] nel saggio Il viso della Garbo «bisognava che l'essenza non si degradasse, che il suo viso non venisse mai ad avere una realtà diversa da quella della sua perfezione intellettuale più ancora che plastica», perché« il viso della Garbo rappresenta quel momento fragile in cui il cinema sta per estrarre una bellezza esistenziale da una bellezza essenziale» (p.64).«La Garbo offriva una specie di idea platonica della creatura, e ciò appunto spiega come il suo viso sia quasi sempre asessuato, senza per questo essere equivoco.»(ibid.p.63). Quello della Garbo, come alcuni anni prima quello di Rodolfo Valentino,«partecipa ancora del medesimo regno di amore cortese in cui la carne sviluppa mistici sentimenti di perdizione»(ibid.p.68).

Nel mito di Marylin , invece, si condensano tutti i miti del nostro tempo: bellezza, seduzione, sesso, desiderio e angoscia, solitudine e paura, e soprattutto l'infanzia. Come ha affermato lo psicanalista Michael Balint: « se è vero che il destino dell'uomo è di rimanere bambino e di chiedere incessantemente amore, quello di Marylin fu di essere umana, troppo umana». Non una ragazza-copertina senza cervello,  se è vera l'immagine della prefazione ai Fragments di Antonio Tabucchi che parla di lei come di una «Gioconda» contemporanea, precisando che «all'interno di questo corpo viveva l'anima di un'intellettuale e poeta di cui nessuno aveva il sospetto».Ma neppure l'idea platonica della bellezza, anche se il biondo-oro dei suoi capelli, che ricorda il mito petrarchesco di Laura, le conferiva l'aspetto della dea, di una donna non di questa terra («venuta a miracol mostrare»), che sembrava volare sopra i mali del mondo come candela al vento, con il sorriso smagliante, la voce carezzevole e sensuale, la leggerezza del sogno, per ricordare agli uomini il regno degli dei perduto.

Nel processo di mitopoiesi secondo Barthes,«c'è dunque il significante, il significato e il segno, che è il totale associato dei due termini, chiamato significazione» (ibid.p.195).«Il mito deforma; non è né una menzogna, né una confessione: è un'inflessione»(ibid.p.210).«Il mito non nega le cose, anzi la sua funzione è di parlarne; semplicemente le fa innocenti, le istituisce come natura e come eternità»(ibid.p.223).«Il mito trasforma la storia in natura» (ibid.p.210). Il mito trasforma la parola, l'immagine, la pittura, un oggetto in un concetto, conferendogli non più un valore contingente, storico, ma eterno, naturale. Il mito di Marylin resiste al tempo perché condensa nella sua icona gli archetipi della natura umana nella sua dimensione fragile e caduca.«è  così fragile e sottile che solo l'obiettivo può coglierla.  è  come il volo di un colibrì: solo una cinepresa può fissarne la poesia». Così osservava la sua maestra di recitazione Constance Collier. Ma soprattutto aveva qualcosa di naif e genuino, come ha riconosciuto anche Shirley McLaine, che continua a raffigurare per sempre la luminosa magia del bambino innocente e vitale che è in tutti noi. E il desiderio d'amore di Eros e Cupido


 

[1] Miti d'oggi,Torino, Einaudi 1974

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