Direzione didattica di Pavone Canavese

(05.09.01)

Niente sarà più come prima.
Ma prima come era ?

di Rodolfo Marchisio

 

Anche se le cose stanno cambiando molto in fretta ed in modo forse poco reversibile, conviene continuare a riflettere su cosa ci ha portato sin qui, per capire la storia e quindi il presente, piuttosto che esercitarsi a predire il futuro prossimo.
Un fenomeno che da Sheattle, a Genova, alle recenti tragedie in atto è sotto il mirino dei media è quello della cosiddetta globalizzazione.
Sicuramente questa è stata l’estate della globalizzazione. Questo sarà l’anno in cui la globalizzazione avrà prodotto frutti tragici e solo parzialmente reversibili.
Proviamo a raccogliere dati e idee.

I concetti hanno sempre una storia che in parte li spiega.

Intanto non è un fenomeno nuovo. Dalla conquista dell’impero romano, al colonialismo (le compagnie delle Indie) e neocolonialismo, alle strategie mondiali del capitalismo che hanno portato a metà dell’800 a proporre una internazionale dei lavoratori, per opporsi allo strapotere internazionale del capitale, con le sue storie di sfruttamento, dominio delle colture (monoculture) e delle culture, omologazione dei consumi (chi ricorda la lotta di Gandhi contro il monopolio dei tessuti dell’impero inglese?).
La differenza sarebbe (Antinucci) che mentre sinora si sviluppavano tecnologie del corpo (energia, forza lavoro) ora si stanno sviluppando tecnologie della mente (dalla stampa alla rete). Con nuovi problemi linguistici di ordine tecnico (imparare lingue nuove) e culturale, perché alle lingue sono legati valori diversi (la lingua rappresenta la storia di un popolo). Ed una sorprendente accelerazione tecnica e comunicativa: dal 95 ad oggi gli utenti della rete sono passati da 15 a 350 milioni.
Con un uso che da culturale sta diventando prevalentemente commerciale: oggi solo più il 15% del traffico è di piccoli utenti.
Ciò che oggi viene messo in discussione comprende l’ulteriore, più potente espandersi delle potenze economiche del mondo occidentale (più il Giappone, e più avanti la Russia e la Cina) e, al loro seguito, dei governi delle stesse potenze.
La storia del movimento Antiglobal nasce proprio dalla lotta ad accordi che favoriscano un iniquo sviluppo delle strategie delle multinazionali da parte dei governi che le supportano (vedi articolo precedente).
La grande novità di cui oggi si tratta è il veloce e potente impulso dato a queste tendenze dalle ICT e da quella economia immateriale chiamata New Economy.

I temi di cui si discute.

Il cosiddetto villaggio globale, metafora tecnopastorale di matrice USA, che rappresenta opportunità di comunicazione, relazione, sviluppo, ma anche tutta una serie di conseguenze negative.

Il ruolo della rete e delle tecnologie nello sviluppo di queste novità, di una nuova economia, con nuove opportunità, nuovi squilibri e nuovi pericoli.

Il ruolo potente delle lobby, quelle che una volta erano le multinazionali, i cartelli, i trust.

Il parallelo sviluppo accanto alla tendenza alla mondializzazione di produzione, commercio, consumo, omogeneità di colture e culture, di forti tendenze alla regionalizzazione se non alla tribalizzazione (da fenomeni come la Lega o il rinascente nazionalismo, alle guerre con origini razziali e/o religiose, alla riscoperta del "come eravamo"). Come reazione spesso al timore di perdere, nella omogeneità del villaggio globale e nella possibilità di relazione con tutto il mondo, il senso della propria identità e le relazioni più strette che ci aiutano a identificarci.

Il fenomeno di omologazione ai modelli dominanti (in genere occidentali e del Nord del mondo). Dai fast food, alla Coca cola, all’uso dei media, compresa la recente abolizione (a livello UE) dei vari tipi di miele (acacia, castagno), verso un miele unico uguale per tutti ed indistinto. Ma la differenza non era ricchezza?

L’impressione che dopo il crollo delle ideologie oltre al muro (anni 90) l’unica ideologia sulla piazza (del villaggio globale) sia rimasta quella neoliberale o meglio neoliberista, per cui il mercato (con le sue leggi che non hanno mai funzionato e che non sono mai state applicate da quegli stessi liberali che le propagandavano: chi ha inventato i monopoli, i cartelli, i trust e poi le multinazionali, per evitare la concorrenza; la pubblicità per forzare i consumi oltre i bisogni?) sarebbe oggi non solo il paradigma unico, ma l’ultima chance di risolvere tutti i nostri problemi.

Con la paradossale constatazione (cfr Savona su Telema n. 20 www.fub.it/telema ) che proprio quando la credibilità delle teorie del materialismo storico e del marxismo è ai minimi storici, l’ipotesi su cui si basa, che la sovrastruttura dei rapporti politici, sociali, culturali sia determinata in "ultima analisi" dalla struttura dei rapporti economici. (K. Marx) trova la sua più eclatante, ennesima conferma.

Il fenomeno connesso delle migrazioni e del rimescolarsi dei popoli (dal sud alla ricerca di lavoro, come sempre).

E quindi la necessità di affrontare con le leggi (in genere restrittive) o con la preparazione ad una non facile esperienza interculturale, il problema della convivenza col diverso, con tutte le paure, tensioni, problemi che suscita in noi.

Lo sfruttamento del lavoro sia sotto forma di moderno "lavoro a domicilio" (ma non c’era già prima della Rivoluzione industriale?) che sotto forma di sfruttamento del lavoro minorile (vedi sopra), di trasferimento del lavoro, di lavoro immateriale, via rete.

La trasformazione della economia e del commercio da produzione di oggetti a produzione di dati, la cosiddetta New Economy; almeno per alcuni settori e per alcuni paesi, visto che convivono almeno 3 o 4 livelli di sviluppo diversi (dai post industriali ai preindustriali) nel mondo.


La globalizzazione sarebbe quindi un fenomeno molto complesso, cui il movimento antiglobal tendeva a dare in genere risposte di rifiuto o settoriali come abbiamo detto nel precedente articolo sul ruolo delle tecnologie nel movimento.


La posta in gioco.

In questo gioco tra tecnica, mercato e politica la posta in gioco sarebbe la esclusione dal controllo delle informazioni e delle ICT che oggi significa anche esclusione dal controllo delle decisioni e della economia. La creazione di strati o popoli analfabeti (in tutti i sensi), esclusi, sfruttati, marginali.
In una sorta di nuova applicazione del darwinismo sociale, che nella storia accompagna spesso e anche con euforia, i momenti di forte sviluppo della scienza e della tecnica (vedi fine 800 primi del 900 fino allo scoppio della "grande guerra"). Anche oggi sopravviverebbero solo i più flessibili (altra parola d’ordine), i più reattivi al cambiamento.
Anche se per alcuni la velocità e complessità crescente dei fenomeni in atto tenderebbero a diminuire proprio questa risorsa dell’uomo, la flessibilità e la capacità di adattarsi ai cambiamenti.
Sarebbe la ineludibile (?), feroce legge del mercato (come della natura o meglio della giungla).
Un altro aspetto critico è quanto questo complesso processo produrrà omologazione culturale, sociale, politica e quanto invece si assisterà a scoppi di sentimenti xenofobi, contrapposizioni tribali e guerre sociali e religiose.
Come ci insegna la storia che stiamo vivendo.
Il vecchio sessantottino R. Debray sostiene che "gli oggetti si globalizzano, i soggetti si tribalizzano".
Altri hanno proposto il termine di "glocalizzazione", come contrazione concettuale fra globalizzazione e localizzazione, che andrebbero di pari passo.

Reazioni e nodi problematici.

Le reazioni sinora si sono articolate in momenti di rifiuto, diffidenza verso un modello di pensiero e di economia dominante, ecologismo radicale, antagonismo talora romantico, solidarismo, comunitarismo, ma anche terrorismo.

Posto anche che:

i governi dei paesi sviluppati sono il frutto di incerte democrazie, seppur conquistate e difese con secoli di lotte e morti: quanto è rappresentativo del popolo USA il Presidente eletto dal 25-40% della popolazione che vorrebbe rappresentare e che dall'inizio del 900 pensa di rappresentare il mondo occidentale e di essere il gendarme della democrazia nel mondo e quanto sono rappresentativi quei sistemi che si basano sulla scorciatoia di un rozzo sistema elettorale maggioritario?

i governi dei paesi "in via di sottosviluppo" talora chiamati a dialogare, non nascono da ordinamenti democratici, ma sono le èlite dominanti, talora di origine locale, talora legate alle varie forme di colonialismo, chiamate ad incontrarsi con le nostre èlite dominanti.

I poveri di cui si parla (oltre al crescente numero dei poveri dei paesi ricchi, dove la classe media tende pericolosamente a scomparire e in cui i poveri tendono ad aumentare) quelli dei paesi sottosviluppati, non sono presenti, se non come minoranza di immigrati occidentalizzati, in questo scenario, perché non hanno le possibilità culturali, sociali, spesso neanche i diritti politici e comunque non hanno quella finestra sulla piazza del villaggio che è la rete e le ICT.

Oppure si dividono fra lo sfruttamento, la schiavitù nei loro paesi ed il terrorismo.

Di fronte a questo mercato divenuto ideologia unica (sopravvissuta), che continua a non funzionare e a non essere democratica, il tormentone di questi decenni in Europa, nei governi, nei politici e nelle associazioni che si ponevano il problema è stato come conciliare mercato e giustizia sociale, equità. Nella consapevolezza che nessuno governa veramente il complesso processo in atto, che l’opposizione non è organizzata, che in ultima analisi alcune grandi potenze (economiche) hanno la forza di indirizzare il sistema e che tutto nasce, agisce, dentro, attraverso e grazie ai media planetari che è vitale controllare.
La politica che da molti è chiamata a governare non sa se la globalizzazione sia governabile, sicuramente non la ritiene arrestabile e spesso la asseconda. Poiché non la capisce la definisce complessa.
Torneremo sull’argomento.

Una lettura di approfondimento è il saggio di De Masi su Telema n. 23 all’URL sopra riportato.

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