(03.08.2012)
Province e
scuola, due vasi di coccio
di Umberto D'Ottavio (*)
Il decreto
95 del 2012 della spending rewiew è passato con il voto di fiducia al Senato e
altrettanto farà tra qualche giorno alla Camera. Quella che doveva essere una
revisione della spesa si è tramutata in una nuova manovra di tagli a cui “non si
poteva dire di no”.
A farne le spese, nel senso vero della parola, sono state, più di altre parti
della pubblica amministrazione, le Province e la Scuola.
Sulle
Province l’attenzione è stata richiamata dal tentativo di abolirle, poi
diventato una riorganizzazione con accorpamenti fra quelle esistenti (non sarà
possibile frazionare le attuali). Così come l’incomprensibile proposta sulle
competenze, che vedeva l’esclusione dell’edilizia scolastica, poi rientrata.
Quindi resta delle Province la competenza sugli edifici di scuola secondaria di
secondo grado.
Non si è scritto e parlato dell’istruzione perché le Province potranno
mantenere, visto che continueranno ad esistere, le competenze assegnate loro
dalle Regioni, per esempio sull’organizzazione dell’offerta formativa o sul
diritto allo studio.
Quasi inosservato è, invece, passato il taglio di altri 500 milioni di euro per
il 2012 e 1000 per il 2013 dei trasferimenti dello Stato. Un colpo gravissimo,
direi letale per le Province. Infatti, si sono levate voci, subito e in maniera
ingiustificata stroncate dal ministro Profumo, sulle difficoltà che avranno le
Province a riaprire le scuole a settembre. Questa volta non solo per i motivi
legati alla manutenzione e alla sicurezza, ma per l’impossibilità di pagare le
bollette del riscaldamento e delle altre utenze.
Sia chiaro: non è uno scherzo o una esagerazione. Il combinato disposto tra la
riduzione dei trasferimenti e il contemporaneo crollo delle entrate per le
Province derivanti dalle tasse sull’auto (Iscrizione al PRA, RC auto) ha
portato, per esempio la Provincia di Torino dal 6 luglio scorso a chiudere
completamente le spese.
Province e scuola, con altri 15 mila posti di lavoro in meno, sono stati i vasi di coccio della pubblica amministrazione, dalle quali si è potuto prelevare risorse senza disturbare l’opinione pubblica, anzi.
Una revisione della spesa avrebbe dovuto fare l’operazione della riduzione delle Province, voluta anche dall’Unione delle Province Italiane, e rafforzare le loro competenze, rilanciando l’attuazione del titolo V° della Costituzione. Per esempio riducendo davvero gli uffici periferici dello Stato e in particolare quelli scolastici. Davvero non si capisce perché con le competenze della Regione debbano esistere ancora le direzioni regionali e provinciali del MIUR.
Penso che questo Governo stia dando prova di una cultura centralistica e le difficoltà economiche e finanziarie sono il viatico. Ma proprio sull’istruzione è ampiamente dimostrato che la gestione centralistica del sistema costa di più e non produce risultati positivi, per esempio sugli obiettivi di Lisbona. Se a questo aggiungiamo che le Regioni hanno esaurito la loro spinta all’assunzione di competenze, perché significa assumere nuove responsabilità senza risorse in più, possiamo dire che il processo di federalismo stia subendo un duro colpo.
Ormai non manca molto alla fine di questa legislatura che, ricordiamolo, era nata con una maggioranza senza precedenti e una spinta federalista che sembrava irreversibile. Chi si occupa di scuola deve trovare la forza di riportare all’attenzione delle forze politiche e di chi si candida al governo del Paese il ruolo della scuola e della sua funzione di pre-condizione per qualunque idea di crescita e di sviluppo. Sapendo che non basta essere professori per capirlo.
(*) Assessore all'Istruzione della Provincia di Torino