(22.11.2000)
"L'INTERCULTURA
DALLA FASE PREPARADIGMATICA AL PARADIGMA.
L'ORIZZONTE INTERCULTURALE DELL'EDUCAZIONE
NELL'ERA DELL'ACCESSO.
RUOLO E FUNZIONI DELLA COMMISSIONE NAZIONALE"
Il 14-15 novembre 2000 si è tenuto, a Roma, un seminario della Commissione Nazionale Educazione Interculturale con all'ordine del giorno la riflessione su ruolo, funzioni e metodo di lavoro della commissione stessa.
Nel presente numero della rubrica educazione interculturale pubblichiamo l'intervento di Gabriella Papponi Morelli e Aluisi Tosolini che hanno proposto all'attenzione della Commissione una intervento che può risultare utile ai lettori di Pavonerisorse quale momento di riflessione sull'attuale momento e sulle prospettive dell'educazione interculturale in Italia
1.
Il perché del nostro intervento
2. Il tempo nel quale viviamo
3. Leducazione interculturale in Italia
4. Ruolo e funzioni della commissione nazionale
5. Concludere per iniziare
1. Il perché del nostro intervento
Iniziamo dalla fine. Dal ruolo della Commissione Nazionale e dai motivi
profondi di questi due giorni nei quali ci interroghiamo su quale sia il significato del
nostro essere stati, del nostro essere e del nostro divenire.
Una prima riflessione: la Commissione Nazionale è presieduta da un Sottosegretario di
Stato. Può voler dire qualche cosa? Sicuramente si. Il Sottosegretario di Stato ha
compiti di governo il che non vuol dire solamente governare lesistente ma capire,
prefigurare e governare i processi di cambiamento.
Per capire, prefigurare, governare i processi di cambiamento nellambito per ora
denominato "Educazione interculturale", occorre a nostro parere, ri-definire la
questione, leggerne i significati più profondi, interpretare le linee di tendenza,
prefigurare gli scenari nei quali si collocano le concrete azioni di governo. Questo è il
senso del nostro ragionare.
Sono passati ormai 10 anni, era il luglio 1990, dallentrata in uso, nel lessico del
Ministero Pubblica istruzione e del mondo della scuola, della definizione "educazione
interculturale".
Riteniamo che riflettere su ruolo e funzioni attuali della commissione nazionale implichi
necessariamente fare i conti con la storia di questi 10 anni, e ciò non solo dal punto di
vista pedagogico ma anche, e soprattutto, dal punto di vista dei processi sociali che
caratterizzano il nostro tempo.
Abbiamo, nel titolo, definito due fasi delleducazione interculturale:
I termini non sono assunti casualmente ma da un lato rimandano allepistemologia ed al concetto di paradigma di Thomas Kuhn (La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), dallaltro alle riflessioni dellermeneutica (H.G. Gadamer, Verità e metodo, 1960) oltre che al dibattito attualissimo su globalizzazione, global governance, cittadinanza, diritti nellera dellaccesso.
A nostro parere la società italiana, e quindi anche la scuola ed il
dibattito dellopinione pubblica, è a metà del guado ma in presenza di fortissime
spinte che stanno cercando di ridefinire leducazione interculturale secondo una
logica pre-paradigmatica. E qui si deve collocare - a nostro parere - la riflessione -
innanzitutto politico-culturale e poi pedagogica - sul ruolo e la funzione della
commissione.
Si tratta di ragionare di Paideia, come "fondamento indispensabile di ogni progetto
formativo e di ogni educazione veramente degna di questo nome" (E. Agazzi, Paideia,
verità, educazione, 1999). Paideia come "quadro globale di intelleggibilità del
mondo, una prospettiva condivisa sulla realtà e sul tempo e contemporaneamente una idea
di uomo da formare e di come formarlo" (A: Nanni, Una nuova paideia. Prospettiva
educative per il XXI secolo, 2000). Si tratta di una opzione, di una scelta, che in
primo luogo è politica e culturale.
Il presente intervento nasce così da due diversi versanti:
Non si può pensare di ragionare attorno alleducazione interculturale senza collocarsi precisamente entro i grandi scenari della società planetaria.
Globalizzazione è parola abusata, ma da questo processo non si può prescindere. Esso sta ridefinendo non solo la nuova frontiera delleconomia ma anche
Ed al processo di globalizzazione vanno accostati altri grandi processi che interrogano la società attuale (e che in realtà possono essere visti come sfaccettature della stessa globalizzazione):
Qui, dentro questo scenario, si colloca il dibattito
sulleducazione interculturale.
Le sfide che abbiamo di fronte possono essere sintetizzate
Prendendo a prestito qualche idea da Morin (Terra-Patria, 1994) e da Gardner (Formae mentis,1991) possiamo asserire che ognuno di noi deve oggi imparare a giocare - attraversare una pluralità di identità che qui solo citiamo e che ognuno di noi ben conosce
Queste identità non solo non si elidono ma si completano a vicenda e si connettono tutte con la tematica interculturale che viene a costituire la paidea delle società plurali, ovvero "lideale che ispira la formazione e, in quanto ideale, esprime una vasta dimensione di dover essere, radicata a sua volta in una serie di concezioni riguardanti ciò che luomo, la storia, il mondo, sono autenticamente" (E. Agazzi, 1999). Come scrive Edgar Morin
Tutti conosciamo la storia delleducazione interculturale in Italia. Alcune date e documenti ne hanno segnato le tappe
Analizzando il percorso delleducazione interculturale in Italia possiamo così identificare le seguenti fasi:
4. Ruolo e funzioni della commissione nazionale
Siamo alla conclusione del nostro percorso. Possiamo provare a
rispondere alla domanda di fondo che sta alla base di questo nostro incontrarci come
Commissione Nazionale.
Il compito della commissione è, a nostro parere, operare affinché si passi dalla
dimensione preparadigmatica a quella del paradigma e dellorizzonte.
Occorre dirlo con chiarezza: questa commissione, nominata e voluta dai ministri della
pubblica istruzione di questo paese, ha necessariamente valenze politiche e culturali che
esuberano il puro ambito dei sistemi di istruzione e formazione. Tra i suoi compiti vi è
certamente quello di segnalare che intercultura è termine che si coniuga in primo luogo
con i mutamenti della società che abbiano descritto e che sono riassumibili con il
termine di globalizzazione e successivamente con la dimensione
dellistruzione/formazione.
Si coniuga prima con le trasformazioni di una politica senza luogo che si
de-territorializza e ri-territorializza continuamente con effetti di spaesamento,
spiazzamento, dislocazione continui (Dal Lago, Aut Aut, 298/2000). Prima con i
mutamenti antropologici connessi al mutamento planetario, alla società
dellincertezza (Z. Bauman, 1998) che genera "la solitudine del cittadino
globale" (Z. Bauman, 1999). Prima con leconomia e la rivoluzione della new
economy. Prima con i processi di meticciamento a livello globale. Prima con il nodo del
diritto planetario, della global governance. E poi - o meglio, proprio a causa di
tutti questi "prima" - con i processi formativi.
Per essere più espliciti usiamo una affermazione di Jeremy Rifkin:
"La dialettica tra forze delleconomia globale e interessi delle culture locali implica una nuova politica. Nellera industriale le ideologie politiche spaziavano da destra a sinistra e, in massima parte si preoccupavano di questioni attinenti la proprietà. Nellera dellaccesso, la dialettica destra/sinistra è progressivamente oscurata da una nuova dinamica sociale che, nellarena politica, oppone il valore intrinseco al valore-utilità. Solo trasformando la cultura in una forza politica coesa e consapevole di sé sarà possibile ristabilire il suo ruolo critico nella strutturazione della società. I movimenti più importanti del ventunesimo secolo saranno quello per la conservazione della diversità biologica e quello per la salvaguardia delle differenze culturali. Lera dellaccesso costringerà ciascuno di noi a porsi delle domande fondamentali su come rimodellare le relazioni fra gli esseri umani. La questione non si riduce a chi può accedere, ma anche al tipo di esperienze e di mondi cui vale la pena accedere. La risposta a queste domande determinerà, nel ventunesimo secolo, la natura della società che creeremo per noi e per le generazioni a venire" (J. Rifkin, 2000)
Certo, molti dei temi qui citati esulano direttamente dalle nostre possibilità di intervento. Ma essi devono definire il punto di vista (lorizzonte) da cui guardare alle problematiche interculturali entro il sistema istruzione/formazione. Per essere brutali: un conto è ad esempio guardare alle problematiche legate allinsegnamento dellitaliano come Lingua2 a partire dallorizzonte interculturale sin qui delineato, un altro è farlo a prescindere da esso. Nel primo caso si ha a che fare con questioni di cittadinanza, di interazione policulturale, di costruzione di una dimensione diversa dellagorà. Nel secondo caso ci si può anche ridurre alla logica ristretta dellassimilazionismo che non riconosce né differenza né alterità se non in chiave funzionale. In fin dei conti - e ci si scusi la crudezza - anche agli schiavi è utile insegnare la lingua dei padroni...
Lo stesso vale per il cosiddetto tema dellaccoglienza. Accogliere chi? Accogliere dove? quando la società non ha luogo? Quando la politica è deterritorializzata? Quando leconomia è delocalizzata? Ha ancora senso parlare di accoglienza se nel contempo non ci si rende conto che la propria casa è scossa dalle fondamenta e necessita di una radicale ridefinizione?
L'alternativa è un balzo all'indietro e il ritorno ad una fase pre - preparadigmatica.
Solo a partire dallintercultura come paradigma e orizzonte delle società globali possiamo ridisegnare anche il senso delleducazione interculturale per quel che concerne i sistemi di istruzione e formazione. Ed a questo livello assumiamo come significativi quelli che altrove sono stati chiamati i 13 nodi o ambiti delleducazione interculturale i quali a loro volta si prestano ad essere riletti sia in chiave paradigmatica che preparadigmatica.
Il ruolo della commissione diviene allora interno/esterno al MPI.
Interno per ciò che concerne le politiche dell'educazione ed esterno per ciò che
concerne gli altri comparti della vita sociale e della cultura, con contatti da tenere in
prima persona con altri organismi (bioetica, riforma dei cicli, pari opportunità ecc..) e
con la presenza - competente e decisa - entro il dibattito che su questi temi attraversa
con forza unopinione pubblica spaesata, spesso impaurita e tentata di rispondere
alle sfide epocali con linutile chiusura entro fragili confini di fortezze in
decadenza.
Come cittadini, intellettuali, esperti di processi formativi, abbiamo il compito di
ricordare che la ragione ultima di quella crisi di "sicurezza" che sembra
attanagliare il nostro mondo che si ritiene sviluppato sta nella mancanza di immaginazione
politica diversa, di nuovi modelli di convivenza e di solidarietà (non nel senso vicario
dellassistenza umanitaria, dellelemosina sociale, ma della responsabilità
comune).
Al riguardo ci piace concludere con le parole con cui Alessandro Dal Lago chiude la
presentazione del numero di Aut-Aut dedicato a "La politica senza luogo":
"La dislocazione, lo spiazzamento o lo spaesamento sfidano la nostra ragione perché
ci costringono a pensare chi siamo noi in questa nuova dimensione del potere. Ci
costringono a pensare la nostra corresponsabilità, i mille fili che ci legano a un potere
senza luoghi, a ridefinirci senza sosta, a collocarci. (...) Le nuove appartenenze sono
ripugnanti (soprattutto quando evocano sotto le spoglie del locale, mitologie ctonie o
organiche), i concetti di diaspora o moltitudine sono suggestivi ma non ancora dotati di
concretezza. Ma in questa incertezza si manifesta la sfida: perché in fondo non si
tratta che di un conflitto tra stupidità globale e sopravvivenza"
Gabriella Papponi Morelli
Aluisi Tosolini