Direzione didattica di Pavone Canavese

Educazione interculturale: interventi, documenti e materiali

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(25.04.2004) 

MA COSA DICIAMO QUANDO PARLIAMO DI TERRORISMO ?

Negli ultimi anni, a partire dal terribile 11 settembre 2001, la parola terrorismo è divenuta uno dei descrittori più utilizzati per narrare il proprio tempo di paura ed angoscia.
Da alcuni mesi è poi divampata la polemica sulla cosiddetta "resistenza" irachena: è terrorismo tout court oppure è legittimo definire "resistenza" il fatto che alcuni si oppongano ad una occupazione della propria terra?
Insomma, un guazzabuglio di questioni, dibattiti, conflitti, prese di posizione che hanno direttamente a che fare con un tema centrale dell’educazione interculturale, ovvero l’immagine dell’altro. O meglio: la costruzione dell’immagine dell’altro. E la costruzione di sé a partire da questa immagine: opera questa in cui si è dimostrata molto abile Oriana Fallaci con i suoi ultimi due volumi grondanti luoghi comuni, molta forza e assai poca ragione.

Ho così pensato di fare cosa utile andando alla ricerca in rete del significato della parola terrorismo. Quasi un esempio di decostruzione alla Derrida (che tra l’altro ha dedicato proprio allo studio delle ragioni del più forte il suo ultimo libro intitolato "Stati canaglia" – Cortina editore, 2004).

Una ricerca di cui riporto tutti i riferimenti e link così che chiunque, anche per motivi didattici, possa ripercorrere il sentiero che ho iniziato.

 1. Uno sguardo generale: il dossier delle ACLI

I giovani delle ACLI hanno pubblicato un utilissimo dossier introduttivo sul terrorismo. Un testo semplice con bibliografia, filmografia, piste di approfondimento, ecc…il tutto con un linguaggio estremamente chiaro, semplice e preciso. Il dossier scaricabile al sito: http://www.giovanidelleacli.org/dossier/Dossier_terrorismo.pdf

2. Definizione di terrorismo

Mettiamo il cuore in pace: non esiste una condivisa definizione internazionale di terrorismo. Esistono alcuni (oltre 10) trattati internazionali che cercano di fare ordine ma, già il fatto di essere in numero così elevato rende di difficile precisazione il concetto di terrorismo. Anche perché spesso ciò che per uno è terrorismo non lo è per altri. Un solo esempio per capirci: il governo israeliano non considera terrorismo la pratica degli omicidi mirati e selettivi ma considererebbe certamente terrorismo una attentato da parte dei palestinesi ad un proprio leader politico o militare.

3. Alcune legislazioni sul terrorismo

Chi vuole capirci qualche cosa deve così inoltrarsi in un complesso reticolo di analisi e studi.
Personalmente ho ricavato molte informazioni da un saggio di Girolamo Tessuto (La nozione di "terrorismo" nella legislazione internazionale: analisi comparativa dei testi europei e inglesi) reperibile sul sito del SISDE (Servizio perle informazioni e la sicurezza democratica, uno dei servizi segreti italiani): http://www.sisde.it/sito/Rivista24.nsf/ServNavig/9

Tessuto fa riferimento al Terrorism act, legge inglese entrata in vigore all’inizio del 2001.

Un commento sulla legge si può trovare sempre al sito del SISDE:
http://www.sisde.it/sito/Rivista18.nsf/ServNavig/14#(0x)

Invece il testo integrale della legge britannica è consultabile – ovviamente in inglese - sul sito Internet www.hmso.gov.uk/acts/acts2000/20000021.htm.

In Italia esiste invece dal 2001 un decreto legge (18 ottobre 2001, n. 374 Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale – in Gazzetta Ufficiale n. 244 del 19-10-2001 ) dedicato espressamente al terrorismo internazionale. Leggiamone alcuni passi:

Art. 1. Associazioni con finalita' di terrorismo internazionale

1. Dopo l'articolo 270-bis del codice penale sono inseriti i seguenti: "Art. 270-ter (Associazioni con finalita' di terrorismo internazionale).

1. Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige, finanzia anche indirettamente associazioni che si propongono il compimento all'estero, o comunque ai danni di uno Stato estero, di un'istituzione o di un organismo internazionale, di atti di violenza su persone o cose, con finalita' di terrorismo, e' punito con la reclusione da sette a quindici anni.

2. Chiunque partecipa alle associazioni indicate nel comma 1 e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Art. 270-quater (Assistenza agli associati).

1. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, da' rifugio o fornisce ospitalita', mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli articoli 270, 270-bis e 270-ter, e' punito con la reclusione fino a quattro anni.

2. La pena e' aumentata se l'ospitalita', i mezzi di trasporto,gli strumenti di comunicazione sono prestati continuativamente.

3. Non e' punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto.".

2. All'articolo 1, primo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, dopo le parole: "aggressivi chimici" sono inserite le seguenti: "biologici, radioattivi".

3. All'articolo 270-bis, primo comma, del codice penale, dopo la parola: "organizza" sono inserite le seguenti: "finanzia anche indirettamente".

4. All'articolo 270-bis del codice penale, il secondo comma e' sostituito dal seguente: "Chiunque partecipa a tali associazioni e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni".

Un interessante commento (a cura di Luca Bauccio) al decreto legge sul reato di terrorismo internazionale come introdotto dal Decreto-Legge 18 ottobre 2001: è reperibile al sito http://www.diritto.it/articoli/penale/bauccio1.html

A livello internazionale segnalo tre interessanti studi:

a) il primo a cura di Marchisio tratta il tema delle Nazioni unite e la lotta al terrorismo (http://www.unionedirittiumani.it/numeri/2_3_2001/marchisio.htm )

b) il secondo, di Luigi Bonanate (Il terrorismo internazionale. Delocalizzazione dei conflitti e fattori di rischio per la società civile) sostiene che "Una volta precisati alcuni elementi minimi - che l'azione terroristica sia prevalentemente compiuta da gruppi organizzati, clandestini, che utilizzano la violenza non tanto per raggiungere un obbiettivo quanto per mostrare la propria capacità di colpirne anche di più importanti, comunque scelti all'interno della sfera della vita politica - dovremo rassegnarci ad ammettere l'impossibilità di giungere a una sola e condivisa definizione del terrorismo: centinaia e centinaia ne sono state proposte, senza che nessuna riuscisse a superare le critiche o le obbiezioni incrociate dei vari autori. Il fatto è che - specie nella società contemporanea - i modelli culturali di identificazione del terrorismo appaiono talmente automatici che il problema principale sembra non tanto quello della delimitazione delle fattispecie delle azioni terroristiche quanto quello della loro spiegazione"
http://www.fondazionesancarlo.it/fsc/attivita_maschera.online?id=4

c) il terzo, ripreso dal sito dei carabinieri www.carabinieri.it/editoria/carabiniere/2002/novembre/02attualita/attualita_art_02.html sostiene, argomentando a partire dalla stipula nel 1977 della convenzione europea di Strasburgo contro il terrorismo, quanto segue:

Tra i reati terroristici, la Convenzione di Strasburgo indicava il rapimento, la cattura di ostaggi o il sequestro arbitrario di qualunque altro soggetto. Quindi considerava come atto terroristico il reato compiuto con l’uso di bombe, granate, razzi, armi automatiche o plichi contenenti esplosivo. Alla fine si decise di non considerare esaustiva questa elencazione di "strumenti", poiché alcuni giuristi fecero presente che col tempo quelle armi avrebbero potuto cambiare. Cosa che gli attentati dell’11 settembre, compiuti con aerei di linea dirottati con dei semplici taglierini, hanno tragicamente dimostrato. La forza della Convenzione, sulla quale si basa ogni azione giuridica e di repressione attuale, è la struttura secondo la quale nessuno Stato deve avere la possibilità di utilizzare la nozione del reato politico come pretesto per non estradare i terroristi; l’estradizione può essere negata solo in pochi casi, previsti tassativamente, fermo restando per lo Stato di origine del soggetto di giudicarlo obbligatoriamente di fronte ai propri tribunali.

Per la questione più delicata della definizione di reato politico, i giuristi si sono orientati non sulla base dell’atto compiuto dal terrorista, ma in funzione del soggetto contro il quale l’atto è stato diretto. Distinguendo quindi tra l’atto compiuto contro uno Stato totalitario, che non garantisce l’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo, dall’atto terroristico, che si rivolge a danno di uno Stato democratico, delle sue strutture, dei suoi uomini.
C’è però una norma di discrezionalità, che prevede che uno Stato possa rifiutare l’estradizione per reati di terrorismo, quando reputi l’atto ugualmente di natura politica. Quindi da un lato si sostiene che un Paese non può mai rifiutare l’estradizione di cittadini che hanno compiuto azioni terroristiche non classificabili come reati politici, dall’altro gli si consente di riservarsi il diritto di violare questa norma discrezionalmente. Una contraddizione che influisce non poco nella lotta ad un tipo di terrorismo che è diventato sempre più transnazionale.

4. Lotta al terrorismo e vita democratica

Nulla, ovviamente, è semplice. Così occorre prestare molta attenzione al fatto che spesso sotto il termine "lotta al terrorismo" non si celi il rischio di incidere in maniera significativa sulla vita democratica e sui diritti intangibili ad essa connessa.

Al riguardo, ad esempio, si è espressa con molta chiarezza Amnesty International che, studiando il caso Tunisia, ha benmesso in evidenza come in questo caso la lotta al terrorismo coincida spesso con una ulteriore compressione dei diritti e della democrazia.
www.amnesty.it/campaign/diritti_in_europa/documenti/tunisia.php3

Altro esempio piuttosto interessante riguarda la cosiddetta "sospensione del diritto" a causa della eccezionalità del momento. E’ il caso di Guantanamo dove nella Base Delta sono trattenuti senza assistenza legale e nemmeno il diritto ad un processo i talebani accusati di essere terroristi internazionali.

Ma la cosa non riguarda solo paesi lontani. Torna infatti di moda l’equazione "meno libertà più sicurezza" su cui si fonda per Freud (Il disagio della civiltà) la società moderna e che invece, secondo Bauman, diventa, nella società globale e post moderna "più libertà meno sicurezza"

Ida Dominjanni (http://www.archiviostampa.it/art.asp?art_id=2263) scrive ad esempio che

Dopo l'approvazione della Carta europea dei diritti, la Commissione europea, sulla base di una raccomandazione del parlamento di Strasburgo, ha incaricato un gruppo indipendenti di sedici esperti di monitorare lo stato dei diritti fondamentali in Europa alla luce dei principi sanciti appunto dalla Carta. Di recente questo gruppo ha consegnato il suo primo rapporto (quasi 300 pagine), che consiste in un'analisi dettagliata delle iniziative assunte dalla Ue e dai singoli stati membri nel corso del 2002, ed esprime una serie di motivate perplessità sulle iniziative legislative in materia di lotta al terrorismo nate dopo l'11 settembre. Più in dettaglio le perplessità sono cinque.

Primo, la definizione del reato di "terrorismo" nella decisione-quadro varata dall'Unione il 13 giugno del 2002: definizione a giudizio degli esperti troppo vaga, o almeno non tanto precisa quanto dovrebbe essere per giustificare il ricorso a metodi di indagine che possono comportare interferenze pesanti nella vita privata dei cittadini, come le intercettazioni ambientali e l'uso di strumenti di sorveglianza occulta.

Secondo, i criteri di applicazione del mandato di arresto europeo, anch'essi giudicati dagli esperti troppo ampi e potenzialmente in grado di comprimere diritti fondamentali.

Terzo, la cooperazione degli stati Ue con gli Stati uniti in materia di trasmissione di dati personali, cooperazione che formalmente sarebbe impedita dall'assenza negli Usa di un'autorità indipendente con poteri di controllo sull'uso che dei dati viene fatto dai servizi di intelligence.

Quarto, la definizione di profili di "potenziali terroristi" sulla base di informazioni che riguardano la cittadinanza, l'istruzione, il luogo di nascita, le caratteristiche psico-sociologiche, definizione incompatibile con la direttiva europea 95/46.

Quinto e ultimo, le misure "urgenti" adottate dagli stati Ue dopo l'11 settembre, giudicate dagli esperti non rispettose del criterio di proporzionalità fra i rischi che intendono scongiurare e le restrizioni delle libertà personali che comportano, restrizioni che dovrebbero essere limitate allo stretto necessario, temporanee e specifiche, mentre non sempre lo sono.

Comunque sia, chi volesse leggere il rapporto presentato dal Governo Italiano ai sensi del paragrafo 6 della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite 1373 (2001), ove si illustra quanto il Governo italiano ha fatto per dare puntuale applicazione alle decisioni adottate sul piano internazionale per la lotta al terrorismo, con un'azione sia di adeguamento normativo interno, sia di attuazione a livello operativo può visitare il sito http://www.esteri.it/mae2000/archivi/arch_eventi/schede/15/rappit.htm

5. La convenzione araba per la repressione del terrorismo

Da ultimo credo sia utile una lettura della convenzione adottata dal Consiglio dei Ministri degli Interni Arabi e dal Consiglio dei Ministri della Giustizia Arabi (Il Cairo, Aprile 1998)
Il testo completo è reperibile al sito http://dex1.tsd.unifi.it/juragentium/it/index.htm?surveys/islam/cairo98.htm

Riportiamo qui alcuni passi del preambolo e degli articoli 1 e 2

Preambolo

Gli Stati Arabi firmatari di questo documento,

Auspicando di promuovere la reciproca cooperazione per la repressione delle attività terroristiche, che attentano alla sicurezza e stabilità della Nazione Araba e danneggiano i suoi interessi vitali,

Essendo vincolati ai più alti principi morali e religiosi e, in particolare, ai dogmi della Shari'a Islamica, così come al patrimonio umanitario della Nazione Araba che respinge ogni forma di violenza e terrorismo ed auspica la protezione dei diritti umani, precetti ai quali i principi della legislazione internazionale si conformano, essendo essi basati sulla cooperazione tra i popoli per la promozione della pace,

Essendo per di più vincolati al Patto della Lega degli Stati Arabi, alla Carta delle Nazioni Unite ed a tutte le altre convenzioni internazionali e strumenti di cui gli Stati Contraenti tale Convenzione sono parte,

Affermando il diritto dei popoli di combattere l'occupazione straniera e l'aggressione in qualsiasi modo avvenga, compreso combattimenti armati, al fine di liberare i propri territori ed assicurare il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza e fare ciò in modo da preservare l'integrità territoriale di ciascuna nazione Araba, in accordo con i principi e scopi della carta delle Nazioni Unite e con le risoluzioni dell'Organizzazione.

Hanno concordato di sottoscrivere questa convenzione e di invitare tutti gli Stati Arabi che non partecipano alle conclusioni di questo dibattito ad aderire.

Parte prima
Definizioni e provvedimenti generali

Articolo 1

Ciascuno dei seguenti termini dovrà essere inteso alla luce della definizione data;

1. Stati Contraenti

Tutti gli stati membri della Lega Araba che hanno ratificato questa Convenzione e che hanno depositato l'atto di ratifica presso il Segretariato Generale della Lega.

2. Terrorismo

Qualsiasi atto o minaccia di violenza, qualunque sia la motivazione o lo scopo, che si verifica nella progressione criminale di un individuo o gruppo e che tenta di diffondere panico fra le persone, che causa timore arrecando loro danni, o che pone in pericolo le loro vite, libertà o sicurezza, o che cerca di causare danni all'ambiente o ad installazioni o proprietà pubbliche o private o di occuparle o sequestrarle, o che tenta di mettere in pericolo le risorse nazionali.

3. Reati terroristici

Qualsiasi reato o tentativo di reato commesso a favore di un obbiettivo terroristico in uno qualsiasi degli Stati contraenti, o contro i loro cittadini, interessi o proprietà, che sia punibile dalla legge del paese di origine. I reati ratificati nelle seguenti convenzioni, eccetto quando tali convenzioni non sono state ratificate dagli Stati Contraenti o quando i reati sono stati esclusi dalla loro legislazione, dovranno essere considerati atti di terrorismo:

  1. La Convenzione di Tokyo sui reati e Certe Altre Azioni Commesse sugli Aerei, del 14 Settembre 1963;
  2. La Convenzione dell'Aia per la Repressione dei Dirottamenti Aerei, del 16 Dicembre 1970;
  3. La Convenzione di Montreal per la Repressione degli Atti Illeciti contro la Sicurezza dell'Aviazione Civile, del 23 Settembre 1971, e il relativo Protocollo del 10 Maggio 1984;
  4. La Convenzione per la Prevenzione e Punizione dei Crimini commessi contro le Persone Protette Internazionalmente, compresi gli Agenti Diplomatici, del 14 Dicembre 1973;
  5. La Convenzione Internazionale contro la Cattura di Ostaggi, del 17 Dicembre 1979;
  6. I provvedimenti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare, del 1982, riguardante la pirateria in alto mare.

Articolo 2

    1. Tutti i casi di lotta con qualsiasi mezzo, compresa la lotta armata, contro un'occupazione straniera e aggressioni per la liberazione e l'autodeterminazione, in accordo con i principi della legislazione internazionale, non dovranno essere considerati come reati. Quest'articolo non si applica a nessuna azione che violi l'integrità territoriale di qualsiasi Stato Arabo.
    2. Nessuno dei reati terroristici indicati nel precedente articolo sarà considerato reato politico. In applicazione di questa Convenzione, nessuno dei seguenti reati potrà essere considerato reato politico, anche se commesso per motivi politici:
        1. Attacchi ai Re, Capi di Stato o governanti degli Stati contraenti o alle loro spose e famiglie;
        2. Attacchi ai principi della corona, vice presidenti, primi ministri o ministri di tutti gli Stati Contraenti;
        3. Attacchi a persone che godono dell'immunità diplomatica, compresi ambasciatori e diplomatici che operano o sono accreditati presso gli Stati Contraenti;
        4. Omicidi premeditati o furti accompagnati dall'uso della forza diretti contro persone singole, autorità o mezzi di trasporto e comunicazione;
        5. Atti di sabotaggio e distruzione di proprietà pubblica o proprietà assegnate al servizio pubblico, anche se di proprietà di un altro Stato Contraente;
        6. La costruzione, l'illecito commercio o il possesso di armi, munizioni o esplosivi, o altri articoli che possano essere usati per commettere reati terroristici.

6. Filosofia del terrore

La filosofa italiana (ma insegna a New York) Giovanna Borradori ha pubblicato nel luglio del 2003 un interessantissimo saggio intitolato Filosofia del terrore (Laterza editore). Il volume si snoda attorno a due ampie e dettagliate interviste a Jurgen Habermas e Jacques Derrida. Un testo di assoluto interesse. Difficile ma cruciale. Non è qui possibile riassumerne la complessità. Basti solo dire che il nodo della questione è identificato da entrambi nella globalizzazione multiculturale e nelle problematiche ad essa connesse.

Così, se da un lato si assume, con Derrida, che sostanzialmente il terrorismo è fondamentalmente indistinguibile dalla guerra, sull’altro versante colpisce lo logica ferrea con cui Habermas spiega di trovare insensata la decisione di dichiarare guerra al terrorismo perché ciò gli conferisce una legittimazione politica.

E ancora come non riflettere sul fatto che secondo Habermas la globalizzazione ha accelerato la reazione di difesa che accompagna la paura di quello che può essere definito "sradicamento violento da forme di vita tradizionali"? E come non intraprendere l’autoesame rigoroso e senza remore a cui invita ancora Habermas quando sostiene che "se il messaggio normativo che esportano le democrazie liberali rimane quello del consumismo, il fondamentalismo rimarrà incontestato"?

Insomma…. questioni tutte che hanno a che fare, ancora una volta, con il nodo della cittadinanza globale in una società multiculturale.

Una questione interculturale. E quindi di educazione.

      Aluisi Tosolini

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