(19.09.2005)
Alunni non italiani
a scuola
.
.e se cambiassimo prospettiva?
In questi giorni molti quotidiani hanno rilanciato le anticipazioni dellannuale
rapporto del MIUR sugli alunni con cittadinanza non italiana che frequentano le scuole
italiane.
Le proiezioni degli anni precedenti risultano confermate al rialzo: si parla infatti di
420.000 studenti stranieri, il 4,2 della popolazione scolastica. In 20 province, collocate
soprattutto sulla dorsale appenninica e della pianura padana, la percentuale di presenze
si colloca tra il 7%, ed il 10,9%.
La regione con la percentuale più alta è lEmilia Romagna (8,4%) mentre
lincidenza più alta a livello provinciale tocca a Milano con l11,6%.
Il 40% degli alunni frequenta le scuole primarie, il che significa che la crescita, nei
prossimi anni, sarà costante e che il processo migratorio in Italia ha assunto connotati
di stabilità e sta strutturando una nuova compagine sociale in cui le famiglie immigrate
comprano casa ed investono su un futuro in Italia
Dove sta, allora, la novità?
I dati sono presentati dalla stampa e dai media con un certo stupore misto a meraviglia
che merita una qualche riflessione più approfondita.
Occorre infatti chiedersi che senso abbia stupirsi ed anche, onestamente, se non è giunto
il momento di superare nei fatti una visione che continua ad operare secondo la logica
"noi-loro".
Occorre, in sostanza, passare davvero a quella che alcuni studiosi ed esperti di
formazione (penso in particolare ad Antonio Nanni ed a quanti si ritrovano
nellesperienza della rivista CEM Mondialità, la prima, storica, rivista di educazione interculturale in Italia) hanno
chiamato la fase due delleducazione interculturale.
Educazione interculturale: la fase due
La fase, cioè, in cui, come da anni sosteniamo su PavoneRisorse, leducazione
interculturale diventa la normalità delleducazione nelle società globali e
multiculturali.
Occorre uscire dalla logica italiani/stranieri perché questa logica continua ad
ingabbiare i processi formativi entro una falsa pista che distingue tra scuola
"normale" e "scuola con alunni non italiani".
Il che non significa, ovviamente, che non si debba più parlare di accoglienza, di
italiano come L2, di mediatori culturali. Ma tutto questo non basta. Non bastava ieri e
basta ancor meno oggi in città sempre più complesse e multiculturali.
Non può bastare, ad esempio, per la scuola di Prato dove, secondo stradario, a quanto
dichiarato dallassessore competente, si è venuta a formare una classe costituita
tutta da studenti "stranieri". Che fare in questo caso? Nulla. Far scuola, far
educazione, non cè altro da fare. Ma far scuola a Prato oggi significa qualcosa
daltro rispetto a 30 anni fa.
Questa è la realtà. Né brutta né bella: solo la realtà cui ogni scuola è chiamata a
rispondere con la propria progettualità.
Una progettualità a cui forse è necessario cambiare prospettiva assumendo la dimensione
della pluralità e della differenza come dato di partenza e non come elemento
straordinario che genera turbative da ricondurre allordine.
Concentrarsi sulla logica "noi-loro", italiani stranieri (ma
stranieri
rispetto a chi, se riferito a bambini di 6 anni nati e cresciuti in Italia da genitori
immigrati magari 10 anni fa?), cittadini comunitari ed extracomunitari, rischia di
ridurre tutto il nodo delleducazione interculturale alla dimensione della conoscenza
più o meno folklorica di culture altre oppure al nodo della mediazione linguistica.
In realtà oggi ci troviamo di fronte allurgenza di operare per la costruzione di
una nuova cultura in cui ognuno e tutti (italiani e non) possano sentirsi a casa. Una
cultura plurale in cui ognuno possa nel contempo integrarsi e differenziarsi, sentirsi a
casa ma anche veder rispettata la dimensione irriducibile della propria identità ed
esperienza di persona.
Questa è la scommessa. Che non si vince, occorre pur dirlo con onestà, con un aumento
dei pur necessari mediatori, quanto piuttosto con la capacità della scuola di cambiare se
stessa, le proprie prassi, i propri modi di funzionamento e di organizzazione, la propria
concezione di cultura e di saperi.
In sostanza una scommessa che si può vincere se e solo se la scuola torna ad assumere
quel ruolo di intellettuale sociale di cui si sente ogni giorno di più la
mancanza.
Aluisi Tosolini