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Educazione interculturale: interventi, documenti e materiali

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(02.09.2012)

Il pellegrino Carlo Maria Martini
« Ciascuno di noi ha in sè un credente e un non credente, che si interrogano a vicenda »


Moltissimo si è scritto in questi due giorni e moltissimo si scriverà ancora per ricordare il Card. Martini.
La sua figura di intellettuale, studioso, pastore, uomo di fede è talmente ricca e poliedrica da non permettere facili semplificazioni.

La cattedra dei non credenti

All’interno del suo ricchissimo caleidoscopio un elemento chiave è stato l’approccio con l’alterità e la differenza. Approccio che si concretizzò ad esempio nell’istituzione della Cattedra dei non Credenti,una serie di incontri a tema ai quali il cardinale invitò esponenti sia dichiaratamente credenti che non credenti.  Lo scopo fu quello di dare voce, su varie tematiche, a chi non si definisce "credente", al fine di confrontarsi con il "credente" e con le ragioni della sua fede a partire da temi concretissimi e di grandissima attualità come si può vedere analizzando anche solo il titolo delle dodici sessioni che si tennero quasi ogni anno dal 1987 al 2002.

Il titolo stesso, nella sua ambiguità, è affascinante. Cattedra, nel mondo cattolico ha un significato ben preciso ed identifica il magistero della chiesa ed in alcuni casi sottolinea l’assoluta certezza dello stesso: quando il Pontefice, ad esempio, parla ex cathedra, si intende che il suo insegnamento è infallibile (Dogma dell’infallibilità del papa). Se è così significa che dalla “cattedra” non dovrebbero parlare dei non credenti. Ed invece con Martini sono proprio i non credenti a prendere la parola per confrontarsi e dialogare (alla pari)  con i credenti su temi in cui non è certo in gioco l’infallibilità teoretica di un insegnamento quanto piuttosto, ad esempio, la convivenza comune all’interno della stessa “benedetta e maledetta città” (1995) o la sfida della violenza delle fedi (1996).

Presentando la cattedra, nel 1987, Martini disse che «Ciascuno di noi ha in sè un credente e un non credente, che si interrogano a vicenda» : affermazione stupenda che colloca il dialogo, il confronto, la differenza, quale dato strutturale di ogni identità e personalità. Implicando il rigetto di ogni forma di violenza e prevaricazione oltre che di sapere che si presume certezza e rifiuta di abitare il dubbio. In questo Martini si è dimostrato davvero un teologo biblico fondando il suo insegnamento in primo luogo sulla parola di Dio che nella sua pienezza di umanità e nei suoi percorsi di ricerca appare più attraversata dal dubbio rispetto alle certezze sistematiche della dottrina che si presentano come monolitiche ed incrollabili .

La nostra casa comune democrazia

Non è possibile qui riassumere l’impegno del card. Martini nei confronti degli immigrati. Basti però, per segnalare l’atteggiamento e la profondità dell’approccio, andare a rileggere una delle risposte della rubrica che mensilmente il cardinale teneva su Il Corriere della sera.
Siamo nel 2009 ed all’interno di una riflessione sull’Islam Martini inserisce un inciso sulla democrazia rispondendo ad un lettore che gli chiede conto del perché avesse precedentemente utilizzato il verbo “credere” parlando di democrazia.
Son poche righe, ma illuminanti e geniali. Dopo aver discettato di democrazia Martini chiude con un inciso che è un pugno nello stomaco e che con una frase dice il senso profondissimo dell’intercultura. Dell’accoglienza dell’altro che si fa solo mediante l'inclusione nella cittadinanza democratica.

Ma vi lascio alla sue parole:

La terza lettera critica la mia espressione «noi dobbiamo credere nella democrazia», perché vorrebbe riservato il verbo «credere» per la fede soprannaturale. Il vocabolario ci insegna che il verbo «credere» può essere usato in vari significati: come una adesione soprannaturale, con l’aiuto della grazia di Dio, o anche come un’adesione puramente umana e una simpatia che è ben conscia delle debolezze di ciò in cui crede. Noi «crediamo nella democrazia», nel senso che abbiamo la fiducia, come pare si sia espresso un giorno Winston Churchill, che la democrazia esprima la forma con meno mali di un governo.
Dicendo che «dobbiamo credere nella democrazia» intendevo anche dire che dobbiamo applicare rigorosamente nel nostro Paese il metodo democratico, con i valori connessi. A ciò si opporrebbe ad esempio una gestione personalistica del potere (il potere per il proprio vantaggio personale) o una gestione clientelare (fondata su favori dati e ricevuti) o una gestione mafiosa (con minacce esplicite o implicite per chi non si allinea).
Se la democrazia si degrada in questo modo, non sarà possibile esigere che gli immigrati, soprattutto se di altra cultura, osservino i loro doveri.

(da Corriere della sera)

Aluisi Tosolini

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