Direzione didattica di Pavone Canavese

20.07.2000

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PRIMA LA MUSICA POI LE NOTE
Un approccio creativo allo strumentario Orff

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Presso la scuola di S. Maurizio Canavese (TORINO) venerdì 30 giugno e sabato 1 luglio 2000 si è svolto un seminario di pedagogia e didattica musicale organizzato dal gruppo Aisthesis e dalla Direzione Didattica . Il Seminario ha coinvolto circa 25 persone tra operatori musicali, educatori ed insegnanti di scuole materne, elementari e medie.

Sono state due giornate di intenso lavoro finalizzato ad un primo approccio con l’idea pedagogica di Carl Orff, il compositore tedesco autore dei "Carmina Burana". Il tutto grazie all’intervento di Giovanni Piazza, compositore, didatta, pubblicista, a cui si deve la rielaborazione italiana dell’Orff-Schulwerk (letteralmente tradotto "opera didattica di Carl Orff").

Va subito precisato che non si tratta di un metodo ( "un insieme conchiuso, con precisi obiettivi tecnici e teorici, percorsi obbligati, regole e priorità da rispettare pedantescamente" G.Piazza,Orff-Schulwerk. Musica per bambini, Suvini Zerboni, Milano,1979, p. XXI) ma di un "criterio pedagogico generale applicato all’educazione musicale di base" (ibidem). Se il metodo è qualcosa di rigido, una sequenza di operazioni successive, qualcosa che si impara e che si applica per acquisire una determinata abilità, qui invece è il caso di parlare di una serie di stimoli di lavoro, di un disegno pedagogico entro il quale ognuno può intervenire in modo personale, con la propria dose di creatività. E’ questo un concetto basilare per gli insegnanti, i quali dovrebbero mettere i bambini in condizione di vivere esperienze sonore, rielaborarle e acquisire consapevolezza in ordine a quello specifico linguaggio . E’ qualcosa che non può essere standardizzato a priori e incasellato in una rigorosa successione di atti dalla quale è vietato fuorviare.

Il tutto ruota attorno ad un presupposto fondamentale, e cioè che non si debba a tutti costi soffrire per avvicinarsi alla musica ed all’alfabeto musicale. E’ necessario trasgredire l’ordine metodologico secondo cui prima si impara, poi si suona. Ecco dunque il senso del titolo del seminario: prima si fa musica, poi si impara la teoria o, meglio, si impara facendo, giocando. Infatti "imparare a scrivere le note sul pentagramma non significa imparare la musica ma imparare a codificarla: cominciare a valle invece che a monte" (Piazza). La musica è prima di tutto un linguaggio sensoriale, che utilizza i sensi e passa attraverso di essi, che implica la corporeità, che si rifà alla primordialità. Il percorso deve perciò partire dall’esperienza, dal fare, dall’agire qualcosa che in seguito diviene forma, riflessione, astrazione. L’approccio non può che avere una forma ludica, ma il gioco non è solo un pretesto, un trucco iniziale per aggirare l’ostacolo. Esso è sostanza dell’azione che svolgiamo, un modo per "mettere i piedi in questo territorio senza troppi spargimenti di sangue".

Su questo sfondo pedagogico si è innestato il seminario, assumendo la forma del laboratorio, della situazione in cui, a partire da uno spunto, si sperimentano possibilità che permettono di sviluppare ulteriori riflessioni.

Il primo di questi spunti è l’idea di utilizzare gli strumenti a barre (xilofoni, metallofoni, glockenspiele) destrutturandoli, staccando le piastre per dar vita a forme insolite. Si è persa così l’intonazione ma non la possibilità di suonare e di improvvisare. La parola improvvisazione è stata un elemento ricorrente nel corso della due giorni. Significa esplorare un territorio sconosciuto, fissando pochissime ma chiare regole, alcuni elementi con i quali creare e , per l’appunto, improvvisare. A volte si confondono l’improvvisazione e la creatività con il fare quello che si vuole senza limiti, dimenticando che, in ambito didattico, i bambini spesso non saprebbero come utilizzare un’improbabile libertà assoluta, che, in assenza di confini, può addirittura angosciare.

Le improvvisazioni sono molto diverse tra loro e, altro aspetto interessante, sono condotte in coppia. Esse prendono la forma di dialoghi sonori, ma anche emotivi. Elementi sonori si combinano, ma contemporaneamente si intreccia una relazione tra i due suonatori, tra i loro comportamenti. In seguito l’analisi dei prodotti ascoltati consente di avviare riflessioni di carattere formale, ad esempio sui principi compositivi adottati o adottabili.

Il processo di destrutturazione prosegue affrontando la scala. Questa viene prima associata ad una filastrocca, poi gradualmente smontata, sostituendo parti di essa con gesti/suono, versi di animali, fischi, che contribuiscono a creare effetti sonori interessanti riducendo contemporaneamente l’alone di eccessiva serietà che circonda la scala stessa. Quindi si procede costruendo una successione casuale delle barre che non rispetta più la forma trapezoidale classica dello strumento, continuando così ad improvvisare. Il gioco continua e intanto si sperimentano forme di contrappunto, canoni, contrapposizioni e ripetizioni. In questo modo si impara, fermandosi di tanto in tanto per fissare gli elementi essenziali. Alla scala si ritorna cercandola, riconoscendola, ricomponendola. A questo punto interveniamo con il movimento delle mani, che viaggiano sincronizzate o in modo alternato, su note libere o scegliendone alcune e percuotendole di continuo, lasciando libero il suono o stoppandolo, andando infine ad esplorare le varie regioni della scala ed individuando suoni gravi, intermedi ed acuti. Il percorso si intreccia con le filastrocche, altro elemento fondamentale della proposta orffiana, un linguaggio arcaico denso di suono, un materiale che da verbale diventa sonoro. Conte, rime, scioglilingua di derivazione popolare o semplicemente successioni di parole e sillabe senza senso: quel che conta sono le sonorità e i ritmi contenuti in esse.

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Ecco ,infine, altri oggetti con cui giocare esplorando le possibilità verbo/ritmiche. Si comincia con l’individuazione di cellule essenziali con cui è possibile costruire successioni e poliritmie, per voce e/o strumenti; quindi si sperimentano le proposte, si scelgono i timbri adatti, si combinano le sezioni strumentali e si ascoltano i prodotti realizzati. Infine utilizziamo una base ritmica preregistrata su cui improvvisare una direzione orchestrale o scegliamo un brano di musica colta da ascoltare, analizzandone la struttura e decidendo di accompagnarlo eseguendo la partitura ritmica messa a punto, dando vita ad una sorta di ascolto interattivo (il "suoniamoci su" di Giovanni Piazza).

Le parole e ancor più le filastrocche contengono molte informazioni di carattere musicale che non hanno bisogno di essere spiegate per essere utilizzate. Il rapporto con ritmi e sonorità è infatti immediato. L’analisi e la riflessione, altrettanto importanti, costituiscono momenti successivi.

Questo, in sintesi, il senso del seminario condotto da Giovanni Piazza e dell’incontro con l’Orff-Schulwerk dal punto di vista, inevitabilmente parziale ma vissuto, di uno dei partecipanti.

a cura di Alberto Cervia (gruppo Aisthesis)