Direzione didattica di Pavone Canavese

Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Ennio De Marzo

 

(25.11.2008)

29 NOVEMBRE:  di nuovo tutti in piazza

 

Uno dei più grandi economisti del Novecento, John Maynard Keynes, era solito ripetere: “ogni volta che risparmi 5 scellini togli ad un uomo un giorno di lavoro”. In fondo si tratta di una scelta, per quanto drastica: risparmiare o tagliare? E se si opta per i tagli, che cosa tagliare? Il governo Berlusconi pare avere le idee molto chiare a tale proposito: per risparmiare occorre tagliare le spese sociali, dalla sanità all'istruzione. Un'ottica liberistica, che ha già fatto i suoi danni e rischia di farne di più pesanti in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando. Ma sarebbe, tuttavia, pur sempre una scelta, se almeno fosse coerente. La realtà, invece, è che nel nostro paese esiste tutta una schiera di privilegiati molto potente, una vera e propria lobby, capace di bloccare ogni riforma del nostro sistema. Ci sono, per esempio, decine di migliaia di evasori fiscali che fanno mancare ogni anno nelle casse dello Stato trecento miliardi di euro, pari cioè alla somma delle ultime sei finanziarie! Uno scandalo, che tuttavia non pare preoccupare il governo, che considera una vera e propria emergenza le spese sociali, a partire dall'istruzione. Su questo settore il governo conta di risparmiare otto miliardi, una bella cifra per un settore che negli ultimi anni è stato fortemente penalizzato. I costi di una simile manovra sono ormai sotto gli occhi di tutti, dopo un primo tentativo di nasconderle dietro aspetti accessori come il grembiulino o il cinque in condotta: sovraffollamento delle classi (e quindi scuole sempre più pericolose in quanto già pericolanti) privatizzazione delle istituzioni formative pubbliche (a tutto vantaggio delle private), fine delle sperimentazioni (a scapito della qualità), ritorno al maestro unico (a scapito delle future generazioni) e, dulcis in fundo, 150.000 posti di lavoro in meno (cioè, nella medesima ottica governativa, centinaia di migliaia di consumatori in meno). Un vero e proprio tsunami che non mancherà di fare sentire molto presto i suoi effetti su un paese sempre più povero e non solo economicamente: un sistema di istruzione che torna ad essere classista come prima delle grandi riforme degli anni Sessanta. “È un metodo che porta verso l'alto i ricercatori di guadagno cui arride il successo, grazie ad una spietata lotta per la sopravvivenza, attraverso la quale si seleziona il più efficiente per mezzo del fallimento del meno efficiente”, scriveva Keynes nel 1926 a proposito del liberismo più sfrenato, intravedendo con largo anticipo la grande crisi che avrebbe portato alla catastrofe il pianeta intero. E ancora: “Tale metodo non tiene conto del costo della lotta, ma solo dei vantaggi del risultato finale, i quali si suppongono essere permanenti. Se lo scopo della vita è quello di cogliere le foglie dagli alberi fino alla massima altezza possibile, il modo più facile di raggiungere questo scopo è di lasciare che le giraffe dal collo più lungo facciano morire di fame quelle dal collo più corto.”

È per queste ragioni che il variegato arcipelago di associazioni, movimenti e comitati nati in molte realtà sta chiedendo  a tutti i cittadini di scendere in piazza il 29 novembre in ogni città, anche nel più piccolo paese di provincia. Perché la scuola è un bene pubblico, il fondamento del vivere civile e perché l'istruzione è la sola via d'uscita dalla crisi che rischia di strangolarci. Solo un deciso e coraggioso investimento sul futuro potrà infatti consentire al nostro paese di vincere le difficili sfide che si addensano una dietro l'altra all'orizzonte. Arroccandosi su se stessi, sbattendo in mezzo alla strada migliaia di persone senza alcuna possibilità di reinserirsi in un mercato del lavoro bloccato da lobby e privilegi, in una parola, risparmiando in maniera indiscriminata, non si potrà che condannare l'Italia ad un ruolo sempre più marginale nello scacchiere internazionale. Lo slogan dei movimenti appare dunque molto chiaro: “noi la vostra crisi non la paghiamo!”

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