Direzione didattica di Pavone Canavese |
(29.03.2009)
Assuefatti alla dis(informazione)
Con il termine “assuefazione” la scienza medica indica la diminuzione
progressiva della risposta ad una determinata sostanza introdotta
nell'organismo: di conseguenza, per ottenere i medesimi effetti, occorre un
dosaggio maggiore. Tali sostanze possono essere le più disparate, lecite ed
illecite: dai sonniferi all'eroina, passando per alcol, sigarette, cocaina
eccetera. E la televisione? Sin dalla sua comparsa gli studiosi si sono
interrogati sugli effetti che provoca sulla psiche umana. Lo studioso Terence Mc
Kenna ha paragonato la televisione ad una delle sostanze più pericolose,
l'eroina. L'eroina – scrive Mc Kenna – appiattisce l'immagine, annulla le
differenze tra le cose: il tossicomane osserva il mondo con la certezza che,
qualunque cosa sia questo mondo, non ha importanza. La medesima illusione di
sapere e di controllare generata dall'eroina – conclude lo studioso – è “analoga
all'inconscia supposizione, da parte del consumatore di Tv, che, da qualche
parte nel mondo, ciò che vede sullo schermo sia reale.”
[1]
Nel 1991 la prima guerra in Iraq suscitò forti emozioni: i
bombardamenti a tappeto, il sangue, la disperazione della popolazione civile
colpì profondamente i telespettatori di tutto il mondo. Era dai tempi del
Vietnam che un conflitto non veniva trasmesso in diretta dalla televisione e,
come allora, nacque un forte e diffuso movimento pacifista. Ma dal 1991 si sono
susseguite altre e sanguinose guerre, da quella che ha portato alla dissoluzione
della Jugoslavia a quella afgana, passando per la Somalia, la Palestina il
Rwanda eccetera. Il sangue, la violenza, la distruzione sono divenute immagini
consuete, quotidiane: somministrate con dosaggi sempre più massicci, hanno
creato una generale assuefazione. Un concetto che doveva essere ben presente
nelle menti degli architetti degli attentati dell'11 settembre, i quali hanno
scelto con cura non solo le modalità dell'attacco, il più possibile
spettacolari, ma anche un orario che consentisse la massima copertura mediatica
in tutto il pianeta.
Nel nostro paese gli effetti dell'assuefazione sono evidenti più che altrove:
giornali, telegiornali, rotocalchi, tutti i mass media somministrano dosi
massicce di notizie ad effetto per non perdere la clientela. Ed ecco allora che
un Licio Gelli può tranquillamente inneggiare al fascismo o chiedere l'apertura
di campi di concentramento per immigrati senza che si levino particolari
proteste. La stessa cosa accade anche nel caso in cui il premier bolla come
“filosovietica” la Costituzione sulla quale ha prestato giuramento. E che dire
dei tagli alla scuola? Quaranta, cinquanta, ottantamila e forse più persone
senza lavoro, una mattanza sociale che non sembra però preoccupare nessuno,
forse nemmeno tutti coloro che ne sono direttamente coinvolti.
Tutto, anche le notizie più sconcertanti, viene assorbito con una certa facilità
da un pubblico che appare letteralmente frastornato da un flusso pressoché
continuo di notizie: una eterna tensione verso l'immediato futuro, la nuova
notizia, la nuova emergenza che incombe. Non si fa in tempo a riflettere su un
problema che subito se ne impone un altro con un “principio attivo” (per
rimanere alle sostanze) maggiore. Di conseguenza, si reagisce con le medesime
modalità con le quali il sistema mediatico somministra la sua dose quotidiana di
informazioni al suo pubblico, cioè con slogan, urla e spot, e si accetta
acriticamente qualsiasi soluzione al problema, vero o presunto che sia, anche la
meno probabile. Si genera in tal modo un pericoloso circolo vizioso, un vero e
proprio corto circuito nella dialettica democratica, poiché il successo della
soluzione proposta viene garantita proprio dal continuo susseguirsi di
problematiche, che gli consentono di nascondersi. Nella memoria collettiva non
rimarrà che lo slogan, lo spot, l'urlo che lo ha accompagnato. Un vortice che
inghiottisce tutto, come è accaduto con la scuola, dove si è passati rapidamente
dagli spot sul grembiulino e sul cinque in condotta al taglio di decine di
migliaia di cattedre senza che su ognuno di questi provvedimenti si sia mai
aperta una seria discussione: di emergenza in emergenza e di soluzione in
soluzione si è proceduto alla distruzione della scuola pubblica statale. Ma di
questo drammatico, e reale, effetto, nessuno sa o capisce nulla: però gli echi
delle urla, degli spot, degli slogan sulla “emergenza educativa”, sul “degrado”,
sui “fannulloni”, quelli permangono nella memoria del cittadino. Non resta che
aspettare che gli assuefatti calpestino con i loro piedi le macerie della scuola
pubblica: drogati o no, la realtà prima o poi si impone e, come accade al
tossicomane da eroina, questo passaggio è sempre drammatico.
[1] Terence Mc Kenna, Il nutrimento degli dei, Apogeo, 2001