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Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Enio De Marzo

(27.07.2012)

Caso Ilva: lavoro o ambiente ?

Il dibattito di questi giorni non è nuovo. Propongo qui due articoli non nuovissimi (il secondo risale addirittura al 1980)

“Agli olandesi le industrie non piacciono. Anzi, a dire il vero, le destano proprio. Le considerano inquinanti, rumorose, pericolose e fastidiose. Il rispetto per l’ambiente e la natura, così insito nella mentalità di chi vive nei Paesi Bassi, li fa rigettare tutto ciò che non si adegua a questa visione della vita. È per questi motivi che la Koninklijke Nederlandsche Hoogovens en Staal Fabrieken (Società reale olandese degli alti forni e acciaierie), chiamata più familiarmente “Hoogovens”, ha avuto e continua ad avere il suo bel da fare per mantenere buoni rapporti di collaborazione con il governo olandese. Anche si tratta di uno stabilimento che occupa circa 26.000 persone, si estende per oltre 2.000 acri e produce una media di 5,5 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Lo stabilimento si trova presso Ijmuiden, una cittadina immersa nel verde a circa mezz’ora di auto da Amsterdam. La pulizia e l’ordine sono talmente evidenti nella zona che quasi non si ha l’impressione di essere vicino ad un’acciaieria [ … ]. I muri perimetrali sono circondati da un fitto roseto che spande nell’aria un piacevolissimo profumo. [ … ] «Il motivo c'è — spiega Cornelius Dabbeldam, direttore delle pubbliche relazioni della Hoogovens che per l'occasione ci fa cicerone in un giro per lo stabilimento —. Negli ultimi dieci anni l'azienda ha investito 90 miliardi di lire in impianti anti-inquinamento e altrettanti ne prevede per i prossimi cinque anni. Ci sono leggi precise in materia e si devono rispettare. [ … ] Tra l'altro se l'ambiente lavorativo della fabbrica non fosse in ordine dal punto di vista della sicurezza e della pulizia avremmo problemi sia con il personale che con i sindacati. In un Paese come l'Olanda dove mancano 100 mila operai questi sono lussi che un'azienda non si può permettere».
In effetti la mancanza di mano d'opera specializzata costituisce una delle più grosse preoccupazioni per gli industriali olandesi. «Siamo arrivati al punto da dover chiamare 500 operai dalla Jugoslavia — dice Dabbeldam —. Li abbiamo fatti frequentare un corso di olandese e poi li abbiamo assunti con un contratto di due anni. [ … ] In fatto di pulizia la Hoogovens non finisce mai di stupire. Ne è un ulteriore esempio il porto interno dove attraccano le navi cariche di polvere di carbone e di ferro destinata alla lavorazione. Il porto, che ha accesso diretto al Mare del Nord, è in grado di ospitare navi fino a 100 mila tonnellate e di farne scaricare il contenuto in sole 48 ore. La Hoogovens produce anche il coke che le necessita. Il carbone per questo scopo viene importato dagli Stati Uniti, dalla Germania, dalla Polonia e dall'Australia. Alle spalle del porto, sempre all'interno dello stabilimento, vengono depositate intere colline di polvere di carbone e di ferro. «Per impedire che la polvere inquini l'aria — dice Dabbeldam — nella zona sono sistemati potenti spruzzatori d'acqua comandati a computer. La polvere, mantenuta costantemente umida, non si volatilizza nell'aria e non inquina». [ … ] Prima di lasciare il nostro cicerone gli rivolgiamo una domanda: «Quanto prende, in busta, un operaio semplice della Hoogovens? Dabbeldam ci pensa un po' e poi risponde. «Trentamila fiorini all'anno, al netto di tutti i contributi», dice. In lire italiane fanno esattamente 1 milione e 50 mila lire mensili al cambio attuale”
[ “In Olanda l’acciaio non è inquinante”, di Rino Di Stefano, in “Corriere Mercantile” 29 maggio 1980]

 

Corone di fiori bianchi per Gianluigi. E la banda, che suona struggenti melodie di paese. E le urla strazianti di sua madre che arrivano fin sulla strada. «Lasciate che si sfoghi: ha perso l'unico figlio maschio», dicono le donne. E i compagni di lavoro. Tutti giovani. Le basette lunghe come impone la moda di questi tempi e le lacrime agli occhi, per piangere un amico, certo, ma anche per bagnare la loro disperazione di ragazzi operai. Mottola, paesone a nord di Taranto. Città di gravine e case bianche. Si piange un operaio di 24 anni morto sul lavoro. Gianluigi [ … ], l'ultimo ucciso dalla fabbrica-mostro, l'Ilva. Morto per il «posto», 900 euro al mese. Il futuro. Tutto buttato all'alba di un venerdì di settembre. Gianluigi ha fatto il turno di notte (11 di sera 6 del mattino), per guadagnare l'uscita deve attraversare l'enorme capannone Bramme 1. Cammina, i pensieri di un ragazzo, un saluto ai colleghi. E poi il buio. La trave d'acciaio che si stacca dall'alto. Lo schiaccia. Gli sfonda la testa. Il corpo in una pozza di sangue e polvere. Una giovane vita finita. La Chiesa di San Giuseppe lavoratore è stracolma di gente. La mamma e il padre di Gianluigi non staccano mai le mani dalla bara del figlio. Fuori, la gente si asciuga il sudore e parla. «Questo è il sud: o muori in quella cazzo di fabbrica o vai via». Giovane con t-shirt nera e occhi rossi di pianto. «Io sono disoccupato, so che all'Ilva rischi la vita ogni giorno, ma se mi chiamassero ci andrei di corsa a lavorare». Anziano operaio in pensione: «Quando c'era l'Italsider era un'altra cosa. Il lavoro era pesante anche allora, ma le condizioni di vita erano diverse. In quella fabbrica noi operai eravamo una potenza». Giovane turnista all'Ilva: «Ora siamo solo ingranaggi produttivi e contiamo meno di zero. Se vinco al superenalotto me ne scappo di corsa». [ … ] È il funerale del morto numero 170 della strage silenziosa all'interno del fabbricone. L'Ilva. Eccola, ci siamo dentro. Una città nella città. [ … ] Sono passate le cinque di sera da mezz'ora e dai fumaioli dell'Acciaieria 1 esce un denso fumo marrone. «Fa sempre così quando spilla» (cola acciaio), spiega un operaio. E quel fumo avvelena Taranto, come le polveri dei nastri trasportatori e dei residui della lavorazione dell'acciaio. La città non ne può più. Ha paura. Circolano notizie inquietanti. Sul raddoppio dei tumori, ad esempio. E sulla salute dei bambini. Gli esperti hanno calcolato che quelli nati nel quartiere Tamburi, a ridosso della cokeria, hanno i polmoni incatramati come chi fuma sette sigarette al giorno, tanta è la concentrazione di benzopirene cancerogeno nell'area. Il padrone, da quando lo stabilimento è stato privatizzato, è il vecchio ingegner Emilio Riva, indiscusso re dell'acciaio in Italia e in Europa. «Questo - ama dire parlando di incidenti - è un paese, e nei paesi c'è la casalinga che si brucia le mani, il bimbo che cade dalla sedia. Cose normali, siamo in tanti».
[“Taranto, dove l’acciaio è pane e morte”, di Enrico Fierro, in “l’Unità” 11 settembre 2005]

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