Direzione didattica di Pavone Canavese |
(08.10.2009)
Dove è nata
la nostra Costituzione ?
La
Costituzione della Repubblica italiana è un testo molto semplice, di facile
lettura, alla portata di tutti coloro che sappiano almeno leggere, quanto meno
nella sua prima parte, quella dei cosiddetti “principi fondamentali”.
Essa è stata redatta alla fine della II Guerra Mondiale, dopo la caduta della
dittatura fascista, da una Assemblea per la prima volta eletta a suffragio
davvero universale, cioè con il concorso anche del voto femminile. Il compito
che quella Assemblea si pose sin dal suo nascere fu molto arduo: ricostruire il
paese su nuove basi, su nuove fondamenta in grado di fare dell'Italia uno Stato
a tutti gli effetti democratico, come non era mai stato prima.
Un nuovo patto insomma – come afferma Umberto Terracini, il Presidente
dell'Assemblea – che potesse stringere “in amicizia e fraternità tutto il
popolo italiano”.
Ma per fare ciò occorreva, appunto, mettere in piedi un testo che venisse
incontro ad una realtà ancora, per certi versi, sottosviluppata, con una massa
di analfabeti o semianalfabeti, con una opinione pubblica annientata da venti
anni di dittatura fascista. Nasce su queste basi la Costituzione Italiana.
Allora come oggi, molti passaggi lasciano pochi spazi a dubbi circa la loro
interpretazione. Prendiamo l'articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali”.
Non c'è bisogno di spendere troppe parole, il significato è chiaro, lampante:
tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge. Puoi essere anche l'uomo più
potente d'Italia ma se commetti un reato ne rispondi come l'ultimo dei poveri.
Semmai a complicare il quadro e il passaggio successivo del medesimo articolo:
“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”. Insomma, la Repubblica è conscia che le disparità economiche e sociali
possono minare tale eguaglianza.
Di conseguenza, la Repubblica si pone il compito di rimuovere gli ostacoli che
impediscono “il pieno sviluppo della persona umana”. Qui la complessità è tale
che occorrono capacità e competenze non comuni e il discorso si fa a tutti gli
effetti politico.
E, politicamente, è possibile oggi giudicare se la Repubblica, attraverso i
governi che l'hanno guidata, abbia o meno ottemperato agli obblighi che lei
stessa si impose sin dalla sua nascita. Bisognerebbe portare la questione
davanti alla Corte Costituzionale.
Le disparità sociali ed economiche possono a tutti gli effetti minare quelle
giuridiche, in quanto il potente può garantirsi non solo un pool di avvocati in
grado di trovare i cavilli che alla fine depotenziano anche una eventuale
sentenza, ma anche contare su forze politiche, economiche, sociali e
massmediatiche in grado di condizionare la giuria. Insomma, la Repubblica
dovrebbe davvero intervenire affinché i deboli non vengano stritolati dai forti
almeno sul piano giuridico.
E invece la Repubblica, nella persona, istituzionale, della Corte
Costituzionale, ha dovuto fare di recente i conti con un provvedimento
governativo noto al grande pubblico con il nome di “Lodo Alfano”.
Meno noto è il significato del termine: chi o che cosa è un “lodo”? E chi o cosa
è “Alfano”?
Se si fa un giro su internet si capisce come non sia così semplice rispondere
alla prima domanda. Volendo volontariamente sottrarmi ad un confronto con chi ha
conoscenze e competenze in questo campo, sottolineo come l'etimologia del
termine rimandi al latino Laus, che significa “lode” e lascio al lettore
tutte le considerazioni del caso.
Su “Alfano” penso che ormai i dubbi siano pochi e quindi tralascio ogni
considerazione in merito.
Semplificando la questione, il “Lodo Alfano” è un provvedimento con cui si tende
a sottrarre alla giustizia italiana le quattro più alte cariche dello Stato,
cioè quattro cittadini in carne ed ossa, che certo non appartengono ai ceti
deboli.
È costituzionale un simile provvedimento? Stando all'articolo 3 non dovrebbero
sussistere dubbi: se anche solo un cittadino non è uguale agli altri di fronte
alla legge, allora si contravviene ai dettami costituzionali.
E c'era bisogno di una sentenza della Corte Costituzionale, per di più dopo
quasi quarantotto ore di camera di consiglio e nemmeno alla unanimità?
Trattandosi di eguaglianza di fronte alla legge - dunque non di eguaglianza
politica né sociale - cioè del fondamento di uno Stato liberale, che è creazione
antica e non recente, di un diritto ormai penetrato a fondo nella coscienza
delle pubbliche opinioni occidentali, che sono tali perché vivono, appunto, in
uno Stato liberale, non serve nemmeno conoscere la Costituzione, poiché si dà
per scontato che esista una norma che sancisca un tale diritto.
Provate ad andare in giro a urlare “io sono contro l'uguaglianza di fronte alla
legge” e come minimo sarete sommersi dalla risate … come minimo.
Ma non in Italia, dove un intero governo, forte della stragrande maggioranza dei
mezzi di informazione e probabilmente del consenso della maggioranza della
popolazione, è convinta che vi sia chi si possa sottrarre alla legge in quanto
super pares (altro termine sparato lì a caso senza conoscerne il vero
significato: la “gente”, non chi l'ha pronunciata, ben inteso).
Ed una parte di questa maggioranza è disposta anche a portare in piazza “il
popolo” a difesa di un privilegio che riporta le lancette della storia indietro
di quattro secoli.
Di fronte alle dichiarazioni dei maggiori esponenti di questo Governo e
soprattutto di quelle dei Ministri, che hanno prestato giuramento sulla
Costituzione della Repubblica italiana, ci si sente disarmati: l'ignoranza
appare banale quanto per Hannah Arendt lo era il male dei soldati nazisti.
A tutti costoro, uomini e donne di governo, ma soprattutto al popolo italiano
dalla memoria sempre troppo corta, dedico le più belle parole che sulla
Costituzione siano mai state pronunciate, quelle di Piero Calamandrei:
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione”