Direzione didattica di Pavone Canavese |
(28.10.2009)
Mc Donald's se ne va dall'Islanda
“Non tutti i mali vengono per nuocere!”. Così devono avere esclamato parecchi islandesi alla notizia che, a causa del perdurare della crisi internazionale, Mc Donald ha deciso di fare le valigie ed abbandonare per sempre il paese[1]. Si tratta di un avvenimento epocale e come tale totalmente snobbato dai media italiani[2]: la nota catena di fast food, infatti, ha rappresentato per anni l'emblema della globalizzazione, anzi l'ha anticipata. L'Unione Sovietica era ancora formalmente in piedi quando, nel 1990, l'odore acre di cheeseburger e patatine fritte cominciò ad invadere le piazze e le strade di Mosca. Da allora Mc Donald non ha fatto che espandere il proprio impero, riuscendo laddove avevano fallito Cia e Marines: riunire il mondo sotto un'unica bandiera. Per queste stesse ragioni la multinazionale del cibo veloce è stata fatta oggetto per anni di ogni genere di attacco da parte di chi contestava una globalizzazione omologante nonché la radicale contraddizione tra la piena libertà che veniva garantita alle merci a fronte di un rigido controllo dei flussi migratori.
I sacchetti di carta, l'olio continuamente riciclato, i cappellini colorati di chi ti serve da dietro il balcone, oltre naturalmente ai menu a basso costo, i palloncini per i bambini e le luci intense, erano l'icona di un'era storica che oggi sembra volgere al tramonto.
Certo, l'Islanda è un piccolissimo paese e pure piuttosto isolato. È probabile che la maggioranza dei nostri studenti non sappia indicarla con precisione su una cartina geografica. D'altro canto, chi, questa volta tra i docenti, saprebbe dire quando è nata, quando ha conquistato la propria indipendenza[3]? Ciononostante l'Islanda occupa spesso i nostri pensieri, soprattutto quando il tempo volge al brutto, da noi come in gran parte del continente. E questo accade perché sull'isola atlantica gravita, in maniera “semipermanente”, come ci ricordano gli esperti, una gigantesca depressione, una fabbrica di perturbazioni destinate ad abbattersi prima o poi sul continente. Prima o poi ...
È vero anche che gli islandesi ci mettono del loro per rendersi poco simpatici ai nostri occhi. L'islandese di una delle più belle opere di Leopardi, il Dialogo di un Islandese con la Natura, è incontentabile, vorrebbe che le cose andassero come dice lui! Insomma, gli islandesi spesso se la cercano. In fondo, se non avessero spalancato le porte del paese agli investitori stranieri, come Mc Donald, attraendoli con tutta una serie di agevolazioni (esattamente come fa il centro di una bassa pressione con le nuvole attorno), avrebbero evitato simili contraccolpi. Insomma, chi di mercato ferisce di mercato perisce. E al mercato si rivolge: perché il paese ha evitato la bancarotta ricorrendo ad un onerosissimo prestito presso il Fondo Monetario Internazionale. In pratica ha ipotecato il proprio futuro.
E tuttavia, come si diceva, non tutti i mali vengono per nuocere. Vero però è che questo detto popolare ha perso il valore di un tempo, quando la parola “progresso” generava entusiasmi. Oggi il futuro fa paura altro che progresso. Basti pensare che chi ha tentato di resuscitare quel termine ne è uscito con le ossa rotte[4]. Ma i detti popolari hanno questo di particolare e di eccezionale: resistono al tempo. Possono passare di moda, questo è vero, non rispondere totalmente alle mutate condizioni storiche, sociali e politiche, verissimo, ma non muoiono mai. Ciclicamente, soprattutto nei momenti più difficili, quando cioè le speranze sembrano perdersi una dopo l'altra, tornano a galla.
Non tutti i mali vengono per nuocere … al posto dei Mc Donald's sorgeranno in Islanda tante piccole locande dove islandesi e turisti potranno finalmente tornare ad assaporare i prodotti locali, primo fra tutti il pesce, di cui l'Islanda continua ad essere un grande esportatore[5].
Non tutti i mali vengono per nuocere … al governo, al posto dei conservatori che hanno gestito il boom degli anni passati senza preoccuparsi della pesante crisi successiva, ci sono oggi i socialdemocratici, guidati da una donna, Johanna Sigurdardottir, una ex hostess nonché battagliera sindacalista che non nasconde la propria omosessualità (convive infatti da anni con una nota scrittrice locale) né, tanto meno, le proprie idee progressiste. La sfida per l'Islanda è enorme: in gioco c'è il futuro del paese. E chi guarda al futuro, da buon progressista, cerca quanto meno di non commettere gli errori del passato. Dunque, i costi della crisi li dovranno pagare prima di tutto coloro che si sono arricchiti negli anni del cosiddetto “miracolo” e il mercato andrà d'ora in poi considerato per quello che effettivamente è: un luogo in cui gli esseri umani, e non invisibili quanto fantomatiche “mani”, determinano i costi e i benefici. E se bisogna guardare al futuro, allora occorre investire prima di tutto nella formazione, nell'istruzione e nella cultura. Altrimenti, il collasso e la bancarotta saranno inevitabili[6].
Forse dovremmo essere proprio noi italiani, troppo chiacchieroni e poco concreti, sempre in attesa di uomini (e mai di donne) della provvidenza, continuamente richiamati dal Moloch mediatico a scegliere questo o quel concorrente da buttare fori dalla casa, a non barattare il nostro fustino di detersivo con altri due, a credere che chi ci pagherà le pensioni nell'immediato futuro sia solamente un problema di ordine pubblico e non una risorsa, a dovere tenere bene a mente l'epilogo dell'opera di Leopardi:
un
fierissimo vento, levatosi mentre l'islandese parlava, lo stese a terra e sopra
gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui, disseccato
perfettamente e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori
e collocato nel museo
di non so quale città di Europa.
[1] Entro il 31 ottobre 2009 tutti i fast food di Mc Donald's verranno chiusi
[2] La notizia è stata riportata da tutti i principali quotidiani nostrani (sia cartacei sia online), ma in piccoli trafiletti e nelle pagine interne, anche dai giornali economici. Tutt'altro risalto, invece, sui quotidiani esteri. Per fare un solo esempio, il quotidiano economico online “Bloomberg” ha riportato la notizia in prima pagina
[3] La nascita dell'Islanda è piuttosto complessa. Antico possedimento danese, ottiene la “autonomia” dalla madre patria nel 1904, diventando “Stato sovrano” nel 1918. Si tratta, tuttavia, di una sovranità limitata, dal momento che la Danimarca decide di occuparsi dei suoi affari esteri per almeno 25 anni. Ci pensa la II Guerra Mondiale ad accelerare i tempi. Il III Reich invade la Danimarca, separando i destini delle due nazioni. Sull'isola sbarcano allora le truppe britanniche. L'isola risulterà strategica per i traffici marini, commerciali e militari, tra l'Inghilterra e gli Usa. Nel 1944 un referendum sancisce la secessione: nasce la Repubblica di Islanda
[4] Alle elezioni del 1994, le prime della cosiddetta “Seconda Repubblica”, le prime con il sistema uninominale e maggioritario, lo schieramento di sinistra, guidato da Achille Occhetto, “I Progressisti”, escono sonoramente sconfitti, consegnando il paese nelle mani di Berlusconi
[5] La decisione è stata presa dal Governo. Al posto dei fast food, con una architettura completamente rinnovata e in linea con la tradizione urbanistica del paese, sorgeranno ristoranti e punti di vendita di prodotti locali
[6] Il nuovo governo socialdemocratico ha varato un vero e proprio “piano quinquennale”, in modo da arrivare al pareggio del bilancio entro e non oltre il 2013. Tale piano prevede lo stimolo della domanda da attuare attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro, di sovvenzioni ai disoccupati e di investimenti nei settori sociali. Le banche saranno d'ora in poi sottoposte ad un più incisivo controllo da parte di governo e parlamento e più controllati e tassati saranno anche le transazioni finanziarie. Nonostante la crisi, il governo non ha intenzione di chiudere le frontiere alla immigrazione, considerata una risorsa per il paese.