Direzione didattica di Pavone Canavese |
(23.11.2008)
Diceva Kennedy, 50 anni fa...
Io credo in un’America che
ufficialmente non sia cattolica né protestante né ebraica; in cui nessun
pubblico ufficiale richieda o accetti istruzioni sulla politica da seguire vuoi
dal Papa, vuoi dal Concilio nazionale delle Chiese, vuoi da altre fonti
ecclesiastiche; un’America in cui nessun organismo confessionale cerchi di
imporre, direttamente o indirettamente, la propria volontà al popolo in generale
ovvero alle iniziative dei pubblici funzionari, e in cui la libertà di religione
sia una e indivisibile, talché ogni azione contro una delle Chiese sia
considerata attentato contro la nazione nel suo complesso. (…)
(...) io credo in un’America in cui prima o poi l’intolleranza religiosa sia
destinata a sparire, e in cui tutti gli individui e tutte le Chiese siano
trattati da eguali; un’America in cui ognuno abbia lo stesso diritto di
frequentare o no la Chiesa che si è scelta, e in cui non si diano voti cattolici
o anticattolici, e in generale nessun blocco di voti di alcuna specie: in cui
cattolici, protestanti ed ebrei, laici o ecclesiastici che siano, si astengano
da quegli atteggiamenti di disprezzo e ostilità che tanto spesso hanno in
passato intralciato la loro azione, per promuovere invece l’ideale della
fratellanza tra i cittadini americani.
(...) E io qui, questa sera, vi imploro di seguire questa tradizione e di
giudicarmi in base all’opera da me compiuta al Congresso nel corso di
quattordici anni: le mie dichiarate prese di posizione contro l’invio di un
ambasciatore presso il Vaticano, contro l’aiuto anticostituzionale alle scuole
parrocchiali, contro ogni forma di boicottaggio delle scuole pubbliche (che io
stesso ho frequentato);
(...) Ma lasciatemi qui dire che, col pieno rispetto delle usanze di altri
Paesi, io fermamente mi oppongo a che lo Stato sia ridotto a strumento di questo
o quel gruppo religioso cattolico o protestante che sia, per limitare, proibire
o perseguitare il libero esercizio di ogni altro culto. E ciò vale per ogni
persecuzione, in ogni tempo, da chiunque compiuta, in qualsivoglia Paese.
[ John Fitzgerald Kennedy, 1960 ]
Ricordo ancora oggi, con un misto di nostalgia ed emozione, una puntata di un noto telefilm americano degli anni Sessanta, orribilmente tradotto in Italia con il titolo "Tre nipoti e un maggiordomo". In un episodio, Buff e Jody, i due bambini protagonisti della fiction, adottati dallo zio Bill dopo la morte dei genitori, si incontrano con due loro coetanei, figli di un ricco imprenditore, passando l'intera giornata a giocare per le strade di un quartiere di New York, a diretto contatto con giovani di altre culture, razze e religioni. Per Buff e Jody non è certo una novità: frequentano una scuola pubblica, in una zona multietnica e con molti problemi. Per i loro amichetti, invece, è come trovarsi di fronte al paese dei balocchi. E così, quando tornano a casa, tutti sudati, sporchi ma entusiasti, si avventano sul padre, impazienti di raccontare l'esperienza vissuta: “ci siamo divertiti tantissimo!”, “è stato stupendo!”. “Non li avevo visti mai così felici”, confida il padre allo zio Bill.” “Come è possibile?”, chiede quest'ultimo. “I miei figli – gli confida il padre – frequentano una scuola privata, al riparo dalla politica e dalla droga, dove vige il rispetto delle regole e della buona educazione e dove viene impartito l'insegnamento della religione”. “Certo – risponde, calmo, lo zio Bill – ma a quale prezzo? Io – conclude – non ho paura che i miei figli si confrontino con altri bambini, di altre razze, culture e religioni e anch'io sono religioso”.
Quanto è distante la nostra
società da quella Great Society che allora si andava edificando negli Usa e che
la televisione celebrava in questo come in altri spettacoli!
Il discorso di Jfk rappresenta l'essenza della democrazia liberale e del vivere
civile: laicità dello Stato, priorità del sistema pubblico di istruzione,
libertà, fratellanza ed eguaglianza dei diritti. Eppure qui da noi nessuno si
sentirebbe di sottoscriverle nemmeno oggi, a cinquanta anni di distanza! Non
potrebbe essere altrimenti, in una società dominata dalla paura, in cui ogni
ipotesi di apertura apparirebbe come una provocazione, anzi un attentato alla
sicurezza dei cittadini. E allora a che serve la scuola, quella pubblica, che è
per definizione una istituzione aperta a tutti? Proprio a nulla: è solamente un
peso, una inutile spesa. Diventa allora un gioco da ragazzi per chi ha edificato
grazie alla paura il proprio sistema di governo celebrare la convenienza
economica delle scuole private, in maggioranza cattoliche, sebbene finanziate
con i soldi di chi paga le tasse. Quanto appare estraneo il primo e fino ad ora
unico presidente cattolico degli Usa ad una società che pure continua a
considerarsi cattolicissima, ma in cui non la solidarietà, la fratellanza o
l'eguaglianza, bensì l'individualismo, l'egoismo e il rampantismo si impongono
come valori assoluti. Altri tempi, si dirà. Non proprio, se è vero che il neo
presidente americano, Barack Obama, nonostante la spaventosa crisi economica in
atto, ha deciso di investire sulla scuola pubblica statale, conscio che il
futuro del paese che si appresta a governare non sta solo nelle banche ma
soprattutto nelle future generazioni. Un atto di coraggio! In Italia, invece, la
paura continua a paralizzare il paese reale come quello legale. E così la nostra
società si va sempre più cristallizzando, perpetrando ineguaglianze,
indifferenze ed egoismi: una grande gabbia di acciaio, anzi un enorme acquario
dove i pesci più piccoli presto non troveranno scampo di fronte agli appetiti
dei più grandi.