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Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Enio De Marzo

(27.08.2012)

Ciao Amstrong, ciao

La Luna, rifugio dei sogni e delle speranze (ma anche delle paure) di generazioni e generazioni di uomini e di donne. La Luna, musa ispiratrice di poeti, cantanti e innamorati sin dalla notte dei tempi. La Luna, definita da Aristotele come “un secondo Sole”, capace di rischiarire le notti buie e di dare conforto ai piccoli e mortali terrestri.
Quando Neil Armstrong nell’agosto del 1969 calpestò per la prima volta nella storia dell’umanità il suolo lunare, non pensava certo a Leopardi, che con la Luna amava dialogare, né a Baudelaire, che la paragonava ad una bella donna. No. Neil Armstrong era cosciente che con la sua impresa si sarebbe chiusa un’epoca, che, in nome del progresso, si sarebbe conquistata una nuova frontiera. Una sfida, fino ad allora impensabile, quella all’infinito universo, il “regno dei cieli”, la “dimora degli dei”.
“Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”.
In verità il primo a demolire il mito della Luna era stato Galilei. Il suo cannocchiale aveva mostrato come la sua superficie non fosse affatto liscia e levigata come si credeva allora e che quelle macchie nere che era possibile osservare anche ad occhio nudo non erano proiezioni delle imperfezioni terrestri. Galileo stava per demolire una visione, eretta poi a sistema, che voleva i cieli costituiti da una sostanza eterna e perfetta, l’etere, a differenza di quanto accadeva sulla Terra, pianeta soggetta, come tutti i suoi abitanti, al crudele ciclo di nascita, vita e morte. Una visione che si sposava perfettamente non solo con le credenze religioso, ma anche con l’innato desiderio dell’uomo di sottrarsi a quel ciclo, immaginando di volare in alto nei cieli una volta abbandonato questo pianeta. La Luna stimolava questi sogni ancor più del Sole, perché a differenza di questa era possibile osservarla senza bruciarsi gli occhi. Se la Luna dovesse dubitare, scriveva William Blake, subito si spegnerebbe.

La scienza, invece, dubita. Anzi elegge il dubbio a metodo di ricerca. Il dubbio è l’unica cosa della cui esistenza non si può dubitare, scrive Descartes. E così, forte di questo scetticismo programmatico, la scienza si lancia alla volta dell’ignoto, fino a violare lo spazio infinito. Il primo fu Yuri Gagarin, l’astronauta sovietico che, beffardamente e provocatoriamente, dalla sua navicella pronunciò le famose parole: “non vedo alcun dio da quassù!”.
Armstrong fu decisamente meno crudele. D’altro canto, il Paese che lo aveva portato sulla Luna era profondamente religioso nonché in lotta, da anni, contro il comunismo ateo dei sovietici. E tuttavia il suo gesto fu decisamente più rivoluzionario: violare per la prima volta la sacralità della Luna.

Un gesto che a suo modo fa sognare: l’umanità compie un balzo senza precedenti ed è pronta a conquistare l’infinito.
Ma i sogni mal si conciliano con i tempi della scienza. E così, passata l’euforia dei primi momenti, ci si rende conto che l’impresa è tutt’altro che clamorosa.
La Luna infatti è un corpo celeste piuttosto brutto, privo di mari, di fiumi, di foreste e di esseri con cui dialogare. La delusione è grande, al punto che un comico americano scriverà: “un uomo sulla Luna non sarà mai interessante quanto una donna sotto il sole”.
Un duro colpo per Armstrong. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Dopo pochi anni, lo scrittore Bill Kaysing mette in dubbio l’impresa stessa, denunciando una gigantesca messa in scena da parte del governo statunitense e della Nasa (l’agenzia spaziale nazionale).
Il suo libro, “Non siamo mai andati sulla Luna”, vende decine di milioni di copie (ancora oggi). D’altro canto, la scienza non ha fatto molto per dissipare i dubbi e per colmare il senso di smarrimento conseguente alla conquista della Luna. Un’impresa titanica per l’epoca (ed è questo il punto su cui ruota tutta la polemica dei “negazionisti”), compiuta in pochi anni, ma che poi si arresta.
Nel 1975 una piccola navicella americana, il Viking, viola la sacralità di un altro pianeta, molto meno romantico della Luna: Marte. Anche qui l’euforia si spegne presto, allorquando giungono le immagini di quel pianeta, forse più brutto della stessa Luna. A questo punto la conquista romantica dello spazio cessa. Altre navicelle vengono lanciate nello spazio infinito, ma l’interesse dell’opinione pubblica mondiale comincia a scemare. E si riducono i finanziamenti, complice la fine della guerra fredda che aveva determinato una straordinaria accelerazione. L’uomo fortifica le sue difese. Le caravelle spaziali dai romantici nomi, Apollo e Mir, vengono sostituite da stazioni spaziali orbitanti intorno alla Terra, come la Luna, ma che non fanno sognare nessuno. Satelliti spia, dotate di armi di distruzioni e di controllo di massa. Un grande fratello spaziale, che oscura la ben più confortante sorella Luna. Povero Armstrong.

Nell’agosto del 1969, quando l’uomo conquistò la Luna, c’era la Guerra del Vietnam. Ma c’era una generazione che sognava un mondo diverso, che proprio in quelle settimane si ritrovava in una piccola località non lontana da New York, Woodstock, per tre giorni di pace, amore e musica. Una generazione che proprio dalla scienza aveva imparato a considerare il progresso come opportunità per tutta l’umanità e che accolse con favore l’impresa di Armstrong, soprattutto quando egli pronunciò altre e meno conosciute parole: “la Terra è bellissima da quassù”.
Una Terra priva di confini, di cortine di ferro, di differenze sociali e razziali.

Nell’agosto del 2012 la Terra, vista da quaggiù, è più brutta di allora. Armstrong se ne andato per sempre, le guerre continuano a mietere vittime innocenti, gli spazi verdi si sono enormemente ridotti come anche i ghiacci dei poli. Ma, soprattutto, nessuno sogna più. Non c’è più il futuro di una volta, insomma, e la colpa non è certo di Armstrong, il quale aveva sì decretato la fine dei sogni individuali, ma anche indicato la strada per un sogno collettivo, in grado di coinvolgere l’umanità intera. La Luna non accompagna più le notti solitarie dei poeti e gli innamorati preferiscono starsene in casa. E la scienza è ancora ferma a Marte.

Armstrong ha conquistato la Luna, ma noi siamo tornati con i piedi ben piantati sulla nostra Terra, incapaci di sognare e quindi di costruire un mondo diverso da quello che ci circonda. La “nostra Terra” è il nostro orticello, sempre più fortificato per resistere alle minacce esterne. Il nostro vicino è sempre più un potenziale nemico. Piccoli uomini impauriti, con lo sguardo fisso verso il basso. Provate, in una limpida notte (è raro ormai) a indicargli la Luna. Loro fisseranno il vostro dito.

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