Direzione didattica di Pavone Canavese |
(21.01.2009)
VINCERE LA PAURA
Uno dei passaggi più significativi del
discorso di insediamento di Barack Obama è quello in cui il nuovo presidente
degli Stati Uniti invita il popolo americano a scegliere la speranza “contro la
paura”. Sembra di risentire le parole di un suo predecessore, Franklin Delano
Roosevelt, che amava ripetere: “l'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la
paura”. D'altro canto, quanto sta accadendo oggi negli Usa presenta non poche
affinità con gli anni Trenta del secolo appena trascorso. Dopo un decennio di
“finanza allegra”, incoraggiata da tutte le amministrazioni repubblicane del
periodo, il popolo americano, colpito duramente dalla crisi del 1929, decise di
voltare pagina. Sconfiggere la paura fu allora il primo obiettivo del presidente
Roosevelt. Oggi lo è per Barack Obama.
Sulla medesima paura, invece, molte forze politiche nostrane continuano ad
edificare i propri successi, con effetti dirompenti sul tessuto sociale. Sebbene
tutti gli indicatori mostrino un calo costante dei reati dagli inizi degli anni
Novanta sino ad oggi, gli italiani si percepiscono sempre più insicuri, vedono
criminalità ovunque: hanno paura. E così è stato facile per taluni politici, di
destra e di sinistra, soffiare sul fuoco delle emergenze ed indirizzare le
insicurezze dei cittadini verso i soggetti più deboli, soprattutto i cosiddetti
immigrati extracomunitari. Naturalmente non contro svizzeri, canadesi,
americani, australiani eccetera, che pure sono presenti in gran numero nel
nostro paese, ma contro uomini e donne provenienti dal Terzo Mondo, più alcuni
che extracomunitari non sono più, come i Rumeni, o non lo sono mai stati, come i
Rom italiani. Eppure l'unico dato in controtendenza relativo alla criminalità
riguarda reati che hanno poco a che fare con l'immigrazione. Si tratta si
omicidi in famiglia, omicidi passionali, omicidi per futili motivi o per
rancore, che solitamente coinvolgono persone molto vicine alle vittime: amici,
parenti, conoscenti, in massima parte italiani. Si pensi al dato sulle violenze
sessuali: quasi il 75 per cento viene commesso entro le mura di casa ad opera di
mariti, fidanzati e parenti.
La politica delle emergenze ha fatto sì che intere zone del paese venissero
percepite come sotto assedio da parte della criminalità, come è accaduto con le
rapine in villa nel ricco nord est. E tuttavia questo genere di reati è in
continuo calo, di quasi il 20% rispetto agli Novanta, a fronte di una
percentuale di cittadini che si sentono insicuri nelle proprie abitazioni che è
invece raddoppiata.
Gli effetti della errata percezione della realtà, alla quale hanno contribuito
non solo molti uomini politici, ma quasi tutto il sistema mass mediatico
italiano, sono dirompenti: il 31.8% dei cittadini ha paura ad uscire di casa la
sera, quasi il 42% ricorre a porte blindate e il 12% ha comprato un cane da
guardia opportunamente addestrato (con la logica conseguenza di fare impennare
il numero di morti e feriti ad opera di questi animali da guardia). Naturalmente
la paura viene indirizzata nei confronti del diverso e soprattutto dei soggetti
che di volta in volta finiscono nel tritacarne massmediatico: all'inizio
soprattutto senegalesi e ghanesi, quindi gli albanesi, poi i rumeni e, infine,
gli zingari. E a proposito di questi ultimi, è bene ricordare i risultati di una
indagine della Fondazione Migrantes su quaranta casi di rapimenti attribuiti ai
Rom dal 1987 al 2007: non uno di questi è risultato, alla prova dei fatti, vero.
Si è, come al solito, sbattuto il mostro in prima pagina (l'intero popolo Rom),
“dimenticandosi” poi di smentire la notizia.
Come scrive Zygmunt Bauman, “l’insicurezza odierna assomiglia alla sensazione
che potrebbero provare i passeggeri di un aereo nello scoprire che la cabina di
pilotaggio è vuota, che la voce rassicurante del capitano era soltanto la
ripetizione di un messaggio registrato molto tempo prima. (…)[1]
In breve: al cuore della politica di vita troviamo un desiderio forte e
inestinguibile di sicurezza, ma agire in base a quel desiderio rende
maggiormente insicuri, e sempre più profondamente insicuri[2]”.
A quando un Roosevelt o un Obama anche in Italia?