Direzione didattica di Pavone Canavese

Il dibattito (sulla scuola, ma non solo...) - a cura di Ennio De Marzo

(20.10.2009)

Posto fisso e... lavoratore fesso !

 

C'è una immagine di un noto film di Federico Fellini, “I vitelloni”, che è rimasta nella memoria collettiva di questo paese, quella in cui Alberto Sordi si sporge da una macchina lucida e nera per salutare alcuni operai con il gesto dell'ombrello accompagnato da una pernacchia. Sfortunatamente per lui e chi lo accompagna, ma fortunatamente per la classe operaia nostrana, il mezzo si ingolfa poco dopo e la combriccola di bontemponi rischia il linciaggio.

Il Ministro Tremonti è il responsabile dell'Economia, quella, per intenderci, responsabile dei tagli alla scuola pubblica ed alla pubblica amministrazione più in generale.
Quando ho letto le sue dichiarazioni circa il “valore del posto fisso”, quando ho visto che il Presidente del Consiglio si è detto d'accordo con il suo Ministro, mi sono sentito proprio come quegli operai del film di Fellini: letteralmente preso in giro.
Perché, se si crede veramente nel valore del posto fisso, ci si comporta di conseguenza o, quanto meno, si dichiara (furbescamente magari, ben inteso) di non potere fare altrimenti, di essere costretto dalla particola situazione (la congiuntura magari?) ad operare diversamente.
E invece il Ministro Tremonti, e con lui tutta la maggioranza e non da questa legislatura, ha sempre sostenuto la necessità dei tagli nell'amministrazione pubblica.
D'altro canto, che cosa è la legge 133 (detta appunto “Tremonti”) se non un sistematico piano di tagli alla scuola pubblica?
Che cosa significa questa legge se non che centinaia di migliaia di lavoratori della scuola finiranno in mezzo ad una strada in tre anni (dunque si tratta di un vero e proprio piano)?
E allora che senso ha una dichiarazione del genere?
Lo stesso che aveva il gesto di Alberto Sordi in quel film: una gigantesca presa per i fondelli. Ma l'Italia che assiste a questo spettacolo appare lontana persino da quella degli anni Cinquanta, in cui è ambientato il film, dove, nonostante dieci anni di governo De Gasperi e le bastonate della celere di Scelba, la classe lavoratrice non ha smarrito la propria coscienza né svenduto la propria dignità.
Un'Italia in cui un  uomo nemmeno tanto ricco, ma sicuramente strafottente, un vitellone appunto, che sfila con una bella macchina che non è nemmeno sua non generava certo invidia né, tanto meno, ammirazione nei lavoratori, ma solo indifferenza, almeno fino a quando non si passava alle provocazioni, alle quali immediatamente questi ultimi rispondevano.
Oggi, invece, l'Italia è un paese in cui anche l'ultimo degli operai, anche l'ultimo dei precari, anche l'ultimo dei disoccupati non vede l'ora di rinchiudersi in un tugurio sotto lo stretto controllo di decine di telecamere pur di diventare qualcuno; un paese in cui coloro che si ammazzano di lavoro e pagano le tasse, per non parlare di coloro che si ammazzano per cercare un lavoro, sognano di diventare veline, calciatori, imprenditori soprattutto se scaltri ed allergici alle regole.
Intendiamoci: è assolutamente normale, anzi è praticamente una regola nel nostro paese che i lavoratori debbano pagare, in tempi di crisi come in quelli di crescita economica, con governi di destra così come con quelli di centrosinistra. È così da sempre.
Non è tuttavia normale che un lavoratore venga fatto fesso né, tanto meno, che non reagisca affatto.
E infatti, di fronte alle parole di Tremonti, ci si divide su chi è contrario e chi è favorevole al “mito del posto fisso”, come se una dichiarazione, per risultare credibile, non debba rapportarsi ad i fatti, alla coerenza di chi l'ha pronunciata o anche alle immediate conseguenze.
Basta solo dire che il Ministro che ha pronunciato tali parole è lo stesso che anni fa, di fronte ad un condono fiscale, disse che era l'ultimo.
È bizzarro, poi, che proprio il giorno in cui vengono pronunciate queste parole, la Camera discuta della scuola e soprattutto del cosiddetto decreto “salva precari” (altra gigantesca presa per i fondelli ai danni dei lavoratori: le parole sono pietre amava ripetere Wittgenstein) che stabilisce “per legge” la condizione esistenziale di un essere umano: quello di rimanere precario a vita (se gli va bene).

Naturalmente chi legge starà già pensando al finale: se l'articolo è cominciato con il film, dovrà necessariamente finire con il film e la riscossa dei lavoratori.
Niente affatto. Sarebbe comunque tutto inutile. Prima di tutto perché 'Italia di allora era in bianco e nero e questo favoriva la polarizzazione delle coscienze, evitava i miscugli tra identità differenti mentre quella a colori è un vero e proprio inciucio, una notte dove tutte le vacche sono nere. E poi la risposta degli occupanti della macchina, quella di oggi, sarebbe facilmente prevedibile: “ci avete fraintesi”. Infine perché comunque vada, battuta o non battuta, serietà o ironia, smentita o conferma, a prendersi le bastonate, ma quelle vere, saranno solo, sempre e comunque i lavoratori: i soliti fessi!

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