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Precariato e dintorni - a cura di Paolo Fasce

(02.03.2013)

Un precario Ministro dell'Istruzione
(autointervista a Paolo Fasce )

 

Nel tourbillon delle trattative tra i partiti, e nella liquidità della politica attuale, Paolo Fasce, insegnante precario, coautore di “Pensieri sottobanco – la scuola raccontata alla mia gatta” (Erickson ed.), ispiratore delle “Sfide sul merito” del Comitato Precari Liguri della Scuola e direttore responsabile di “Educazione democratica”, tra il serio e il faceto, tra la provocazione e la convinzione, propone l'idea di vagliare l'ipotesi di un Ministro pescato tra i precari della scuola.

Domanda: Non le sembra assai improbabile che questa proposta venga presa sul serio?
Paolo Fasce: Di certo è così, ma mi risulta che una precaria della scuola, la collega Barbara Evola, sia stata nominata Assessore alla Scuola nel Comune di Palermo. Lo stesso sottosegretario Marco Rossi Doria viene continuamente citato come “maestro di strada”. Il mio curriculum è on line da prima che il MIUR si arrendesse alle nostre richieste di rendere disponibile l'apposita funzione anche per gli insegnanti precari. Tutto sommato, mi sembra degno di nota, ma vediamone anche degli altri! Perché negare la possibilità di un cambio generazionale che dia valore a chi ha frequentato le Scuole di Specializzazione o la Facoltà di Scienze della Formazione per muoversi nella modernità secondo un cambio di paradigma. Sono abbastanza vecchio da non essere più un ingenuo e abbastanza giovane da avere idee innovative di cui la scuola ha bisogno. Barak Obama e Bill Clinton sono diventati Presidenti degli Stati Uniti ad un'età non tanto diversa dalla mia e, in fin dei conti, ho sempre dimostrato di essere una persona seria. Non ho preso l'abilitazione da Avvocato a Reggio Calabria, ma ho raccolto titoli a Genova, Venezia, Pisa e Perugia.

D: Per quale motivo accetta che venga fatto il suo nome?
PF: Non solo il mio, ripeto. Sono tanti gli specializzati SSIS ad avere titoli ed esperienze sufficienti per considerarci dei buoni tecnici. È una questione di competenze. Ogni anno qualche collega di ruolo con un figlio universitario mi chiede “Come si fa a diventare insegnante, oggi?”. La risposta che dobbiamo ancora oggi dare è una sola: “Attraverso un lungo calvario di precariato”. Durante questi anni, lavorando in seno al Comitato Precari Liguri della Scuola, abbiamo incamerato una metodologia che è quella della controproposta. Non è sufficiente, perché non è credibile, osteggiare le decisioni che abbiamo subito in questi anni, è necessario accompagnare sempre la critica ad una proposta ed è quello che abbiamo fatto attraverso le “Sfide sul merito” e la “Proposta scientifica per un veloce assorbimento delle Graduatorie ad Esaurimento” che, per l'80%, è ancora valida e implementabile. Tutto questo è in linea ed è stato sviluppato in rete. Grillo ne sarebbe orgoglioso.

D: A quali condizioni lei sarebbe personalmente disponibile?
PF: Per superare il precariato scolastico occorre lavorare all'interno del paradigma della qualità dell'offerta formativa. Per raggiungere qualche risultato, occorre un governo di legislatura. In tutta onestà, se si raggiungeranno accordi tesi a realizzare questo scopo, sono disponibile. Se invece ci aspetta un governicchio di transizione, allora mi sento di proporre la conferma di almeno due su tre degli attuali inquilini di Viale Trastevere. Non esprimo preferenze, li elenco soltanto: il Ministro Francesco Profumo e i sottosegretari Marco Rossi Doria ed Elena Ugolini. In un tempo così breve potrebbero portare a termine alcuni punti qualificanti del proprio lavoro che sarebbero dispersi con uno “stop and go... and stop” di corto respiro.

D: Cosa intende per “qualità dell'offerta formativa”?
PF: La scuola non è una torre d'avorio, vive in simbiosi con la società che la circonda. Perché funzioni abbisogna di professionisti seri e preparati, ma anche di condivisione e di stima sociale. Stima sociale che gli insegnanti specializzati sono stati capaci di guadagnarsi professionalmente, ma non è sufficiente. Occorre che la scuola non lavori controcorrente e che non si “arrocchi sulla cattedra”. Penso ai tanti colleghi che non hanno mai dato un esame di psicologia dell'età evolutiva, ma penso, soprattutto, alle tante trasmissioni televisive che banalizzano e negano il valore di quello che cerchiamo di fare in classe, per non parlare della pubblicità che fa strame della dignità delle donne. Bisogna rompere le tante ambiguità, anche quelle piccole, che ci assediano ad esempio non si può fare educazione alimentare e accettare le macchinette distributrici di merendine confezionate.
Un provvedimento “extra schola” che vorrei discutere è quello legato all'istituzione di una commissione composta da psicologi e pedagogisti con il compito di stabilire l'orario di trasmissibilità di ogni singolo spot pubblicitario. Non possiamo continuare a vedere promosso ogni genere di prodotto attraverso semplicistici strumenti maschilisti quali “tette e culi” (mi si perdoni il francese), ma neanche attraverso stereotipi e volgarità. Se si vuole che la creatività torni importante, occorre tutelarla. Nichi Vendola ha proposto il Ministero della Creatività, a me piacerebbero tanti piccoli provvedimenti utili.

D: Cosa intederebbe fare, concretamente?
PF: Ci vuole una visione olistica, di sistema e quindi vedo almeno tre gambe: la legislazione, la formazione degli insegnanti, le strutture. Da un lato abbiamo una legislazione avanzata tesa a tutelare l'inclusione, dove i Bisogni Educativi Speciali (BES) vengono affrontati con elevati strumenti legislativi, dall'altra abbiamo una scuola che ha difficoltà ad implementare diverse modalità didattiche che sono possibili solo se immaginate dagli insegnanti stessi e consentite dalle condizioni al contorno. A titolo di esempio sono informato del fatto che, vestendo i panni di funzione strumentale informatica, un collega abbia cercato di implementare un forum sul sito scolastico, ma gliene sia stata imposta la chiusura. I Consigli d'Istituto sono completamente scollegati da logiche di autentica rappresentanza, obiettivo che è possibile raggiungere con spazi virtuali di confronto: il forum d'istituto io lo renderei obbligatorio! Oggi predichiamo in classe la democrazia della Costituzione, ma le nostre dinamiche interne sono asfittiche e tese a tutelare il proprio orticello con ovvi vantaggi di posizione da parte di chi lo presidia da più tempo.
Io lavoro con le tecnologie, semplicemente perché posso appellarmi alla libertà di insegnamento. Nessuno può impedirmi di arrivare in classe col tablet, accendere il router implementato nel mio smartphone e cogliere dalla rete tutto quello che ritengo sinergico alla mia didattica. In termini di sistema, tuttavia, non si può fare didattica con le tecnologie, se le tecnologie sono bandite dalle classi (a meno di non essere superesperti!). Non si può fare inclusione, se non c'è preparazione professionale di tutti i docenti. Non si può fare innovazione se i docenti restano a scuola solo per le ore di lezione. Il mio modello è quello della primaria, dove i docenti hanno 2 ore di programmazione settimanale nelle quali, molto semplicemente, parlano tra loro e si coordinano. Per ovvi motivi di dispersione tra le classi, nella scuola secondaria occorrono 4 ore pomeridiane a scuola per ogni docente entro le quali coordinarsi, mutuamente formarsi, recuperare, progettare. Bisogna quindi lanciare un grande dibattito nazionale a seguito del quale costruire un Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro degli insegnanti che non raccolga più il becero scambio “faccio di meno, perché mi paghi poco”, ma che apra a tutt'altre prospettive.

D: Graduatorie, concorso, TFA, sono i temi spinosi attuali. La sua posizione.
PF: Le Graduatorie ad Esaurimento sono da tutelare, ma finché non ci sarà un serio raccordo tra formazione iniziale e reclutamento, non capisco per quale motivo le nuove generazioni di abilitati tramite il Tirocinio Formativo Attivo dovrebbero essere trattate come “figli di un Dio minore”. Penso ad un piano triennale che domani mattina assuma 50.000 persone sfruttando il polmone patologico dell'organico di fatto e che nei successivi due anni faccia altrettanto entro le logiche di praticabilità dettate dai pensionamenti. Al termine del piano di svuotamento delle graduatorie occorre passare ad un 75% su base concorsuale e 25% su graduatorie alimentate dai TFA che consentano di correggere le distorsioni del sistema di formazione iniziale.
Ritengo l'attuale concorso insensato perché fatto in fretta, allo scopo di potersi vantare di averlo bandito dopo 13 anni, ma solo pochi mesi dei quali sono stati impiegati nella sua predisposizione e organizzazione. Basti pensare che non hanno potuto parteciparvi i primi abilitati tramite i TFA, quindi i giovani sono stati esclusi sistematicamente. Sono reduce dalla prova scritta e... quante teste bianche! Tuttavia sono d'accordo che, a regime, al netto di una formazione iniziale non gonfiata sulle esigenze delle Università (e magari ipertrofica dalle lusinghe elettoralistiche dei “todos abilitados”), la modalità concorsuale ha un suo senso per accelerare l'ingresso degli insegnanti di qualità e potare gli inaccettabili.
Per quel che riguarda i TFA, so di dare un dispiacere a molti colleghi non abilitati, ma ritengo che quelli “speciali” siano esiziali perché sono uno strumento per vendere illusioni, per creare una lunghissima fila che, come per i concorsi del 1999 e del 1990, partorisce assunzioni di sessantenni. I TFA ordinari, invece, mi sembrano uno strumento adeguato ai tempi. Accetterei come soprannumerari tutti i precari con tre anni di anzianità, o già altrimenti abilitati, che superassero le selezioni in ingresso. I primi perché il rispetto per il servizio garantito non può essere superiore alla necessità di un filtro qualitativo in ingresso che va conseguito, i secondi perché non ingrosserebbero le fila dei precari, ma ne allargherebbero l'allocabilità. Beninteso i soprannumerari “single-abilitati” dovrebbero influire sui numeri degli ordinari successivi, ma parimenti non possono cannibalizzarli, quindi andrebbero accettati con una coda che li diluisca nel tempo.

D: Valutazione, lei collabora con l'INVALSI...
PF: Sì, sono abbastanza orgoglioso di fare parte della commissione che predispone il fascicolo di matematica per la seconda della scuola secondaria di secondo grado. E non sono l'unico precario! Il fatto che più di mezzo milioni di persone si confrontino con il mio lavoro (non solo il mio, beninteso), mi fa percepire l'importanza di questo lavoro. Esiste però un colossale fraintendimento sul ruolo dell'INVALSI e sulle prove standardizzate, spesso veicolato da sindacati barricaderi o da ministri ignoranti. È materialmente impossibile collegare un meccanismo di premio/punizione per gli insegnanti sulla base dei risultati delle prove. L'equivoco è nato per il fatto che le prove sono nate nella scuola primaria dove la specializzazione sull'insegnamento non è rigida come nella secondaria, ma per chiarire le cose basta porsi questa domanda: come è possibile valutare un insegnante di tecnologie, musica, storia dell'arte, elettronica, filosofia con le prove standardizzate di italiano e di matematica? E, invero, nella scuola primaria: come è possibile valutare un insegnante di prima, terza e quarta, con le prove somministrate in seconda e quinta? È quindi evidente che le prove standardizzate italiane, come quelle internazionali, sono uno strumento al servizio della scuola, al servizio dell'insegnante. Beninteso lo sono anche al servizio di chi sta in alto e deve dirigere risorse (umane e materiali) e organizzare progetti per fronteggiare le criticità che emergono.
In occasione di un incontro, mi è capitato di sentire il prof. Mauro Palumbo, direttore della Scuola di Dottorato dell'Università di Genova, affermare che “la valutazione è di sinistra”. Sono d'accordo con lui perché il miglioramento dell'offerta formativa, la possibilità di intervenire dove serve, tutela le fasce deboli della popolazione. Io ho in mente la Scuola della Costituzione, la scuola di tutti e per ciascuno. Dall'altro canto occorre coinvolgere gli insegnanti su questi temi, cosa che non è possibile solo con le circolari, ma che potrebbe diventarlo cambiando il CCNL. Nelle quattro ore pomeridiane che propongo di implementare, gli Uffici Scolastici Territoriali potrebbero veicolare formazione sul tema, svelando le potenzialità del monitoraggio esterno della propria utenza. Ma le scuole spesso possono fare da sole, solo che oggi non ne hanno le possibilità. Se io proponessi nella mia un seminario sulle prove INVALSI o sulla didattica mediata dalle tecnologie, i miei colleghi mi direbbero: ma ci pagano? E non avrebbero tutti i torti.

D: Le tecnologie a scuola sono risolutive?
Quando sono diventato insegnante ho sviluppato un percorso personale di formazione sul tema. Immagino che Vygotskij direbbe che questo tema era nella mia “zona di sviluppo prossimale”, perché sono ingegnere elettronico. Ho frequentato il Corso di Perfezionamento “EPICT” e poi l'omonimo Master e ho avuto l'onore di passare tra i formatori. Sono stato anche formatore per ANSAS nei corsi metodologici che hanno introdotto le Lavagne Interattive Multimediali a scuola. Peccato che insegni da due anni in una dove non ci sono... Ad ogni modo, sulla porta dell'Accademia di Platone c'era scritto “Non entri chi non conosce la geometria”, mentre nel mio caso sul portale www.epict.it ho letto: “No alle tecnologie senza un fine pedagogico”. Per usarle efficacemente, occorrono quindi formazione e inclusione che non sia posticcia, mera adesione alla moda. Devo anche dire che l'ingresso delle tecnologie sarà più facile allorquando si ringiovanirà la classe docente, ma al momento mi pare che ci sia una battaglia per non escluderle, a scopo di autotutela degli insegnanti anziani. Io penso che debbano entrare, debba essere possibile a tutti di usarle e, parimenti, di non usarle. La professionalità insegnante si misura anche tramite la propria capacità di valutare gli strumenti a disposizione e di accoglierli e rifiutarli in funzione della loro utilità nel proprio progetto didattico. L'importante è che ci sia una varietà di metodologie offerte a studenti che dovranno trovare ciascuno la propria strada.

D: Grillo vuole il wifi in tutte le scuole.
PF: Sono d'accordo con lui. Viviamo un autentico paradosso. In una scuola povera di tecnologie, noi rinunciamo ad educare i ragazzi ad un uso adulto delle medesime, e le bandiamo. Sono gli studenti a portarle in classe, ma no, noi le vietiamo e lo facciamo con protervia, negando il loro mondo. Io ho segnalato ai miei ragazzi l'applicazione che ci consente di lavorare tutti insieme in un portale didattico nel quale pongo loro questioni e sviluppo quell'individualizzazione che la lezione frontale non può consentire. Mi è capitato di proporre l'installazione a scuola di una rete wifi a questo scopo, ma sono state sollevate eccezioni sul fronte salutistico legato all'inquinamento elettromagnetico. Peccato che più lontana è un'antenna, più gli smartphone che i nostri ragazzi possiedono deve sviluppare potenza per collegarsi ad essa. Idem per il collegamento ad internet. L'inquinamento se lo mettono in tasca e lo producono loro stessi, ma siccome non ne siamo responsabili noi (scuola), allora tutto è formalmente a posto. Possono crepare con un cancro ai testicoli, ma non è imputabile il wifi della scuola. Follia pura. Vorrei invitare Grillo nella mia scuola, per fargli toccare con mano. Ci viene per votare ed è famosa per avere formato Rodolfo Valentino, ma non si è accorto del fatto che non ci sia la rete, che non ci siano le LIM e che tutti i computer siano obsoleti. L'estate scorsa ho lanciato sulla stampa cittadina un appello ai benefattori genovesi perché regalassero delle Lavagne Interattive Multimediali alla scuola dove lavoro. Avrei fatto un corso gratuito di aggiornamento per i colleghi. Purtroppo non ho trovato benefattori, ma non è mai troppo tardi.

D: Norberto Bottani ha appena scritto un libro dal titolo “Requiem per la scuola”, ha commenti in proposito?
PF: Ho avuto la fortuna di incrociare Norberto Bottani ad un seminario della Scuola di Dottorato in valutazione dell'Università di Genova. Ho partecipato al concorso per entrarvi, ma ho fallito. Questo non mi ha impedito di godere della formazione colà erogata. Avevo fallito anche l'ingresso ad un dottorato in robotica bandito dall'IIT, al primo giro nel 2004, ma Marco Rossi Doria ripete spesso che se si perde un concorso, ci si prepara al successivo, e così ho fatto anche io. Il mio mondo è quello delle tecnologie, sono infatti dottorando presso la Scuola di Dottorato in Lingue, culture e tecnologie per l'informazione e la comunicazione dell'Università di Genova. Oltre alle tecnologie, mi piacerebbe parlare di CLIL... ma sto divagando.
Mi hanno colpito alcune affermazioni di Bottani. La prima è che molti insegnanti sono “ingenui volenterosi” e collego quest'affermazione alla mancanza di formazione diffusa. La seconda è relativa alla mancanza nel nostro paese di ricercatori sui temi scolastici che, in altri paesi, sono addirittura reclutati dai centri studi dei sindacati. Altrove si parla di scuola con molta più competenza di quanto si faccia nel nostro paese dove il fatto di essere andati a scuola legittima chiunque a parlarne.
Ma tornando al Requiem di Bottani, mi sento di poter dire che la scuola che possiamo fare in aule e strutture povere è una scuola povera. Per inventarci nuove scuole, occorrono nuovi contenitori, un'autonomia che consenta di prendere decisioni significative sulla propria organizzazione didattica collettiva, la libertà di aderire ad un progetto di scuola da parte degli insegnanti e un CCNL che dia valore al ruolo propulsivo degli insegnanti stessi. Da noi, invece, si taglia il fondo d'istituto per distribuirlo sotto forma di scatti stipendiali (ai quali, nonostante le numerose vittorie in sede giudiziale, i precari non hanno accesso diretto), che verranno poi cancellati al successivo giro di vite dettato dalla crisi.
Da decenni ci sono sperimentazioni come nella Don Milani di Genova (e le sorelle di Milano e Firenze), ma tutto è chiuso tra quelle mura. Un vero peccato.

D: E se le offrissero la poltrona di sottosegretario?
PF: Prima di insegnare mi sono occupato di giochi, un mondo nel quale sono entrato attraverso i giochi di ruolo: Dungeons & Dragons, per intenderci. Forse è per questo che mi è abbastanza naturale sviluppare una didattica inclusiva. Quando facevo il master nei giochi di ruolo, se non ero abbastanza bravo a fare divertire tutti, perdevo giocatori e mi divertivo meno anche io. La gestione di una classe a scuola non è poi tanto diversa. Quest'intervista, tutto sommato, mi riporta alle origini, al gioco di ruolo. Se chi di dovere la leggerà, io avrò già vinto perché non è necessario che sia io a fare le cose che vi ho raccontato, a me basta che qualcuno raccolga il testimone.

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