(02.03.2009)
Calcolo delle probabilità - di Marina Boscaino
I dati sulla quantità di insufficienze alla fine del primo quadrimestre riportati da molti quotidiani odierni sono - per usare un eufemismo - impressionanti, in particolare laddove, come nella scuola media, è stata appena modificatala normativa sulle condizioni per la promozione. Evidentemente la cura Gelmini, l'ambiguità programmatica e strumentale tra rigore e rigidità, tra autoevolezza e autoritarismo, tra serietà e repressione becera sta portando i suoi risultati nefasti. C'è da chiedersi che tipo di scuola media è quella che esprime questi numeri. Quale tipo di idea rimanda all'esterno. Certo non quella dell'inclusione, dell'emancipazione, delle pari opportunità per tutti, della scuola media orientativa e - lo ricordo, almeno lei, obbligatoria - che viene definita dalla nostra Costituzione. Mi chiedo, ancora, quanti insegnanti potranno ascrivere quei numeri a proprio successo;e quanti, viceversa, riconosceranno in essi il segnale di una crisi periocolosissima, di un fallimento inesorabile, che tocca (per il momento teoricamente, ma c'è da credere che questi dati annuncino esiti di fine anno) il successo formativo di ragazzi in età di obbligo scolastico e la vocazione della scuola come luogo di crescita, accoglienza, cittadinanza.
Il ministero dell'Istruzione ha pubblicato nei giorni scorsi i dati a livello nazionale relativi agli esiti degli scrutini del I quadrimestre degli studenti della secondaria di II grado: meno agghiaccianti di quelli parziali appena rievocati, ma pur sempre indicativi di una serie di scelte che hanno inficiato definitivamente la dimensione culturale ed educativa della scuola pubblica. Il 72% degli studenti italiani ha riportato almeno un'insufficienza, contro il 70.3% degllo scorso anno. Evidentemente la panacea di tutti i mali, il recupero, ai cui trionfali risultati faceva riferimento la circolare giunta nelle scuole per avvertirle che i fondi a disposizione ad esso destinati erano molti meno di quelli annunciati, si è rivelata in realtà una strategia non vincente. Guarda caso, i "somari" sono particolarmente presenti nei professionali (80% di insufficienze) e al Centro Sud (74%): che strana coincidenza. Perché - a ben guardare - seguono nella coda della classifica gli studenti degli istituti tecnici (78.1%): la scuola della selezione (e dell'espulsione) sulla base della provenienza sociale svolge perfettamente il suo ruolo. Basta pensare, ad esempio, che il 40% degli alunni del professionale sono migranti. E non si sta dicendo nulla di nuovo. Sono dati e rapporti che - mutatis mutandis - si ripetono e si ripropongono da quando si è deciso di rendere l'istruzione tecnico professionale (soprattutto quest'ultima) il modo attraverso il quale ci si nettava la coscienza (sporca), orientando in quelle scuole i più deboli e non attrezzandole - dal punto di vista culturale, didattico, pedagogico e della relazione educativa - di risorse che le rendessero qualcosa di diverso dall'anticamera pelosa della dispersione. Come peraltro questi dati ben evidenziano. Un danno immenso per il Paese. Perché si è così definitivamente rinunciato a ottimizzare le caratteristiche di quei percorsi scolastici, che molto potevano offrire se organizzati su una ratio differente rispetto a quella dell'apertura progressivamente sempre più massiccia alla formazione professionale. Le bozze di regolamento sui quadri orario delle superiori licenziati da Gelmini parlano addirittura di una quota di autonomia che nell'ultimo anno del professionale arriva al 45%. Vuol dire far stare in classe i ragazzi solo 15-16 ore a settimana.
E poi c'è il 5 in condotta. 34.311 sono stati gli studenti che hanno conseguito questa valutazione e - ancora una volta - i "cattivacci" si trovano, guarda un po', misteriosamente concentrati nei professionali e prevalentemente al Sud. Seguono i "cugini buoni" dei tecnici. Staremo a vedere quanto questa sanzione inciderà realmente sui comportamenti di ragazzi che - per arrivare a prendere un'insufficienza - seguono stili di vita e di condotta evidentemente fuori da qualunque standard positivo. E la scuola che fa? Certifica e si libera del problema, allontanandolo.
Nella totale crisi dell'offerta educativa e nella debacle del successo formativo, nell'incapacità della scuola oggi di proporre chiavi di lettura valide per rispondere a queste inquietanti proiezioni, diverse dalla semplice constatazione che "non tutti sono nati per studiare", i fondi destinati alla riparazione dei debiti e al recupero scolastico sono scesi di 35 milioni rispetto ai 288.010.000 euro dello scorso anno. Sempre che le "promesse" vengano mantenute. Un calo che corrisponde al 12% in meno dell'attività, pari a 30.000 corsi. Contemporaneamente l'Istat ci informa che l'Italia si trova al terz'ultimo posto nella spesa per l'istruzione nei paesi UE: un dato del 2007, che non tiene conto delle falcidie del governo Berlusconi. Si tratta(va) del 9.6% della spesa complessiva, contro il 10.5% della media europea. Tenendo presente che nel prossimo triennio si verificherà un taglio di 8 miliardi nella scuola e di 1.5 nell'università, su un totale di 71 miliardi
Incrociando le cifre, i conti non tornano. La funzione formativa, educativa, inclusiva ed emancipante della scuola neppure. Viviamo in un Paese che stenta a considerare la spesa per l'Istruzione un investimento per il proprio futuro. Che non ritiene necessario fornire a tutti i suoi cittadini pari opportunità per uscire nel mondo e vivere consapevolmente e criticamente la propria cittadinanza. Che preferisce perseguire logiche punitive e sanzionatorie piuttosto che procedere a rivedere meccanismi scleorotizzati da decenni di inerzia. Che assiste spesso alla dilapidazione di fondi anche consistenti (per i PON, per le tecnologie) sposando una logica di disimpegno culturale ed etico. C'è da giurare che così non si va da nessuna parte. O meglio. I figli dei ricchi andranno dove la loro nascita li porta. Gli altri saranno sempre più soli, sempre meno cittadini, sempre più dispersi nella dispersione.