(02.01.2012)
Frequenze all'asta - di Marina Boscaino
La glasnost del ministro Profumo sembra che cominci a dare i propri frutti. La scuola in cifre, banca dati del Miur, oscurata da Gelmini e dal suo strategico consigliere Max Bruschi, è stata riattivata dal nuovo inquilino di Viale Trastevere. In Italia la percentuale delle scuole statali sul totale degli istituti è del 74.6%, ma la scuola statale è frequentata dal 87.6% della popolazione scolastica.
Quei dati sono stati occasione di un’interessante inchiesta di “Repubblica” sulle scuole paritarie.
Se in Italia tre scuole su quattro sono pubbliche (il 24,1% del totale), a Caserta, provincia record per assenza di istruzione statale, su ogni tre istituti, due sono paritari. Che cosa vuol dire esattamente?
La legge 62/2000 – dopo lunga e faticosa trattativa tra i componenti dell’allora Ulivo, in cui spiccava una consistente rappresentanza di Popolari, cattolici riformisti, desiderosi di restituire agli istituti confessionali un ruolo prioritario sul piano dell’istruzione nazionale – al comma 4 riconosce la parità scolastica a quegli istituti che ne facciano richiesta e che abbiano:
a) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;
b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;
c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;
d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare;
e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio;
f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;
g) personale docente fornito del titolo di abilitazione;
h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore.
Si tratta di una norma che ha fatto discutere ed è destinata a far discutere a lungo. Innanzitutto per lo stravolgimento e la manipolazione che – con il passare del tempo – se ne è fatto, trasformando il dettato dell’art 33 della Costituzione - “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” - in un anomalo quanto continuo finanziamento dello Stato a favore delle paritarie. Tanto più clamoroso, quanto più mantenuto inalterato negli ultimi anni, quando il combinato tra la “riforma” Gelmini e la crisi economica ha abbattuto i finanziamenti a favore della scuola statale. Ma non solo.
In Italia la percentuale delle scuole statali sul totale degli istituti è del 74.6%, ma la scuola statale è frequentata dal 87.6% della popolazione scolastica. Il 93,3% degli alunni delle statali viene ammesso all’Esame di Stato, contro il 96,1% delle paritarie. Grande polemica, soprattutto quest’anno, quando è stato previsto un drastico irrigidimento della normativa per accedere alla lode (e proprio a causa del profluvio di lodi uscite dalle scuole meridionali e dalle scuole paritarie), rispetto al 100 e lode all’esame di maturità: 504 in Campania contro i 280 lombardi e i 373 laziali. I conti, le proporzioni non tornano. O meglio, a ben guardare, configurano un’anomalia clamorosa.
In Campania le scuole statali sono 217, contro le quasi 400 paritarie. Un business alla faccia del contribuente. Gli oneri per lo Stato ci sono eccome, e non solo in termini economici, come dimostra l’inchiesta di Repubblica. Per esempio, per la conseguente devoluzione di diritti, in primis diritto al lavoro tutelato da norme riconosciute e condivise.
Scempi pseudo-contrattuali o addirittura in nero, che fanno leva sulla necessità di lavorare di tante persone. Assenza di contributi, condizioni di lavoro infamanti, spesso collusione con la camorra.
I gestori, qui, sono veri e propri imprenditori, che hanno capito come guadagnare facilmente su un bene evergreen: il recupero di anni scolastici, la promozione facile. Spesso rette non proibitive per i praticanti della scorciatoia, un investimento sul numero di utenti; la qualità, un optional. In Campania il fenomeno della “piramide rovesciata” – l’incremento progressivo delle iscrizioni alle ultime classi della scuola secondaria di II grado e il boom incontrollabile nelle classi di uscita - è una fenomeno gestito e tesaurizzato da questi manager dell’istruzione “fai da te”, soldi e promozioni facili.
Viviamo in un clima ovattato non solo dalle feste ma dallo spread, che domina portafogli, menti e coscienze.
L’inchiesta di Repubblica non ha suscitato il clamore che avrebbe meritato. Si tratta di un vero e proprio Stato nello Stato, di una scuola nella scuola – anche se l’uso di questa parola nobile è troppo stridente rispetto ai racconti degli intervistati nel corso dell’inchiesta, protetti dall’anonimato - di un sistema istituzionalizzato di alternativa di basso profilo ed alta redditività. Sull’istruzione, sull’educazione dei ragazzi, sulla cittadinanza.
È un fenomeno gravissimo e scandaloso. Portato alla luce nell’indifferenza generale. Eppure quelle scuole erogano titoli e licenziano studenti esattamente come le scuole statali o come quelle paritarie che effettivamente rispondono ai requisiti della norma. Davanti ad una situazione tanto drammatica, cifre alla mano e fatte le dovute verifiche, occorrerebbe davvero un’unità di crisi dedicata, un intervento mirato per sradicare un malcostume aberrante davanti al quale le promesse di più matematica, valutazione e tecnologie avanzate – i must del nuovo ministro – appaiono deboli orpelli retorici, rimozioni velleitarie di una realtà sconcertante. Qui non si tratta di scuole a marce diverse, quanti sono i sistemi regionali e le condizioni in cui essi si sono sviluppati. Quanto della devoluzione – in nome di una norma criticabile già nei suoi presupposti – di un mandato alto e nobile, quale quello che la Costituzione affida alla scuola, ad un gruppo di più o meno spregiudicati affaristi che spesso con quel mandato e quella funzione non hanno nulla a che fare. Cosa si aspetta ad intervenire?