Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(16.10.2011)

Svalutation di Marina Boscaino

"Non mi sono mai compiaciuta dell'aumento dei bocciati, non sono così sciocca". Così la inusitatamente logorroica Gelmini: new style dopo l’allontanamento di Zennaro e la sconcertante sequenza di gaffes del prima-dopo la tunnel-story che ha rallegrato il monotono tran tran (tutto tagli, rivendicazioni, contestazioni, denunce) della comunicazione sulle questioni di politica scolastica.

 

Non è vero.

 

Non posso pronunciarmi sul fatto che Gelmini sia sciocca o meno (ma qualche idea l’avrei). Posso però testimoniare che, se proprio non compiaciuta per il numero di bocciati, il ministro abbia investito molto della sua precedente identità di lady di ferro dell’istruzione proprio sulla rivendicazione di una politica che avrebbe avuto nel calo dei promossi la prova della propria efficacia.
Dopo la notizia che sempre Zennaro (che tuttavia rimane tenacemente e impunemente direttore generale del Miur) avesse taroccato i dati relativi agli esiti, il Corriere della Sera
e alcuni siti significativi nel mondo scolastico hanno sottolineato che da qualche anno il Miur non pubblica con la dovuta tempestività e precisione i dati relativi all’esito dell’anno scolastico.

Ed ecco, la scorsa settimana, l’epifania, per quanto relativa solo al 94% dei candidati: un po’ poco, considerati i 3 mesi che sono passati dalla chiusura dell’a.s. 2010-11, e i criteri di management e trasparenza ai quali il ministero sostiene di ispirarsi.

 

Non sono un’appassionata di numeri di questo tipo: sappiamo bene quanto quello della valutazione rappresenti un campo vischioso e sottoposto ad una serie di variabili che non sono in grado di dire granché su nulla. I dati sono stati ben rappresentati molte volte in questi giorni e qui potete trovarli.

 

Appare dunque, a maggior ragione, del tutto pretestuosa la pretesa di rappresentare attraverso i promossi e i bocciati di un anno scolastico l’efficacia delle politiche applicate alla scuola. Come è stato ampiamente sottolineato, dopo il boom di rigore del primo anno della gestione Gelmini, il 2009, i numeri si sono riassestati su cifre meno penalizzanti per i ragazzi. Cosa vuol dire?
Il profluvio di normativa piovuto sulla scuola italiana, poi confluito nel Dpr 122/09 che negli ultimi anni ha impresso alla valutazione un giro di vite non è corrisposto in nessun caso ad un miglioramento del processo di insegnamento-apprendimento. La scuola italiana è stata semplicemente messa nelle condizioni di cercare modi di eludere regole la cui rigidità non trova secondo molti alcun rispecchiamento nelle finalità della scuola. L’impressione è: c’era bisogno di rigore e selezione di facciata, quelle norme rimandano a questa esigenza. Niente di più. E tutto è, più o meno, continuato come prima. E del resto Gelmini stessa non ne aveva fatto mistero.

 

Due esempi per tutti: la non ammissione all’esame di Stato degli alunni che non abbiano conseguito la sufficienza in tutte le discipline. Crediamo davvero che applicare rigidamente questa norma serva a migliorare la qualità e il livello di preparazione dei nostri studenti? O forse, come di fatto è accaduto, la norma non ha fatto altro che spingere molti insegnanti a modificare la valutazione in sede di scrutinio per rendere il risultato e lo studente ammissibili? Quanti di voi se la sono sentita di votare la non ammissione di uno studente con 5 in una disciplina? Non sarebbe più corretta una valutazione del livello di preparazione globale, che segnali l’eventuale criticità e non pregiudichi definitivamente l’accesso all’esame, ulteriore passo per appurare se lo studente ha acquisito livelli di conoscenze, competenze e abilità adeguate per poter essere licenziato dalla scuola?


Il secondo elemento: la necessità di calmierare la pioggia di 100 e lode che vengono assegnati nelle regioni del Sud ha implicato una normativa assolutamente irrazionale e soprattutto non rispettosa dei tempi di apprendimento differenziati tra ragazzo e ragazzo. Per prendere 100 e lode, oggi, occorre avere un cursus honorum ai limiti delle possibilità umane: una votazione non inferiore all’8 in tutte le discipline alla conclusione dei precedenti anni del triennio; il massimo in tutte le prove dell’esame di Stato. Siamo davvero convinti, ad esempio, che uno studente dal percorso brillantissimo (quello indicato dalla normativa, appunto) che prenda 14 alla versione di greco e mantenga il livello eccellente nelle altre prove non debba avere la possibilità di accedere alla lode? Siamo ugualmente certi che un ragazzo che al terzo anno abbia avuto un 7 e abbia poi conseguito tutti i risultati indicati sia meno degno di lode?


La disomogeneità di valutazione tra regione e regione e – persino – tra scuola e scuola dovrebbe sconsigliare rigidità che non hanno senso, soprattutto se applicati all’apprendimento e alla maturazione di individui in formazione. Allo stesso modo, gli esiti decisamente più lusinghieri che si registrano nel liceo classico – dove la popolazione scolastica è la più selezionata, socialmente e culturalmente – rispetto a tutti gli altri segmenti dell’istruzione (il maggior numero di 60 si registra, guarda caso, ai professionali) dovrebbe far riflettere sulla sempiterna tendenza pseudo democratica di fare, come diceva don Milani, parti uguali tra diversi.


In conclusione: come ci spiegano i dati, non è con un’operazione di restyling di facciata che si sanano i moltissimi problemi della scuola italiana.

 

Che gli apprendimenti dei ragazzi siano in caduta libera; dalle capacità di letto-scrittura alla capacità di comprendere un testo, tutto conferma il problema di una scuola che non riesce più a rispondere in maniera efficace alla complessità  e alla diversità, le due cifre fondamentali del nostro oggi. Una necessaria revisione dei paradigmi epistemologici delle discipline e uno stop ai tagli di sapere (orari e insegnanti) porterebbero certamente ad un’inversione di tendenza sostanziale. Questo governo, pare, non ha né voglia né tempo per occuparsi di simili particolari: è troppo impegnato a distruggere la scuola. E a rinunciare programmaticamente a qualsiasi forma di investimento culturalmente significativo (lo studio, ad esempio, questo sconosciuto…) relativo alla scuola. Affogando in una asfittica gestione burocratica, dove l’ultimo “consigliere” o ”esperto” di turno hanno voce in capitolo; mentre 700mila lavoratori, che quotidianamente riempiono le scuole, sono stati (e hanno accettato di essere) messi in una condizione di esecutività acritica. In attesa del prossimo Invalsi-capitolo, su cui le opinionidivergono.

 

 

 

 

 

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