Direzione didattica di Pavone Canavese


 

(05.06.2011)

Bravate amministrative - di Marina Boscaino

Tra una sentenza di un  Tar e l’altra, il percorso della Gelmini è sempre più complicato. Stanno venendo al pettine i nodi di una gestione allegra non certo per ciò che concerne investimenti e risorse, quanto una visione della legge come frutto di un’improvvisazione totalmente ignara (o incurante) delle norme e delle procedure che formalizzano la legittimità e la legalità secondo il nostro ordinamento. Per loro sembra trattarsi di una questione di lana caprina: qualcosa esiste o no – un principio, una condizione, un diritto o un dovere, sia essa l’obbligatorità dei test Invalsi, sia essa la cosiddetta riforma – perché la nominano, non perché sia frutto di una legge. E così era già successo che il Tar della Sardegna - su ricorso del Cobas - si pronunciasse in merito all’obbligatorietà non delle prove, ma della convocazione del collegio a carico di una dirigente che non voleva inserire all’o.d.g. apposito punto sull’Invalsi, temendo una delibera contraria alla somministrazione e correzione delle ormai famosissime prove.  


Gli sviluppi della vicenda hanno fatto sì che – alla dirigente che pretendeva di imporre giorni di sospensione ai docenti che si erano sottratti – dopo ben 2 collegi convocati e 2 delibere, contrarie all’affaire Invalsi -  abbia risposto il direttore dell’URS Sardegna, indicando il “non luogo a procedere” contro i disobbedienti (inserire art. in PDF). Dal Tar della Sardegna al Tar del Lazio. Ci troviamo in una situazione ancor più paradossale. Quel tribunale, in data 14 aprile, ha di fatto annullato i decreti sugli organici del 2009 e del 2010, considerandoli illegittima la tendenza della Gelmini a legiferare attraverso circolari. Nonostante ciò, tutto rimane immutato: chi – in seguito a quei decreti – ha perso il lavoro continua a stare a casa; i ragazzi dell’istituto tecnico e del professionale, che nelle classi intermedie hanno visto il loro orario diminuito rispetto a quello garantito al momento dell’iscrizione dall’ordinamento scolastico, rimangono con meno ore.

 


Ma l’Associazione Per la Scuola della Repubblica – che ha organizzato il ricorso, patrocinato dagli avvocati Fata, Mauceri e Virgilio – non cessa di richiedere la certezza del diritto e il rispetto delle legittime procedure, nonché delle sentenze.


In data 28 maggio è stato notificato al Tar del Lazio un  ricorso sottoscritto da oltre 2000 persone (genitori, docenti, Ata e studenti): mai come quest’anno la mobilitazione per la raccolta delle firme ha dato buoni frutti. Si ricorre contro la CM 21 del 14/3/11, che determina l’ultima tranche della razzia ideata con la legge 133/08, che doveva apportare nel corso del triennio seguente un taglio di circa 140mila posti di lavoro. Ci siamo, sta per essere portato a termine. Con la CM 21 si annullano 20mila posti da docente e 14mila posti Ata: la “cura da cavallo per la scuola”,  annunciata nel giugno 2008 da Tremonti e Gelmini, si chiude con questa fase, ma già si annunciano ritocchi per renderla ancora più “efficace”.

Quello che molti di noi pensano – considerato l’impegno che profondiamo per portare avanti battaglie sull’esigibilità dei diritti e dell’interesse generale – è che queste vittorie (calpestate, ignorate, sottovalutate) – insieme alle molte altre che si sono determinate attraverso sentenze di tribunali - prima o poi avranno il proprio peso concreto e segneranno il momento di non ritorno nella gestione pedestre che l’attuale ministro sta imponendo alla scuola. In linea più generale, però, continuiamo a stupirci e a rammaricarci del fatto che la gran parte degli Enti Locali – danneggiati direttamente da provvedimenti che penalizzano le scuole statali e affidano alle comunità locali la gestione di una situazione economica a volte insostenibile, scaricando loro i  costi dell’istruzione di competenza statale – non abbiano seguito l’esempio delle province di Bologna, Perugia, Pistoia, Cosenza e Vibo Valentia e dei comuni che sono intervenuto “ad adiuvandum”.

Perché tanta resistenza? Perché non rivendicare in prima persona la sottrazione d’ufficio di prerogative da parte del ministero? Perché non intervenire, facendosi interpreti di un’esigenza così diffusa e di un così imponente richiamo alla legittimità delle procedure? Affidare ai tribunali la determinazione di questioni che hanno una ratio di carattere strettamente politico è una delega che indebolisce il sistema democratico. Questi gli interrogativi: una risposta invece di un’altra tra quelle possibili, potrà far comprendere se nel nostro Paese è venuto finalmente il motivo di ripensare ad una cura per la scuola pubblica e per l’interesse generale “senza se e senza ma” da parte di tutti coloro che si collocano “a sinistra”. O se – come purtroppo pare – esistono strategie, calcoli, opportunità che non consentono di appoggiare alla luce del sole, senza riserve e con convinzione, azioni di richiamo intransigente alla norma democratica, al diritto al lavoro, al diritto allo studio e all’apprendimento garantiti per tutti, alla scuola della Repubblica come strumento di emancipazione sociale e culturale.

Aspettiamo con ansia che queste spiacevoli impressioni vengano smentite..
 

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