(31.01.2010)
E lo chiamano unitario... - di Marina Boscaino
Perché la classe politica e alcune istituzioni del nostro Paese continuano a
pensare di avere davanti degli analfabeti, gente incapace di comprendere il
significato delle parole? Beh, è vero. Gli insegnanti, specie quelli delle
superiori, compresi i dirigenti scolastici - in questo caso ancor più colpevoli,
considerata la loro funzione istituzionale - non brillano, di questi tempi, per
il proprio spirito analitico. Il TG1 dice: “E’ passata la riforma”; e giù, tutti
a ripeterlo, ad attivare quadri-orario fantasma, a millantare credito in sede di
orientamento scolastico, raccontando una
scuola che (ancora) non c’è. E che, quando ci sarà, sarà il frutto di un
dilettantesco tentativo di risolvere nodi fondamentali per rispondere
positivamente ai diktat di Tremonti.
Nella cosiddetta riforma Gelmini esistono alcuni elementi talmente critici che
non potranno provocare conseguenze estremamente negative nel sistema scolastico
italiano e nel Paese tutto. Tra questi, occupa certamente un ruolo di rilievo il
fatto che i quadri orario che si trovano in giro (doverosamente faccio
riferimento a quelli pubblicato l’8 gennaio, gli unici ufficiali, ma negli
ultimi 20 giorni sono circolate bozze ufficiose e si sono moltiplicate voci
differenti, che comunque non intervengono sul problema che voglio qui
evidenziare) distruggono definitivamente qualsiasi idea di biennio unitario: un
biennio, cioè, che - attraverso una quota di discipline (materie) comuni a tutti
e una quota “vocazionale” - assicuri un analogo profilo di uscita, che significa
stesse competenze e stesse conoscenze per i quindicenni italiani: il requisito
fondamentale per un effettivo innalzamento dell’obbligo.
Di conseguenza al biennio unitario, anche quello dell’innalzamento dell’obbligo
scolastico è un problema ormai archiviato da questi regolamenti. Ma l’arroganza
di continuare a fare riferimento – nelle stesse bozze – ad entrambi questi temi,
come se, invece, facessero parte fondamentale degli obiettivi, invece che il
realizzo del risparmio indicato dalla Finanziaria 2008 di Tremonti per il
prossimo anno scolastico, dovrebbe farci riflettere. Innanzitutto su quanto il
mondo della scuola si sia mostrato condiscendente, talvolta prono, ad accogliere
i proclami ministeriali come oro colato. Su quanto si sia allontanato dalla
ricerca di un ruolo attivo nella determinazione del proprio destino di categoria
e dei destini della scuola tutta: nei collegi docente pochi si sono presi la
briga di scaricare il testo della proposta/imposta del famoso “riordino e
semplificazione” della scuola superiore. Le sorti dei precari non sembrano
essere preoccupazione di chi si sente (spesso erroneamente, dal momento che le
ripercussioni dei tagli rischiano di produrre un vero e proprio effetto
boomerang) al sicuro. Su quanto ci siamo allontanati dalla capacità di
indignarci e di reagire al fatto che ci viene chiesto di propagandare
ordinamenti che non sono ancora legge come se lo fossero. Su quanto poco si sia
riitenuta offensiva la proposta di una “riforma” della scuola determinata da una
legge di taglio economico (133/08) e la cui elaborazione non abbia previsto
alcun ascolto del mondo della scuola.
Ma torniamo al biennio. L’altro ieri, accingendomi a organizzare le slides per
un convegno cui dovevo partecipare, ho aggiornato sui quadri orario dell’8
gennaio un calcolo che avevo già effettuato rispetto alla precedenti bozze. Ecco
il risultato:
LS1, 2, 3 = Lingua straniera
La tabella indica quale percentuale rispetto all’orario complessivo dei primi
due anni di liceo avranno le ore del gruppo delle materie letterarie e quello
delle materie scientifiche. Come è evidente,
le bozze prevedono una distribuzione molto disomogenea delle ore in
ambito linguistico e in quello scientifico: le due aree che dovrebbero – in un
progetto di biennio unitario – essere simili per tutti gli indirizzi.
Tale eterogeneità porta come prima conseguenza l’impossibilità di
attivare delle passerelle: la scelta della scuola superiore, persino
all’interno della sola istruzione liceale, appare irreversibile, tale da
non permettere ripensamenti. Inutile immaginare, fidatevi, passaggi
dall’istruzione tecnico-professionale al liceo!
È evidente che ciò avrà una ricaduta esiziale sul ritardo scolastico,
sull’insuccesso, sui debiti e si rifletterà negativamente sulla possibilità che
le scuole avranno di fornire risposte significative a queste problematiche.
Di fatto siamo al cospetto di 7 bienni (ricordiamo che teoricamente si
dovrebbe trattare di scuola dell’obbligo) tutti profondamente differenti l’uno
dall’altro, evidentemente con profili degli studenti in uscita tutti nettamente
caratterizzati in direzioni non unitarie, ma profondamente divaricate.
Bene, anzi male. Hanno deciso così, ne hanno la facoltà. Hanno depotenziato
un’idea forte, democratica e inclusiva – un biennio
articolato su una quote di discipline obbligatorie e una quota di indirizzo –
che avrebbe potuto consentire un processo di elaborazione del mondo della scuola
sull'acquisizione di conoscenze e competenze comuni e omologhe per tutti i
ragazzi di 15 anni, la definizione di competenze trasversali, un profilo di
uscita comune dal biennio che licenziasse, qualunque ne fosse il destino -
lavorativo o di studio - cittadini più consapevoli, colti, critici, attrezzati
in maniera analoga ad affrontare – attraverso gli strumenti offerti dalle
discipline e la mediazione del dialogo educativo – gli impegni futuri. La
finalità che muove i bienni orientativi di tutti i paesi dell’Unione Europea,
tutti rigorosamente obbligatori, tutti individuati secondo questo obiettivo.
Siamo rimasti ultimi, in Europa. Ma non c’è sorpresa: i nostri governanti sanno
fare bene il proprio lavoro, non si lasciano sfuggire niente.
Ma perché spingersi nella provocazione al punto da alludere ed evocare
continuamente il “biennio unitario” nelle bozze? Perché parlare di
"valorizzazione degli intrecci tra gli assi culturali nel biennio", pur sapendo
di non aver stanziato un euro di risorsa aggiuntiva finalizzata a questo scopo,
peraltro solo teorico, come dimostrano i quadri-orario? Perché, infine, ignorare
i reiterati richiami che qualunque organismo istituzionale (persino le
commissioni parlamentari, composte prevalentemente da esponenti della
maggioranza) abbia dato parere sulle bozze di regolamento ha espresso, a
proposito del mancato biennio unitario?
Esiste, in quel che di reale rimane nell’opposizione di questo Paese, qualcuno
in grado di cogliere il senso di dissipazione culturale che una simile scelta
comporta, voglio sperarlo; qualcuno che voglia cogliere il progetto di
impoverimento della scuola, non solo quanto a risorse economiche, ma anche nella
forza emancipante della sua funzione costituzionale. Qualcuno in grado di
abbandonare miopi difese pretestuose di un operato che in passato, quando si
stava al governo, ha trattato o lasciato
trattare la scuola pubblica con un rispetto e un’attenzione inferiori a quelle
che meritavano. E che, di conseguenza, è in grado di riconoscere in questa
deriva sterile le conseguenze di ciò che non è stato fatto o non è stato fatto
bene in passato.
A queste persone la scuola democratica può provare a rivolgersi. Perché la
verità e che si può essere motivati, battaglieri, preparati. Ma la forza
straripante dei numeri e dell’arroganza di questo Governo mettono tutto a
tacere. La mancanza di una rappresentanza parlamentare che si faccia carico di
dare voce alle istanze di chi continua a dire no, motivando con lo studio e
l’analisi il proprio dissenso, vanifica gli sforzi, moltiplica la frustrazione.
Speriamo che qualcuno batta un colpo.