(08.02.2009)
La matematica è un'opinione (politica) - di Marina
Boscaino
Il
regolamento sul dimensionamento è andato a toccare un problema che in
qualche modo doveva essere affrontato: la necessità di razionalizzare il numero
dei luoghi di erogazione del
servizio scolastico. Il punto è che nella razionalizzazione devono essere tenute
in conto alcune specificità che non possono essere ignorate in nome della
semplice logica del risparmio.
La disomogeneità del nostro territorio impone scelte e
valutazioni addirittura situazione per situazione. E non è un caso che in
Conferenza Unificata Stato-Regioni i più accaniti oppositori siano
stati i rappresentanti degli enti locali di zone con caratteristiche particolari.
È innegabile e di semplice buon senso che chiudere una scuola con pochi alunni a
Roma, a Torino, a Palermo o a Napoli sia – da questo punto di vista -
molto differente che chiuderla in un comune di montagna, in zone
particolarmente periferiche del Paese, in una piccola isola. Perché in quei casi,
oltre al danno direttamente agli studenti, obbligati a sottoporsi a condizioni
di vita proibitive per raggiungere la scuola più vicina e a una deroga alla
Costituzione, si crea un danno alla
comunità tutta.
Non sarà mai sufficientemente sottolineata la funzione sociale e di
socializzazione che la scuola può assumere in determinati contesti. Questo
valore aggiunto – come tanti altri, non direttamente legati alla ragionieristica
logica delle entrate-uscite cui si attengono pedissequamente Tremonti e la sua
vestale Gelmini – rappresenta una valorizzazione per territori, collettività,
comunità.
Dunque nel tormentone sul rapporto insegnanti-alunni, sul quale si esercitano
più o meno periodicamente i nostri governanti (e che è una delle rationes della
legge 133)
bisogna tenere presente che i numeri parlano, ma possono dire quello che noi
vogliamo. “La cura da cavallo inevitabile per la scuola”, parole di Gelmini, (taglio
di 140.000 posti di lavoro, impoverimento scandaloso dell’offerta formativa,
annullamento dell’obbligo di istruzione rinnalzato, ghettizzazione definitiva
degli alunni con criticità, precari allo sbaraglio) troverebbe una delle sue
necessità nel fatto che gli insegnanti sono troppi rispetto al numero di alunni.
Già nell’autunno del 2007 il
Quaderno Bianco sulla scuola sottolineava questa criticità del sistema,
una lettura in voga sostenuta e incoraggiata da benpensanti (spesso sedicenti di
sinistra), più o meno ignoranti: la pubblicazione rivelava che su 100 studenti
della primaria ai 5.3 docenti area Ocse corrispondono in Italia 9.3 insegnanti.
Nella secondaria di I grado 9.7 per l’Italia contro i 7.3 Ocse. Nella secondaria
superiore 8.7 per l’Italia e 7.9 Ocse. Ma allora lo spreco esiste davvero. E la
cura da cavallo non è poi così ingiusta ed arbitraria.
Ma nel battere i tacchi e mettersi sull’attenti rispetto alle esternazioni
improvvisate di governi (“amici” o meno che siano) occorre provare ad
informarsi, se studiare è una parola troppo grossa
Nell’anno scolastico 2005-2006 i posti di insegnante statale in Organico di
Diritto sono stati complessivamente 737.250, di cui 48.607 di sostegno (fonte
MPI). Ed ecco il primo punto: nel resto dell’Europa gli alunni diversamente
abili frequentano scuole speciali.
Gli operatori che se ne occupano non vanno ad aumentare il numero dei docenti.
Solo in
Francia per questi ragazzi viene destinato un organico di 280.000 operatori
sociali, che appartengono comunque ad amministrazioni diverse dalla scuola e da
esse vengono pagati.
Sarebbe significativo poter continuare a pensare alla nostra legge – una delle
più moderne, inclusive, garanti delle pari opportunità – come ad una punta di
diamante del nostro sistema scolastico e non come ad un capestro che determina
una lettura strumentale e capziosa dei numeri. Non stento a pensare che molti di
coloro che ci governano (considerando il loro atteggiamento verso le presunte “diversità”)
preferirebbero confinare - esattamente come
accade, ad esempio, in Germania - bambini e ragazzi diversamente abili in
strutture parasanitarie.
Rispetto alla cifra complessiva dei posti in organico di diritto va considerata
un’altra "anomalia" - questa volta, al contrario, discutibilissima - del nostro
sistema: si tratta dei 25.679
insegnanti di religione cattolica (di cui 14.670 di ruolo), che altri paesi - in
cui l’egemonia politico-culturale della chiesa non è preminente e la laicità
della scuola e dello Stato sono un valore realmente fondante (si pensi ai
recenti interventi di Merkel e di alcuni suoi ministri sull’operato di Benedetto
XVI) - non hanno l’onere e l'onore di conteggiare nel numero dei propri
insegnanti.
L’eterogeneità del nostro territorio, infine, rappresenta un ulteriore elemento
che altera il rapporto, ma di cui si continua a non tener conto. Certo, sarebbe
forse conveniente lasciare i bambini di Pantelleria, Tremiti, Lampedusa o dei
tanti comuni alpestri privi di scuole. Ma, fortunatamente, esiste ancora una
norma sull’obbligatorietà dell’istruzione che
prevede l’istituzione di scuole e classi in quel tipo di territori.
Altro discorso artatamente ignorato è la considerazione del tempo pieno. Ma anche su quello Tremonti &C ci stanno dando convincenti saggi dell’alta valutazione che hanno di questa organizzazione didattico-oraria: tale è in Italia la scuola dell’infanzia (8 ore), con un numero doppio di insegnanti rispetto ai paesi con la metà delle ore. Da noi circa il 35% della scuola primaria si avvale del tempo pieno. È per questo che non bisogna mollare e resistere agli evidenti tentativi di smantellamento.