(17.05.2009)
Istituti di credito - di Marina Boscaino
Scusateci.
Rischiamo di risultare insistenti, lo so. Siamo certamente obsoleti, secondo
molti. Ormai viene bollato come obsoleto, appunto, qualunque tentativo di
mantenere alta l’attenzione su principi e idee che dovrebbero rappresentare la
sostanza fertilizzante, l’humus imprescindibile e indiscutibile del
Paese; e che invece stanno a poco a poco soccombendo sotto i colpi della pratica
alternativa, sciolta da idealità e liquefatta in molteplici usi e abusi, in una
lettura sempre più ad personam, a
volte ad personas, ma comunque
svincolata definitivamente dal senso dell’interesse collettivo che la Legge
dovrebbe incarnare. Abitudine, abitudini, disattenzioni, inerzie hanno
soppiantato il rispetto della norma; ma, quel che è peggio, hanno minato la
nostra coscienza critica, la vigilanza, l’intransigenza rispetto alla deroga.
Giorno dopo giorno, mese dopo mese, si accumulano pratiche autolegittimate
esclusivamente dall’uso e dall’indifferenza. Noi, invece, continuiamo. A rischio
dell’impopolarità. A rischio del fallimento.
Ci dobbiamo
provare a parlare ancora di un fatto paradigmatico e grave che si perpetua da
anni. Si tratta dell’ordinanza dell’8 aprile sull’Esame di Stato. Anche questa
volta l’ordinanza ministeriale prevede all’art. 8, punti 13 e 14, che i docenti
che svolgono l’insegnamento di religione cattolica partecipino a pieno titolo
alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del
credito agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento. Due premesse
d’obbligo. La prima. Insegno in un liceo in cui i due docenti di religione
cattolica sono ottime persone. Sono assolutamente convinta che nessuno dei due
tenti di fare proselitismo. Provano, semmai, ad interpretare in maniera ampia
(ed efficace) il loro mandato; entrambi sono riusciti ad instaurare un’ottima
relazione educativa con gli studenti. Li stimo sinceramente e sono convinta che
svolgano un ottimo lavoro.
La
seconda. Qualche giorno fa mi è capitato di andare in un liceo del centro di
Roma a parlare ai ragazzi del rapporto tra scuola e Costituzione e delle
violazioni inflitte alla Costituzione. Parlando proprio dell’attribuzione dei
crediti, un gruppo di entusiasti diciottenni mi hanno segnalato che il loro
insegnante tratta la storia delle religioni. Benissimo. Non stento a crederlo e
ne sono lieta. Credo che la storia delle religioni possa rappresentare un
contributo significativo nella costruzione di competenze di cittadinanza. Non mi
sono però trovata d’accordo con quel ragazzo che rivendicava una ricompensa, una
valutazione dello “studio in più” che la frequenza dell’ora di religione
cattolica gli imporrebbe.
Il punto è questo. La religione
cattolica non fa parte delle materie curriculari su cui calcolare la media. Dal
1985 (dal Nuovo Concordato) sono state numerose le incursioni tentate in deroga
al concetto che “l’insegnamento delle religione cattolica non deve essere in
alcun modo discriminante”: tutte puntualmente sventate dal Tar, dalla Corte
Costituzionale e dalla revisione dell’intesa tra governo italiano e CEI.
L’ordinanza ministeriale sull’Esame di Stato si colloca in questo continuo
sconfinamento. Come negli anni precedenti, prevede il riconoscimento a pieno
titolo dell’attribuzione del credito scolastico da parte del docente di
religione cattolica e di attività alternativa.
La Corte Costituzionale (203/89
e 13/91) ha stabilito che gli allievi che non scelgono la religione cattolica
non hanno alcun obbligo né di frequentare un altro insegnamento, né di essere
presenti a scuola. E che solo la piena facoltatività dell’IRC permette di non
considerare questo insegnamento incostituzionale.
E poi:
chiunque abbia praticato una scuola superiore negli ultimi anni sa che
difficilmente si prevedono materie alternative per chi non si avvale. La
fantomatica “attività alternativa” cui l’ordinanza fa riferimento non esiste
ovunque, concretizzando un discrimine. Rispetto alla discriminazione generale,
gravissima, relativa all’improprio inserimento di cui sto parlando, esistono
dunque altre discriminazioni tra i discriminati: la mancata diffusione dell’ a.a
. (sempre più improbabile, considerati i pesantissimi tagli di posti di lavoro
nei prossimi 3 anni); e il fatto che i non avvalentisi possono praticare
un’attività di studio individuale, che dà diritto ad un credito scolastico
differentemente valutato nelle diverse scuole o possono uscire di scuola, avendo
eventualmente diritto a un credito formativo qualora possano certificare
l’attività svolta.
Insomma, la legge non è uguale per tutti e ci sono
diseguaglianze tra i diseguali. E le sentenze della Corte Costituzionale prima
indicate si trasformano in un inutile orpello.
Può
apparire una questione quasi irrisoria; ma, seppure il credito scolastico
dovesse non essere vincolante in alcune condizioni (nella possibilità del
conseguimento, ad esempio, di una borsa di studio) si tratterebbe – tenetevi
forte! – di una sacrosanta questione di principio. Che riguarda temi come la
laicità della scuola, la libertà di insegnamento, l’uguaglianza dei cittadini,
la garanzia del pluralismo, delle pari opportunità. Non è poco. È vero, in un
paese come il nostro, dove è istituzionalizzata l’inquietante anomalia secondo
la quale gli insegnanti di religione cattolica dipendono dalla Curia ma vengono
pagati con i soldi delle tasse dei contribuenti, dovremmo essere rassegnati a
tutto. Invece c’è un gruppo di gente democratica, che ha a cuore i Principi –
quelli della Costituzione, intendo - che non si rassegna. Si tratta di 20
associazioni (tra cui la Tavola Valdese, il Comitato Torinese per la Laicità
della scuola, Scuola e Costituzione, l’Associazione Nazionale del Libero
Pensiero “Giordano Bruno”, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) che
proporranno entro l’8 giugno un ricorso contro l’ordinanza. Due anni fa il Tar
accolse il medesimo ricorso, giudicando il docente di Irc non competente ad
attribuire crediti scolastici
per la particolare natura della materia: si
creerebbero discriminazioni
nei confronti di coloro che legittimamente non si
avvalgono; ed inoltre l’ordinanza viene emessa ad anno scolastico inoltrato.
L’allora
ministro Fioroni fece ricorso al Consiglio di Stato per annullare in via
cautelare la sospensiva del Tar, incompatibile con i tempi tecnici degli
imminenti scrutini. Era il 12 giugno, e l’ordinanza fu riportata in vigore.
L’augurio è che quest’anno non si tenda a negare una
sentenza nel merito di una materia che – per sua stessa natura – prevede tempi
estremamente serrati, considerando che l’ordinanza non può che uscire in
primavera. La preghiera – a chi legge questo articolo – è quella di riservare un
minuto di riflessione sull’azione silenziosa, quasi mai visibile, ma
dignitosissima e di grande testimonianza civile, di donne e uomini che
continuano a mobilitarsi per preservare idee e principi a cui pare non tenere
più quasi nessuno.