(14.06.2009)
Liceo economico - di Marina Boscaino
Il quadro ora è completo. Dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri dei
regolamenti per il tecnico e i professionali il 12 giugno è stata la volta dei
licei.
Chi a Viale Trastevere sta lavorando sulle scuole superiori deve avere le idee
poco chiare su tutto, tranne che su un tema: economizzare. In virtù di
quest'unica linea-guida si è smantellato qualsiasi progetto culturale (semmai
negli ultimi anni ce n’è stato uno) riguardante l'organizzazione della scuola
superiore nel nostro Paese.
In un imbarazzante gioco apparentemente casuale, si contraggono ore di lezione, insegnamenti. E così potrà accadere che storia e geografia avranno un voto unico; o che matematica e fisica vengano accorpate, come se rappresentassero un'unica disciplina. Rispetto alle sperimentazioni, che in prima battuta parevano tutte destinate ad essere tagliate senza alcuna possibilità di ripensamento, i percorsi liceali – formalmente 6 – saranno in realtà 12, potendo l'offerta formativa avvalersi di opzioni facoltative. Ma non ho qui intenzione di soffermarmi sui singoli licei; basta uno sguardo sulla Rete per trovarne descrizioni esaustive.
E del resto un’analisi dettagliata renderebbe ancora di più
la desolante evidenza dell’assenza più totale di un qualsivoglia progetto
didattico-educativo-culturale alla base di tutta l’operazione. In un momento
storico in cui la latitanza della scuola potrebbe ulteriormente peggiorare la
deriva di qualunquismo, disimpegno, pensiero unico che regna sovrana nel Paese.
O forse, a ben guardare,
il progetto sta proprio in questo rafforzamento.
Mi interessa molto più, invece, sottolineare come anche quest’ultima tornata di
provvedimenti si dimostra coerente con il più ampio disegno che ha determinato
crimini e misfatti della gestione Gelmini sugli altri segmenti scolastici. In
soldoni la domanda continua ad essere: come arriviamo agli 8 miliardi di
risparmio in 3 anni?
In un attacco di incauto buonismo voglio cominciare a segnalare un proposito,
ammirevole sulla carta ma forse velleitario, sul quale è necessario sospendere
il giudizio. Aspettare alla prova dei fatti è d'obbligo, se non si hanno
evidenze cui fare rifermento. Ma è certo che l'inserimento di una materia non
linguistica studiata in inglese appare un prolungamento demagogico della scuola
delle “3i”. che rischia di concretizzarsi (così come la didattica delle
insegnanti di inglese “fai da te” del modello-Moratti) in un richiamo dal facile
effetto ma dall’efficacia nulla, considerando la contrazione di posti di lavoro
preventivata dalla manovra economica sulla scuola. Andare a valutare, per
credere, gli apprendimenti in quella lingua che la scuola italiana fa registrare
dopo 13 anni di studio, a fronte di quelli di molti paesi europei. Quello che
stupisce è che coloro che ci amministrano e governano ancora non hanno capito
che per rendere una modifica, un’innovazione significativa (cioè, in questo
caso, portatrice di significato culturale e di crescita in termini di
cittadinanza) non basta pronunciare le parole che la etichettano. Bisogna
investire, studiare, preparare, incentivare, sostenere.
Il latino verrà escluso dallo scientifico tecnologico: poco
male, francamente, considerando il modo in cui (e Pasolini ammoniva già 40 anni
fa in proposito) quella lingua, quella cultura vengono maltrattate dalla
didattica; orpello e simulacro di fasti culturali del passato, che hanno
spiegato
abbondantemente la propria efficacia in una scuola e in un
mondo diversi, oggi rischiano di essere trasformati in un omaggio doveroso, e
perciò non sentito, a una tradizione ingombrante e significativa, che
dall'ossequio stanco non può che venire penalizzata e mortificata
definitivamente.
Altro è dire quale funzione una didattica alternativa del latino potrebbe avere
nella conoscenza di quella dimensione culturale e quindi quale valenza nella
crescita e formazione etico-culturale dei ragazzi italiani. Ma temo che – per
chi ritiene l'accorpamento di storia e geografia un fatto normale o scienze
naturali, scienze della terra e biologia tre possibilità di una stessa
denominazione – il discorso avrebbe difficoltà ad essere non solo accettato, ma
addirittura compreso. Dunque, andiamo avanti.
Il tempo scuola dei ragazzi del biennio viene mediamente
diminuito a 27 ore settimanali, 3 in meno di quanto previsto nelle bozze di
regolamento precedenti. In termini occupazionali, questa ulteriore riduzione
comporterà una perdita di organico dell'8% circa in tutte le sezioni, tranne nel
classico (dove tuttavia la contrazione sarà di un 2% aggiuntivo rispetto alle
previsioni), nel triennio del quale si prevedono 31 ore. In termini
ragionieristici (ma quanta negatività c’è dietro questa notazione) si tratta del
10% in meno di tempo scuola. Il fattore “orario” e la composizione
eufemisticamente schizofrenica delle discipline al biennio renderà pressocché
impossibile attivare le “passerelle” (ricordate? Uno dei cavalli di battaglia
della Moratti), che promettevano un'opzione (già praticamente impossibile fino
ad oggi,
per la verità, soprattutto nel passaggio tra i licei e i
tecnici) di trasferimento da un ordine all'altro, in caso di fallimento,
ravvedimento, scoperta di vocazioni insospettate da parte dello studente. Il
trasferimento, ovviamente, avviene quasi sempre dall'istruzione liceale a quella
tecnico professionale. Rari i casi contrari, come rari i casi di scoperta
tardiva – da parte di uno studente del canale tecnico professionale – di una
predilezione per le lingue classiche, piuttosto che di una necessità di
approfondimento della matematica. Ipotesi, queste, non impossibili in teoria:
inverosimili in pratica, dal momento in cui il nostro Paese ha deciso di
affidare alla cultura tecnico professionale e a quel segmento di scuola
superiore il ruolo sostanziale di ricettori di disagio, difficoltà, condizioni
sociali svantaggiate. Le passerelle servono in realtà a traghettare i fallimenti
liceali verso scuole ritenute di più basso profilo, più accessibili, più
“facili”.
Oggi – con la scansione dei nuovi bienni dei licei, dei
tecnici e dei professionali – si rafforza a dismisura la divaricazione tra licei
e il segmento dell'istruzione tecnico-professionale e addirittura,
ulteriormente, tra liceo classico e altri licei. Non a caso
le precedenti bozze di regolamento esplicitavano
solo alla voce liceo classico la spendibilità di quel tipo di diploma rispetto a
tutte le facoltà universitarie.
Un altro elemento che grida a gran voce le intenzioni del governo sulla scuola
italiana, è quello relativo alle quote di flessibilità, in un percorso
scolastico che si configura anche nei licei come un 2+2+1, con rispettivamente
il 20%, 30%, 20% di flessibilità. Flessibilità che verrà definita in sede di
comitato scientifico (la dizione tecnico-scientifico, destinata all’omologo
organo nei tecnici e professionali, non si addice ai licei, evidentemente), di
cui ho già parlato diverse volte e della cui opportunità continuo a dubitare:
come impiegare le quote di flessibilità, con quali insegnamenti aggiuntivi e
integrativi, considerando la contrazione degli organici e i fondi destinati ai
singoli istituti? Una ogni 4 materie potrebbero cambiare, secondo la quota di
flessibilità: e il cambiamento potrebbe inoltre essere deliberato anche dalla
regione. Certamente la voce del padrone, rafforzata dal consiglio di
amministrazione dell’imminente ddl Aprea, avrà la meglio, in barba alle pari
opportunità, all’unitarietà del sistema scolastico, alla vocazione
costituzionale della scuola come “ascensore sociale”. Gli investimenti esterni
premieranno l’utenza non per compensare bisogni ed esigenze, ma per individuare
vantaggi e guadagno.
È un gioco pericoloso, iniziato anni fa, forse non
prevedendo le conseguenze che avrebbe prodotto. Noi insegnanti, soprattutto noi
delle superiori, continuiamo a vivere un’inerzia che sposta il 2010 (anno in cui
la “riforma” andrà in vigore) come un fatto lontano nello spazio e nel tempo. La
politica tace, quasi non fosse più suo affare vigilare sul sistema di istruzione
nazionale. Sicurezza, intercettazioni, federalismi e le vicende personali del
premier sembrano essere gli unici argomenti su cui ci si accalora. E noi? E la
scuola? un progetto culturale destinato alla creazione in serie di consumatori
acritici – rigorosamente divisi in ricchi e poveri -
è dato ormai per acquisito: fa parte del sistema e
non vale nemmeno più la
pena di destinargli un minimo di attenzione. La
balbuzie – o, peggio, il silenzio - generali sulla scuola non fanno che spianare
la strada alla definitività dei sommari, pericolosi e incontrastati
provvedimenti del governo. L’unico che parla (e come parla!) di scuola.
Nel 2010 scadrà il tempo per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona. Certamente – considerando la situazione europea – sarà necessario prorogare il termine. Ma l’Italia si colloca tenacemente e stabilmente tra i paesi più lontani dal conseguimento dei risultati.
PS: anche il canale aperto dal Ministro su Youtube è stato oggetto di tagli e risparmi?