(03.05.2009)
Mai dire mai- di Marina Boscaino e Marco Guastavigna
Come nel più
paradossale dei contrappassi, il governo Berlusconi ha deciso di fare della
scuola il luogo destinato a ricevere ed emettere tutte le più aberranti,
incomprensibili, farsesche, macchinose, lugubri, inutili manifestazioni della
sua triste idea del mondo. L’attacco è concentrico, omogeneamente caratterizzato
dall’acuta osservazione dei
desiderata più retrivi di
una parte di questo nostro strano Paese. Sanzionare, punire, ghettizzare,
escludere: sono tutti verbi che configurano azioni che non hanno davvero nulla a
che fare con ciò che la scuola dovrebbe insegnare, con il modo in cui la scuola
dovrebbe farlo. Sono verbi anti-pedagogici, anti-educativi, anti-inclusivi per
eccellenza. Sono verbi anti-scuola della Costituzione.
Brunetta, Gelmini,
Tremonti, Maroni si sono occupati di manifestare in modi diversi uno zelo
encomiabile nel concentrare sulla nostra scuola le più retrive manifestazioni di
una serietà di facciata, di un interventismo di maniera, di un rigorismo
obsoleto. Arrivando persino ad esasperarli, come se ce ne fosse bisogno. Durante
il dopoguerra, il
panem et circenses non è
mai andato così di moda: il popolo è in cerca di certezze (e che certezze!) e
noi gliele diamo. Il popolo chiede: fuori la gente di colore! E noi – pronti –
ne annulliamo persino l’identità. E così via. Come gli imbonitori di certe reti
televisive che fiutano le debolezze altrui per proporre cure miracolose e
promettere l’allontanamento definitivo del malocchio, i rappresentanti del
governo hanno stanato con abilità gli istinti peggiori di molti di noi e li
hanno convogliati in una serie di pacchetti e proposte normative, tutte
etichettabili sotto la palingenetica formula di “sicurezza”: sicurezza
materiale, come l’ultimo; ma anche sicurezza psicologica, in nome di ordine,
severità, granitiche certezze, autoritarismo, ritorno alla tradizione, muscolarità: a scuola grembiulino, voti numerici anche alle elementari, voto in
condotta, caccia
spietata al fannullone, telecamere negli istituti per combattere il bullismo,
classi ponte (cioè classi-ghetto) per i bmbini migranti ed altro ancora.
La novità di questi
giorni costituisce l’esempio più significativo di ciò che il governo intende per
mandato della scuola. L’articolo 45 del Ddl sicurezza – approvato al Senato e
attualmente in discussione alla Camera – prevede al comma 1 lettera F non solo
che i genitori dovranno esibire il permesso di soggiorno per iscrivere i propri
bambini a scuola; ma soprattutto che – in mancanza di tale adempimento – i
presidi saranno costretti a sporgere denuncia: presidi-spia, dopo i medici-spia.
Non a caso rappresentanti dei due più significativi settori del Welfare, per
accedere al quale – qui da noi - bisogna rigorosamente esibire il
pedegree
appropriato. Altrimenti fuori. Altrimenti si diventa non-persone, non aventi
diritto. Scatenando addirittura il dovere – dall’altra parte della barricata,
dalla parte di quelli nati dalla parte giusta – di denunciare le non-persone per
poterle rispedire il più rapidamente possibile nell’unico posto dove meritano di
stare: l’abbandono, la povertà, la fame, la violenza. C’è da fregarsi le mani,
per i nostalgici dell’ordine. Si tratta, invece, di una storia triste,
grave,
oltre che profondamente scandalosa. Pone una
serie
di questioni dirimenti rispetto alla direzione di marcia che vogliamo lasciar
prendere al nostro malmesso paese.
Ricordate? “La
scuola è aperta a tutti”. Sì, lo so, è un po’
demodé, suona di vecchio. Ma è la Costituzione.
Pensate, ancora vige. Loro, i nostri governanti, in fondo, lo sanno. È una
questione seccante, dover fare i conti con simili anticaglie. E allora si
occultano le malefatte con disinvoltura e spregiudicatezza. In questo caso la
fantasiosa trovata dei presidi-spia era sapientemente sussurrata in quell’art.
45 del pacchetto sicurezza che ha fatto gridare allo scandalo per via
dell’ipotesi dei medici-delatori, obbligati a denunciare il migrante irregolare
che si fosse recato in ospedale per chiedere cure. E per fortuna Antonio
Borghesi dell’Italia dei Valori, vicepresidente del gruppo alla Camera, ha
scoperto il nuovo orrore: «Questo provvedimento - ha aggiunto - contiene norme
disumane che nulla hanno a che fare con il contrasto all'immigrazione
clandestina. Sono norme che infieriscono impietosamente sulle donne e, in
particolare, sui bambini. Ci ritroveremo, tra qualche anno, con una generazione
di bambini fantasma, che vivono, respirano nel nostro paese, che potranno essere
curati nei nostri ospedali ma che per l'anagrafe italiana continueranno a non
esistere».
Non
mi pare ci sia altro da aggiungere. Se non l’amara
constatazione che il numero delle cose per cui ci si indigna – qui da noi – si
restringe anno per anno, abuso dopo abuso, violazione dopo violazione. Qualcosa
si deve muovere. Per il momento prego tutti coloro che leggeranno questo
articolo di aderire alla
raccolta di firme
promossa da FlcCgil. C’è bisogno che giri, a testimoniare che il sonno della
ragione non ha ancora vinto definitivamente. C’è bisogno di riflettere
seriamente sul fatto che ci si sta chiedendo, a poco a poco, di fare piazza
pulita di tutti i nostri principi. O, almeno, di chiudere un occhio su quelli
che – dalla “Milano da bere” anni ’80 in poi – sono diventati ideali quasi
folkloristici, orpelli nostalgici per la cultura dominante in un Paese allo
sbando. Che, in nome di finti modernità, efficienza, dinamismo, libertà – il
Partito delle Libertà, sic! -
assicura “sicurezza” agli insicuri che non hanno
più nulla in cui credere se non al fatto di essere quelli “giusti” – la più
rassicurante delle rassicurazioni. Avendo pertanto guadagnato per diritto di
nascita la facoltà di perseguitare, umiliare, espellere, rifiutare, chi ha avuto
la disavventura di nascere dalla parte sbagliata.
Forse abbiamo preso
un abbaglio per più di 60 anni. Ma la Costituzione dice altro. La Costituzione
parla di uguaglianza, di rimozione degli ostacoli. Parla di una scuola aperta a
tutti. Di una scuola obbligatoria, là dove obbligo significa garanzia. Significa
uno Stato che si attiva per l’emancipazione. Una scuola che è educazione e non
repressione. Una scuola che insegna e non denuncia. Perdere di vista questa
direzione, assecondare le piccole, implacabili, continue deroghe a questi
principi che ci vengono richieste pensando che quando la misura sarà colma, solo
allora, reagiremo, significa piegarsi ad un’assuefazione pericolosissima. Che
condurrà un giorno a risvegliarci in una situazione definitivamente compromessa
ed irreversibile. Bisogna dire no. Con forza. Senza tentennamenti. Senza
paludamenti. C’è in gioco la scuola democratica. Che vuol dire l’Italia
democratica.